“Federalismo”: sinonimo di accentramento.
Quando, verso la fine dell’anno 2018, si celebrarono con grande enfasi i referendum con i quali si chiedeva ai popoli del Veneto e della Lombardia se volevano una ampliamento delle autonomie in senso “federalista”, mi capitò di assistere al colloquio di due vecchietti in uno scompartimento ferroviario. Uno, che alla pronuncia si manifestava come padano purosangue, scuoteva la testa, dicendo che tutto sarebbe rimasto più o meno come prima, anche se avessero vinto i fautori della riforma. L’altro, meridionale verace ma (a quanto diceva) da lungo tempo radicato in terra lombarda, dove esercitava un’attività di commercio al minuto, ribatteva invece che tutto sarebbe cambiato. “Ed è giusto che sia così! Concludeva. Pensi che l’altro giorno ero a Reggio Calabria, dove sono nato. Quanto sfarzo, quanto lusso, nel centro cittadino! E da dove vengono tutti quei soldi? Da noi, dal Nord. Finalmente, se, come mi auguro, vinceranno i sì, potremo tenerci il cosiddetto residuo fiscale, la quota delle nostre tasse che finisce nelle tasche delle altre regioni. Viva il federalismo!” (è’ proprio vero che i peggiori nemici sono i disertori che passano nelle file avversarie). Riuscii a stento a trattenere una risata.
Strana storia, quella del termine “federalismo”. “Nomina sunt consequentia rerum, si diceva nel Medioevo, a indicare che in ogni nome è contenuta l’essenza , l”universale”, del concetto indicato. Ma che cosa contiene il termine “federalismo”? Tutto e i contrario di tutto. Oggi viene usato quale sinonimo di “decentramento” in senso radicale, ovverossia come passaggio da uno Stato accentrato, di tipo napoleonico, a un sistema di autonomie così ampie da configurarsi come “quasi Stati”. Ma all’origine non era così. Il “federalismo” era sinonimi di accentramento. Nella storia degli Stati Uniti, i Federalisti erano i fautori di un sistema che devolvesse più poteri al governo centrale, secondo il pensiero di Hamilton; chi invece, come Jefferson, si opponeva a un più forte accentramento, era chiamato “anti-federalista”. Alla fine furono i Federalisti a vincere. Qualcosa di simile capitò in Svizzera. Dopo la guerra del Sonderbund, dell’anno 1947 (l’ultima guerra di religione in Europa, in pieno Ottocento: erano un po’ in ritardo gli svizzerotti; no, sbaglio, la penultima; l’ultima è la guerra tra cattolici e anglicani nell’Irlanda del Nord) quella che era una semplice confederazione, cioè un insieme di Stati con un debolissimo potere centrale, si trasformò in una vera e propria federazione, pur mantenendo l’antico nome di Confederazione Elvetica, con la costituzione del 1848, modificata nel 1874. Accentramento, quindi, il federalismo, non decentramento! Altro che “nomina sunt cosequentia rerum”; il significato del termine oggi, si è completamente ribaltato. Ricordate la frase finale del “Nome della rosa” di Umberto Eco? “Rosa stat pristina nomine, nomina nuda tenemus”. I nomi sono soltanto “flatus vocis”, come diceva il filosofo Roscellino in polemica con Guglielmo di Champeaux: non contengono affatto l’essenza delle cose. Sono etichette su cui si può scrivere tutto e il contrario di tutto.A questo punto uno potrebbe dire: “E va bene, ma che cosa importa? L’importante è intendersi. Usiamo pure il termine “federalismo” per indicare il contrario di quello che una volta si intendeva. Purché questo federalismo, inteso come decentramento radicale, un gradino appena più su della secessione, arrivi davvero”. Giusto.
Il fatto è che non è mai arrivato e non arriverà mai.
Uno Stato nato secondo il modello napoleonico rimane nel suoi nocciolo quello che è. I prefetti rimarranno in eterno (al leghista Salvini piacciono da morire, e a suo tempo anche Maroni li ebbe cari). Altro che trattenere il residuo fiscale! Non ci sarà, neppure dopo i vittoriosi referendum, un vero e proprio sistema federalista in cui ogni regione può organizzare in piena autonomia il proprio apparato impositivo per finanziare le funzioni di sua pertinenza. Ancora una volta sarà il governo centrale ad assegnare alle regioni quanto necessario allo svolgimento delle nuove competenze ad esse devolute, sulla base, in un primo tempo, dei “costi storici” e poi dei cosiddetti “costi standard”, che non ho mai ben capito né che cosa sono né come verranno calcolati. In conclusione, dei due vecchietti di cui sopra, aveva ragione il padano che scuoteva la testa. Certo, saranno i governi regionali a svolgere in proprio alcune funzioni riservate finora, in tutto o in parte, al governo centrale. Sarà un bene? Può darsi. Però quando penso al sistema sanitario nazionale spezzettato fra le regioni, per cui se uno vuol far ricoverare un parente che risiede in una certa regione in una casa per anziani sita in un’altra regione, per avvicinarlo a sé, si trova davanti a un muro, mi vien voglia di dire: “L’avete voluto il federalismo? Tenetevelo!” Quando penso che anche sulla scuola le regioni vogliono mettere le mani, mi vengono i brividi. Che si farà in Lombardia e in Veneto? Si insegnerà il dialetto meneghino e quello veneziano? Si darà la precedenza agli insegnanti autoctoni? Si cacceranno via i maestri e i professori terroni? E la tutela del territorio? Ne dovremo vedere di scempi, come se l’Italia non fosse già stata devastata, dopo l’Unità, mille volte di più che al tempo delle invasioni barbariche. Uno dei bei regali che sono stati elargiti ai cittadini grazie al federalismo è la Polizia Locale. Una volta i vigili dirigevano il traffico e affibbiavano qualche multa per divieto di sosta. Adesso le multe per divieto di sosta sono state delegate a una nuova categoria di mangiapane a tradimento, i cosiddetti “ausiliari della sosta” (a Napoli dicono: “Eh, che s’ha da fa pe’ ccampà!) e i vigili, che tutto sommato erano abbastanza simpatici (sotto Natale, in Lombardia, non so nelle altre regioni, ricevevano dai concittadini, durante il servizio, panettoni in omaggio, in segno di affetto) sono diventati un’altra categoria di sbirri. Ce n’era proprio bisogno? Non bastavano Polizia di Stato, Polizia stradale, Carabinieri, Guardia di Finanza ecc. ecc.? Sapete che cosa capita in una cittadina del Nord? Il comandante della Polizia Locale si apposta, in borghese, con un lungo cannocchiale in diversi punti del territorio comunale, per individuare, a distanza, gli automobilisti che guidano parlando al cellulare o senza aver allacciato la cintura, e segnalarli a una pattuglia nascosta nelle vicinanze. Ci avrei gusto se qualcuno, non riconoscendolo, lo scambiasse per un maniaco guardone e lo prendesse a randellate. Mi risulta che contro di lui sia partito un esposto alla Procura della Repubblica del capoluogo. Speriamo che si prenda dal Procuratore capo, se non una randellata, una bella lavata di testa. I controlli alle auto si fanno seguendo regolamenti ben precisi. E gli sbirri facciano il favore, quando sono in servizio, di vestire la divisa, per essere riconoscibili.Dei sindaci che vietano di tenere pesci in bocce di vetro e di quelli che vogliono far pagare una tassa d’ingresso ai turisti in visita alla città abbiamo già parlato, inutile ritornarci sopra.
Una sola precisazione. Ho detto che far pagare il biglietto d’ingresso in città è anticostituzionale, in mancanza di una legge dello Stato. Ho scoperto che questa legge, purtroppo, c’è! L’avete voluto il federalismo? Tenetevelo!
L’articolo dimostra come, ancora una volta, il popolo vota senza nemmeno sapere “cosa” vota.
A proposito delle categorie di sbirri: aggiungo (ma è una realtà molto variabile in relazione ai singoli comuni) la “crescita” della Protezione Civile, che sembra avere il potere di gestire il traffico o costituisce il servizio d’ordine (buttadentro/buttafuori) durante le manifestazioni pubbliche. Nel comune dove risiedo, sono dei veri e proprio “pretoriani” del Sindaco.
Superflua secondo me la correzione sulle guerre di religione: anche in quelle strariconosciute e ammantate di sacralità (tipo cattolici/ugonotti) gratta gratta, sotto la fede ci si trovava sempre la roba (come diceva Ernesto Rossi); ma quella dell’Ulster fu una guerra fatta solo di odio politica e potere tra nazionalisti e unionisti, la religione era solo un pretesto o modo alternativo di distinguere le fazioni (in cui tra l’altro gli anglicani non mi pare c’entrassero, gli unionisti erano perlopiù protestanti di fede presbiteriana).
Anche se gli stati attualmente federali sono nati da unioni di piccoli stati/regioni/cantoni/territori in un unico più forte e non viceversa, ciò non significa che il viceversa sia impossibile.
Il vero problema è che il viceversa sia affidato a conclamati cialtroni casinisti, aka the italian people.
Nulla di più politico e legato al potere politico delle religioni (la spiritualità è un’altra cosa)
In linea teorica è vero. Nella realtà storica però non mi pare che sia mai capitato. O decentramento, più o meno ampio, o secessione. Chi comanda può accettare di delegare alcuni dei suoi compiti a enti che, comunque vada,gli rimangono subordinati”( ecco perché in Italia il sistema prefettizio è immortale); difficilissimo che accetti di essere smembrato; e il federalismo odierno vuol essere proprio il primo passo verso la secessione. In Italia l’ autonomia regionale è nella Costituzione: nulla di più pacifico e istituzionale. Il federalismo invece suona come una richiesta eversiva. Infatti chi lo propugna lo ritiene , in cuor suo, come il meno peggio nell’impossibilità della secessione immediata e nell’attesa del momento buono per rompere ogni legame.
Se sbaglio, sarò ben lieto di essere corretto, sia in linea teorica sia da quella che Machiavelli chiamava ” realtà effettuale”.