Don Giovanni

L’Italia dei miracoli

E’ davvero un momento miracoloso quello che si sta vivendo in Italia. Quando mai era capitato? Addirittura il presidente degli Stati Uniti si congratula con il capo del governo, esortandolo a continuare così, che alla fine sarà un trionfo. Niente paura, in caso di necessità gli verrà in aiuto. Tra sovranisti ci si intende. America First e Italia First! Putin non è da meno. Anche lui è prodigo di lodi, assicura aiuto e incita a proseguire sulla strada intrapresa. Che cosa sono mai, di fronte ai due colossi mondiali, quei poveretti della UE? Chi è Junker, l’ubriacone, chi è Dombrowskis, chi è Moscovici? Loschi figuri che vogliono male all’Italia, invidiosi di quel miracolo economico e sociale che fra poco si manifesterà in tutto il suo splendore, oscurando il ricordo, sempre più fievole, della rinascita avvenuta alla fine degli anni Cinquanta dello scorso secolo, quando il Nord della Penisola divenne ricco, abbandonando l’antica civiltà contadina per entrare trionfalmente nel novero delle potenze industriali. Quisquilie! Chi erano, nei primi anni del secondo dopoguerra, i De Gasperi ne gli Einaudi? Autentiche nullità, che parlavano ancora di risparmio e pretendevano di imporre al Paese una politica sparagnina. A proposito di risparmio: erano tempi in cui la Giornata del Risparmio, a scuola, tutti gli anni si celebrava in gran pompa. I nonni regalavano ai nipotini un salvadanaio, dove conservare le monetine che di tanto in tanto venivano loro regalate. Era un mondo di poveracci con le pezze nel culo e i piedi piantati nel pantano di ideologie economiche morte e sepolte. Nessuno, per sua disdetta, sapeva ancora nulla di Keynes. Poi a insegnarlo ai barbari ignoranti sarebbero arrivati i La Malfa e le giovani leve di un Partito Socialista pieno di entusiasmo, anche se un po’ pasticcione e tuttora abbagliato dal mito sovietico della Pianificazione. Ancora pochi anni, e dagli editoriali economici del “Corriere della sera” sarebbero scomparse le firme dei liberisti parrucconi come Libero Lenti per lasciar spazio a quelle di baldi giovanotti come Nino Andreatta, l’economista di belle speranze con la pipa in bocca, che blaterava di “riscoperta da sinistra del mercato” e altre sciccherie del genere… Finalmente qualcosa si muoveva, ma era ancora troppo poco. Sarebbero arrivati i tempi dell’inflazione a due cifre, ma la colpa non era di Guido Carli che, da banchiere centrale, finanziava per motivi patriottici le spese pazze del Tesoro. La colpa era della crisi internazionale, quella del petrolio. Erano quei cagnacci dell’OPEC a strangolare il Bel Paese. Allora a venirgli in aiuto erano i tedeschi di Helmut Schmidt. Non a parole, come fanno adesso Putin e Trump, ma con tanti bei D-Mark sonanti, da restituire con fior di interessi. “Bello il vostro Statuto dei Lavoratori – dicevano i crucchi – Però fa andare l’Italia Kaputt”.

Questa ormai è Storia. Quel che seguì non fatemelo ripetere, ormai lo conoscono anche i giovincelli. O forse no, perché se è vero che la Storia antica si studia poco e male e quella moderna è stata brutalmente sforbiciata nei programmi scolastici, quella contemporanea è evanescente come un fantasma: al punto che il presidente Arlecchino, che pur non è tanto giovincello, arriva a confondere l’8 Settembre con il 25 Aprile. Mi limito a ricordare che non ci fu più freno alla spesa pubblica, che giunse il momento in cui, per non finire in bancarotta, si pensò bene di compiere un furto con scasso, prelevando una somma percentuale da tutti i conti correnti degli italiani. Chi commise il delitto fu salutato come un nuovo Padre della Patria: ancor oggi, ormai lontano dalla politica attiva, riveste incarichi prestigiosi, partecipa a convegni, si gode laute rendite. Altre tasse furono gettate sul gobbo dei contribuenti per entrare nell’ Eurozona. Ora molti scalpitano per uscirne, e forse sarebbero disposti a pagare un’altra tassa per farla finita. Ironia della sorte!

Eh, sì, finora non s’era capito un bel nulla. Dante diceva che si può peccare per malo obietto, per poco di vigore o per troppo di vigore; cioè, per dirla in soldoni, se si fa una cosa in sé sbagliata, se si fa una cosa in sé giusta ma in modo troppo blando, o se si esagera. I parrucconi degli anni Cinquanta facevano una cosa sbagliata: risparmiavano e insegnavano a risparmiare. Poi sono arrivati i keynesiani a insegnare la cosa giusta: il risparmio non è una virtù: è un vizio, perché se risparmi il denaro non circola, non si consuma, non si investe, l’economia si contrae. Visto cos’è successo ne 1929? Vogliamo fare la stessa fine? Non sia mai! Però Keynes sbagliava anche lui. Riteneva che bisognasse indebitarsi nei momenti di contrazione del ciclo economico, e tirare nuovamente i freni nei momenti di espansione. Anche per lui un eccesso i debito diventava pericoloso. Qui casca l’asino! Peccato per poco di vigore. Non è affatto così. Chiedetelo ai nuovi astri dell’Economa, i Borghi e i Bagnai. Bisogna continuare a indebitarsi se si vuole rinascere e rifiorire. Il debito? Rimanga lì! Se si cresce, il rapporto debito/pil cala,e tutto ridiventa sostenibile. Chiaro, no?
E’ l’uovo di Colombo. Tanto evidente che anche il ministro Tria, sulle prime così tenace nel sostenere la necessità i limitare il deficit, proprio per contenere l’indebitamento, alla fine si è lasciato convincere. Nel giro di una notte ha vissuto la sua rivoluzione copernicana. Anche lui è passato dalla parte degli spendaccioni.

Con il “reddito di citadinanza” abbiamo sconfitto la povertà, dice Di Maio. Bastano due parole, e il gioco è fatto. Come mai non ci si è pensato prima? La formula è semplice e geniale: REDDITO DI CITTADINANZA = RICCHEZZA PER TUTTI. Le parole sono potenti. Basta dire “Apriti Sesamo” e la montagna si apre mostrando i tesori che racchiude nelle sue viscere. E lo “Spread” che ricomincia a crescere vertiginosamente? Lo “Spread”? Una parolaccia il cui suono assomiglia a una scoreggia. Quella si è un mero “flatus vocis”. Basta un gesto per esorcizzarla. Il gesto dell’ombrello, tanto caro a Salvini, il fiero esponente del popolo padano, ora culo e camicia coi terroni, che a dispetto dei suoi studi al Liceo Classico non ha neppure imparato ad abbottonarsi la giacca (ma neanche i suoi compagni di governo: è la moda Trump).

Sconfitta la povertà, bisognerà provvedere a risolvere qualche altro problemino. Quello della casa per tutti, per esempio. Problema vecchio. Negli anni Cinquanta si tentò di risolverlo con il vasto programma del cosiddetto “Piano Fanfani INA CASA” per l’ edilizia popolare. Ricordo un vecchio geometra che era stato incaricato, non so più da quale ente pubblico, di andare a controllare il tetto di una di quelle case, appena costruita. Si mise le mani nei capelli:” Dovevo contare le tegole guaste -esclamò sconsolato al termine della sua ispezione-. Ho fatto più in fretta a contare quelle sane”. Ora questi sconci non avverranno più. L’onorevole senatrice Paola Nugnes, che milita nella sinistra del Movimento 5Stelle, ha pronta la sua soluzione: requisire le case sfitte e gli immobili abbandonati. Non è, a dire il vero, un’idea nuova. Già agli albori della politica di Centro-Sinistra, quando per la prima volta i Socialisti entrarono in coalizione con la DC, qualcuno aveva avanzato la proposta di toglier case a chi ne ha più di una e redistribuirle a chi non ne ha. Non se ne fece niente, perché, anche in questo caso, si peccava per poco di vigore! Ohibò, non è forse scritto nella Costituzione che la proprietà trova un limite nelle esigenze del bene comune? E chi stabilisce il bene comune? Chi comanda, naturalmente E chi comanda perché comanda? Perché è stato eletto dal popolo. E’ la Democrazia, bellezza. Anche se il popolo è una finzione. Lo disse a suo tempo Kelsen. Lo hanno ripetuto, recentemente, Panebianco e De Rita. Ma zitti! E’ bene continuare a credere a Gesù Bambino.

Ci scommetto che lì’idea della signora Nugnes non dispiacerebbe al papa regnante. E’ vero o no che Giovanni Battista diceva.”Chi ha due tuniche ne dia una a chi nonne ha”? Vero. Però quando furono i governi “giuseppinisti” (non ultimo lo Stato italiano post-unitario) a requisire i beni ecclesiastici improduttivi, la cosiddetta “manomorta”, per rimetterli in circolo, favorendo lo sviluppo economico (cioè il “bene comune” secondo i governanti di allora, che coincideva con quello di capitalisti e latifondisti) la Santa Sede gridò al sacrilegio. La proprietà quando è degli altri è comprimibile a puro interesse legittimo, nel nome della pubblica utilità; quando è mia, diventa sacra.

Ricordate quello che dice padre Pirrone al Principe di Salina nel “Gattopardo” di Tomasi di Lampedusa? Più o meno così: “Adesso il governo che sostenete porta via i beni che appartengono alla Chiesa, ma verrà il momento in cui porterà via anche i vostri”.
Ci siamo.

Giovanni Tenorio

Libertino