“Alla zappa!”
Qualche anno fa, mentre diventava sempre più sconcertante lo scandalo della pedofilia fra le file dei sacerdoti cattolici, lo storico del Cristianesimo ed esimio pubblicista Alberto Melloni ebbe ad affermare che non bisognerebbe parlare di “preti pedofili”, bensì di “pedofili preti”.
Confesso di aver durato un po’ di fatica a comprendere bene il significato di tale affermazione; d’altra parte, lo stile dell’illustre studioso mi è sempre sembrato, per molti aspetti, poco perspicuo, certamente per la mia pochezza d’ingegno.
Immagino intendesse dire che la pedofilia è presente, più o meno nelle stessa misura, in tutti i gruppi sociali; e se, fra i preti, desta particolare turbamento, è perché giustamente da chi svolge un ministero tanto delicato, per cui si richiede santità di vita, ci si aspetta sempre una condotta esemplare, lontanissima dalle peggiori turpitudini di cui un essere umano si possa macchiare: quelle turpitudini che, nelle parole di Cristo, andrebbero punite con una macina al collo e l’annegamento di chi le commette.
Se non era questo l’intendimento di Melloni, gliene chiedo scusa. Ma se intendeva proprio così, credo si possa affermare, visto lo sviluppo delle tristi vicende, che la sua opinione era completamente fuori strada. Chi ha visto il bel film “Il caso spotlight”, recentemente (e meritoriamente) riproposto anche in TV, dove viene ricostruito con grande aderenza ai fatti di cronaca il percorso attraverso cui la redazione del “Boston globe”, sostenuta da suo combattivo direttore, svelò lo scandalo della pedofilia nella diocesi di Boston, da cui sarebbero scaturite tulle le altre inchieste destinate a far luce su un problema comune a tutto il clero cattolico di ogni Paese, ricorderà che si giunse a svelare quanto fino a quel momento era stato tenuto nascosto partendo anche da alcune analisi sociologiche che indicavano un sei per cento di pedofili tra le file dei religiosi.
Si dimostrò che erano anche di più. Ma allora non bisogna parlare di pedofili preti, cioè di pedofili che svolgono la missione del prete nella medesima percentuale di quelli che si dedicano ad altre attività o frequentano altri gruppi sociali, bensì proprio di preti pedofili: ovverossia di persone che, proprio in quanto preti , sono indotti a esercitare pratiche di pedofilia. Se è così, il discorso diventa particolarmente delicato, e pone innanzitutto due questioni. E’ il seminario ad attirare in modo particolare chi già di per sé è incline a certe deviazioni, o tali deviazioni sono causate proprio dall’educazione che si riceve in seminario? Tra l’altro, non è detto che un’ipotesi escluda l’altra: può darsi benissimo che chi covi, più o meno consciamente, certe tendenze, venga attirato da ambienti dove tali tendenze vengono rafforzate. Con questo, non si intende dire affatto che il meccanismo perverso e pervertitore sia coltivato, o anche soltanto consapevolmente accettato come un male inevitabile, da parte di chi guida le istituzioni religiose. Può essere stato finora anche rimasto occulto, o appena avvertito dalle coscienze dei responsabili: però è un meccanismo innegabile. E come tale, deve essere fatto a pezzi, se si vuole davvero risolvere il problema. Invece, a giudicare dai fatti, è proprio questa operazione indispensabile a venir elusa. Si scagliano tuoni e fulmini contro un peccato esecrabile che grida vendetta al cospetto di Dio, si minacciano sanzioni, si dichiara finalmente che i casi di pedofilia, una volta scoperti, vanno perseguiti anche attraverso la giustizia penale, si fa appello alla vigilanza, si istituiscono organismi deputati al controllo e al filtro di eventuali comportamenti aberranti tra le file del clero, si riducono allo stato laicale personaggi fino a ieri intoccabili appartenenti ai gradi più alti della gerarchia, per aver praticato o anche soltanto coperto la pedofilia, si accetta di risarcire, anche pecuniariamente, chi è stato vittima di pratiche infami.
Tutte belle cose, ma il nodo centrale rimane irrisolto: perché succede? E’ sempre successo? Succederà ancora?Partiamo dalla domanda centrale: è sempre successo? Probabilmente sì. Non c’è ragione di credere che il fenomeno sia scoppiato solo negli ultimi tempi, come un improvviso bubbone. Fino a pochi decenni fa, è rimasto nascosto per una serie di motivi, non ultimo il rispetto che ha sempre circondato la figura del prete, ragion per cui ogni denuncia a suo carico veniva accolta con sospetto o addirittura irrisa; e ogni volta che qualche caso trapelava e le autorità superiori ne prendevano nota, si faceva di tutto per tenerlo coperto e risolverlo all’interno dell’istituzione, secondo il principio omertoso che i panni sporchi vanno lavati in famiglia.
Forse qualcuno ricorda la novella “Alla zappa!” di Luigi Pirandello. Il figlio di un’onesta famiglia di contadini si avvia al ministero sacerdotale. Il padre ne è orgoglioso, ritenendolo un grande dono di Dio. Purtroppo, però, il giovane prete si macchia di turpi azioni ai danni di ragazzini. I superiori cercano di mettere a tacere lo scandalo, venendo a patti con la famiglia dell’offeso e trasferendo il colpevole altrove. Ma il padre contadino non è d’accordo: lo obbliga a spogliarsi degli abiti da prete e lo manda a zappare nei campi. Non credo che Pirandello abbia lavorato soltanto di fantasia. Forse è fantasioso solo il finale. Quanti padri di cattivi preti avranno mandato i loro figli alla zappa? Sarà più facile che abbiano accettato di risolvere la situazione mettendo tutto a tacere. Ma se è sempre stato così, andrà così anche in futuro? Certamente, nonostante i proclami e le buone intenzioni, perché il nocciolo del problema rimane intatto. Allora ricadiamo nella prima domanda. Perché succede?
Sarei un presuntuoso se cercassi di dare io una risposta. Sono un libertino in tutti i sensi, un epicureo, non ho gli strumenti per affrontare un problema così arduo, che tra l’altro non mi tocca neppur da lontano, visto che non posso non dirmi cristiano (la figura di Cristo mi ha sempre affascinato) ma sento il dovere di non dirmi cattolico, perché le uniche figure di papi che mi sono simpatiche sono quelle di chi, simoniaco e puttaniere, ha donato all’umanità splendide opere d’arte. In quanto pratico una sessualità a-genitale, sono privo di figli, che quindi non corrono il pericolo di finire nelle grinfie di qualche educatore pedofilo, non necessariamente prete (potrebbe essere un maestro elementare, un professore, ecc ecc.).
Credo però che se la Chiesa si aprisse davvero alle donne, consentendo anche il sacerdozio femminile e rinunciando al celibato per chi, maschio o femmina, si dedica al ministero sacerdotale, forse allora sì che si avrebbero, magari, pedofili preti, ma non preti pedofili. Il problema sarebbe notevolmente circoscritto, e le turpitudini facilmente estirpate. Non so se sia vero, ma ho sentito dire una volta da una persona fededegna che papa Giovanni Paolo II aveva intenzione di proclamare verità dogmatica l’obbligo del celibato sacerdotale. L’avesse fatto, sarebbe stata una bella iattura, perché una riforma nel senso sopra suggerito non si sarebbe mai più potuta attuare; come non si potrà mai rinnegare il dogma della Resurrezione o quello della verginità della Madonna. Per fortuna non è andata così. Una Chiesa con le donne sacerdoti piacerebbe di più anche a me. E poi, diciamolo francamente: è una bella ipocrisia quella del celibato sacerdotale. Sappiamo che fu introdotto molto tardi, non per ragioni di pietà religiosa, ma per motivi molto più prosaici: impedire che i preti, sposandosi e facendo figli legalmente riconosciuti, disperdessero, per via ereditaria, i patrimoni, con grave danno per i beni della Chiesa. Sarà anche vero che il denaro è sterco del demonio, però… buttarlo via non è proprio il caso. Conseguenza: l’importante è che i preti non si sposino; se poi vogliono avere l’amichetta o l’amichetto, basta che non si sappia, e facciano quel che vogliono. Anzi, meglio l’amichetto: così non chiederanno mai la riduzione allo stato laicale per potersi sposare. Almeno, una volta era così. Adesso che i culattoni possono sposarsi e metter su famiglia, anche questa certezza viene a cadere.
Mi ha detto un altro mio amico, cattolico praticante e assiduo frequentatore di comunità religiose, che un settanta per cento dei preti ha l’amichetta o l’amichetto. Fosse un ateo o un miscredente come me, si potrebbe esser certi che le sue sono soltanto calunnie dettate dall’odio per tutto ciò che è sacro. Ma l’affermazione viene da un bigotto, quindi da una fonte che va ritenuta sicurissima. E allora? Non è forse proprio questo il nodo da sciogliere? Aprire la Chiesa alle donne e a una sessualità meno cupa! Non è forse vero che le cose più belle Cristo le ha dette alle donne? Che ha salvato l’adultera? Che ha condannato il divorzio perché, nella legge mosaica, l’iniziativa era riservata ai maschietti e andava sempre a scapito delle donne? Se san Paolo era un misogino, peggio per lui. Era un problema suo. Peccato che abbia gravato su secoli e secoli di dottrina cattolica. E ancora oggi la sessualità di stampo paolino è un tabù che impedisce di andare a fondo di problemi gravi come quello della pedofilia tra le file del clero.
Mi dice un sacerdote, ordinato con tesi in diritto canonico, che il presbitero coniugato non viene ridotto allo stato laicale ma ottiene la dispensa dai servizi pubblici e tra le mura domestiche può ancora distribuire i sacramenti. Purché celebri i suo matrimonio con rito religioso, come avvenne per Giovanni Gennari che ebbe l’onore di avere ben dieci celebranti. Sul piano giuridico è un dettaglio, sul piano pratico non risolve certo il problema di fondo delle cosiddette parafilie seminaristiche o conventuali. Credo si sia indagato poco su ciò che avviene all’interno dei monasteri femminili. Probabilmente l’argomento non ha lo stesso effetto politico – mediatico.
Nel suo reboante intervento contro la pedofilia il papa ha di fatto sminuito la drammaticità del fenomeno tra le file del clero, equiparandolo a quanto accade anche in altri ambiti sociali. In somma, come diceva Melloni, non ci sono preti pedofili ma pedofili preti. Sottigliezza gesuitica. In questo modo non si farà mai nulla per arrivare alla radice del male ed estirparla: non è un problema particolare della Chiesa, ma una pratica generalmente diffusa, da combattere senza ricorrere, da parte della gerarchia cattolica, a misure specifiche, mirate a eliminare un bubbone maturato soltanto al suo interno. Il ragionamento è capzioso. Certo che la pedofilia si nasconde anche nelle famiglie e inquina i rapporti parentali nonché altri rapporti della vita sociale. Ma non bisogna far riferimento ai numeri assoluti, bensì a quelli percentuali. I preti, nel mondo, sono una minoranza sempre più sparuta, le famiglie un’enorme quantità. Anche gli insegnanti e i medici sono molti di più. La percentuale degli episodi di pedofilia (e affini) è la stessa nelle famiglie e fra i preti? E ancora: è la stessa fra gli insegnanti e fra i preti? E’ la stessa fra i medici e fra i preti? Se sì, non è un problema particolare della Chiesa. Se no, sarà bene fare un esame di coscienza e chiedersi: perché? Che cosa ha spinto il prete finito alla zappa a fare quello che ha fatto? L’educazione ricevuta in seminario? L’obbligo del celibato? O che cos’altro?
Mi sfugge il significato di “verita’ dogmatica” nel caso del celibato sacerdotale,
Si puo’ sostenerlo con forza, non transigere sull’argomento, ma “dogma”?
Come un pontefice potrebbe proclamare un tale obbrobrio di concetto?
Sarebbe un “papocchio” sia il proclamante che il proclama.
Che i molti preti abbiano una vita sessuale e`risaputo, del resto non fanno voto di castita´, ma di celibato. Peccano, ma non infrangono alcun voto. La cosa viene da lontano, lo Stato Pontificio assolutista (tanto vituperato mentre aveva capito tutto) abbondava di lupanari frequentati anche dal clero e nessuno li volle mai mettere al bando; solo una socialista piu’ bigotta di una beghina riusci’ a farli chiudere nella nostra beneamata repubblichetta laicomassonica.
Non ho mai frequentato le puttane né mai le frequenterò. Non è il caso, credo, di spiegarne il motivo. Che seduttore sarei? Le puttane si pagano, non si seducono. La seduzione non ha prezzo, il sesso sì. E’ un servizio come un altro. Proprio per questo io rispetto le donne che si dedicano liberamente a tale attività, e provo grande compassione per quelle che vengono costrette a esercitarla per povertà o per coercizione ad opera di ignobili sfruttatori. Stimo molte volte di più una puttana di una vigilessa, di una poliziotta o di una soldatessa: lavori da maschiacci che sarebbe bene lasciare ai maschiacci; fermo restando che, se una donna li vuol fare, liberissima di farli (e liberissimo io di disprezzarla: nel mio catalogo non ce ne saranno mai). In un contesto sociale davvero libero, scevro di pregiudizi, privo di gerarchie fondate sul sesso e alieno da istituzioni operanti sulla base di principi imperativi, la prostituzione sarebbe soggetta soltanto alla legge del mercato, allo stesso modo di qualsiasi altra attività. Una puttana sana che, da libera professionista, offrisse un servizio di qualità, si farebbe un buon nome e potrebbe farsi pagare bene, almeno fin quando è giovane e la sua bellezza non è del tutto sfiorita. Potrebbero formarsi cooperative di puttane e organizzazioni imprenditoriali in cui le puttane sono contrattualmente dipendenti da un datore di lavoro, godendo, se lo desiderano, di tutela sindacale e beneficiando di un sistema pensionistico al termine della loro attività. Invece i bordelli di Stato mi fanno orrore, e mi fa ancora più orrore Salvini quando proclama di volerli ripristinare (la fica di Stato se la goda lui, che ce l’ha duro). Quanto ai bordelli dello Stato Pontificio erano una bella ipocrisia. Come rimane una bella ipocrisia la promessa solenne di celibato per i preti diocesani, che può essere violata senza troppi scrupoli perché, tecnicamente, non è un voto di castità. Rimango dell’idea che se la Chiesa non scioglie i nodi di una sessualità cupa e disumana, da sempre predicata e per fortuna da sempre violata (io ne sono l’esempio più celebre), il problema delle perversioni di cui sono vittima tanti bambini e adolescenti affidati alle istituzioni religiose resterà irrisolto. In uno studio del 1999 (” NCCB Guidelines and other considerations in pedophilia cases”) si dice chiaramente che è il celibato la causa primaria di tali perversioni. Non l’ho scritto io, ma un canonista e vescovo, di nome James A. Quinn.
I pedofili, con buona pace di Quinn, abbondano anche nella chiesa anglicana, tra i geovisti e luterani in genere che possono sposarsi e quasi sempre lo sono.
Questo fenomeno della pedofilia poi è un po’ come quello degli incidenti: si fa tanto clamore per quelli che avvengono all’esterno, ma della casalinga che muore cadendo dalla scala mentre smonta le tende non lo viene a sapere nessuno.
Se indagassimo sulle perversità che avvengono all’interno delle famiglie, scopriremmo che dove dove di prete pedofilo ce n’è uno, tutto attorno di “bravi padri di famiglia” ce ne son 31. Putroppo Pacciani o Dutroux non erano figli unici.
In parte è vero, Max, ma è altrettanto vero che l’idea di sessualità cupa citata da don Giovanni appartiene anche a confessioni diverse da quella cattolica. Indipendentemente dalle diverse visioni sull’istituto del matrimonio. Per quanto riguarda le perversioni all’interno delle famiglie mi sembra di aver avuto sempre notizie di simili avvenimenti in ambienti particolarmente degradati anche sotto il profilo ambientale, urbanistico ed economico; per non parlare di quello culturale. Poi ci saranno stati e ci sono tuttora fenomeni simili presenti anche nelle famiglie agiate, colte e apparentemente integrate. Forse non tutte sono venute fuori ma certo l’omertà abbonda in misura maggiore nelle situazioni precedentemente descritte. Il matrimonio dei sacerdoti cattolici forse non risolverebbe definitivamente il problema ma potrebbe ridurlo avviando una riflessione su una concezione “de facto” peccaminosa della sessualità. Se dal sette per cento di perversi si passa al quattro, il risultato rimane repellente ma comunque preferibile a una percentuale più alta. Allontaniamoci da Tarso, preferiamo Cefa e la sua rusticità. E’ ciò che da Nicea in poi non si vuole mettere in discussione.
Riferisco quanto mi disse un sacerdote salesiano molto in gamba con cui conversavo spesso negli anni 90.
Il celibato dei preti non è stato imposto per motivi sessuofobici, ma per motivi di convenienza pratica. Un prete sposato avrà già i suoi grattacapi con moglie e figli, potrebbe essere molto meno disponibile ad ascoltare i problemi altrui; inoltre la famiglia costa e ciò si riflette sui fedeli che devono mantenerla e sono proprio questi ultimi che nei tempi passati – quando nella CC non c’era obbligo di celibato e la miseria era grande – fecero pressione sulle gerarchie affinchè i preti fossero celibi. Certo i tempi ora sono cambiati, chissà…