Don Giovanni

Le leggi fondamentali della stupidità umana

Vi ricordate il Paese dei Balocchi? E’ quello dove arrivano Pinocchio e Lucignolo, attratti dal miraggio di una vita tutto gioco e divertimento, libera dalle assillanti incombenze dello studio e del lavoro. Che pacchia! Peccato che alla fine i due malcapitati si trasformino in somari. L’immortale capolavoro di Collodi è stato interpretato in vari modi, tra l’altro come satira politica dell’Italietta post-risorgimentale, sordida e corrotta, che aveva tradito gli ideali di chi aveva combattuto per l’indipendenza e l’unità della Patria. Ma l’Italia di oggi non è molto meglio, anzi per molti versi è peggio. Il governo in carica richiama irresistibilmente sia il Paese dei Balocchi sia quello di Acchiappacitrulli. I citrulli sono quell’alta percentuale di sudditi che, a dispetto dell’incompetenza e della cialtroneria di cui ogni giorno i governanti danno prova, nonché dei guasti che i medesimi hanno finora provocato e seguitano a provocare, sembrano ancora abbagliati dalle magnifiche sorti e progressive promesse dal duo Di Maio-Salvini con il famoso contratto su cui si fonda la compagine governativa guidata (per finta) dall’Arlecchino Conte. Con un’aggravante, rispetto all’allegoria collodiana: citrulli non sono solo i sudditi che si lasciano abbindolare, ma gli stessi governanti. Che fanno i furbastri, assecondando da un lato i bassi istinti di una plebe forcaiola e razzista, dall’altro il sogno di un sovranismo antieuropeo che produrrà ricchezza stampando denaro e cancellando il debito; ma sono i primi a credere alle fandonie che vanno proclamando. Lisciano il pelo a Trump e a Putin, accarezzandone il disegno di sconquassare l’Unione Europea, non rendendosi conto che quei due, pur fingendo di litigare, sono come il Gatto e la Volpe: lo sconquasso, se alla fine avverrà, grazie anche alla cooperazione dei loro servi sciocchi che fanno da quinte colonne all’interno dell’Unione stessa, sarà tutto a loro vantaggio.

Leghisti e Cinquestelle credono alle favole.

Salvini, sotto sotto, con la compiacenza dei suoi consiglieri Borghi e Bagnai e l’appoggio di un Savona affetto da demenza senile, non vede l’ora di far saltare il sistema dell’Euro, magari dando l’innesco all’esplosione con il ritorno alla vecchia lira. Ricordate i bei tempi in cui si poteva scialare a piacere perché la Banca d’Italia di Guido Carli, non potendo sottrarsi al suo dovere patriottico, era pronta a comperare senza limiti i titoli di debito pubblico emessi dal Tesoro? Inflazione a due cifre. La sovranità monetaria trasferita dai tecnocrati europei al popolo significa nient’altro che questo: ritorno all’epoca famigerata in cui si stampava denaro senza limiti e per garantire la competitività dei prodotti italiani sul mercato internazionale si ricorreva a continue svalutazioni della moneta. Non che ora la Banca Europea abbia intrapreso un cammino virtuoso, sulla scia dei principi che, all’origine della sua fondazione, erano più vicini al modello della Bundesbank tedesca che a quello della FED americana; al contrario, con Mario Draghi si è scivolati verso l’idea che una Banca centrale debba non soltanto garantire la stabilità della moneta, ma anche sostenere lo sviluppo economico oliando il sistema con massicce iniezioni di moneta. Ma una Banca centrale ridiventata nazionale, e magari sottoposta alle direttive dei governi, sarebbe un autentico disastro. Eppure, Salvini e Di Maio evidentemente credono che, sotterrando monete nel Campo dei miracoli, se ne vedranno crescere a grappoli sui rami degli alberi. Proprio come Pinocchio: “E mentre camminava con passo frettoloso, il cuore gli batteva forte e faceva tic,tac,tic,tac, come un orologio da sala, quando corre davvero. E intanto pensava dentro di sé:- E se invece di mille monete, ne trovassi sui rami dell’albero duemila? E se invece di duemila ne trovassi cinquemila? E se invece di cinquemila ne trovassi centomila? O che bel signore, allora, che diventerei! Vorrei avere un bel palazzo, mille cavallini di legno e mille scuderie, per potermi baloccare, una cantina di rosolii e di alchermes, e una libreria tutta piena di canditi, di torte, di panettoni, di mandorlati e di cialdoni con la panna.-”

Si direbbe che gli scaffali delle librerie dei governanti leghisti e cinquestelle siano proprio piene di leccornie d’ogni genere, anziché di libri. Altrimenti non si spiegherebbe l’ignoranza ogni giorno esibita da ministri e sottosegretari, che confondono Austerlitz con Auschwitz, il participio con il gerundio, l’8 Settembre con il 25 Aprile (questa è addirittura del Presidente…) e credono che la Russia si affacci al Mar Mediterraneo. Anche qui, con un’aggravante, rispetto al burattino collodiano: non sanno governare neppure il congiuntivo, che invece Pinocchio, da buon figlio della Toscana, sapeva usare benissimo, pur marinando la scuola.

Come nelle favole, anche nella storiella del governo Conte c’è l’orco cattivo. E’ il ministro dell’Economia Giovanni Tria, l’unico che sembra avere la testa sulle spalle e avere solide conoscenze nella materia di cui si occupa. E’ lui a essere dipinto come il servo dei mastini di Bruxelles, che per pochi decimali nel rapporto debito/PIL non vuole prestarsi a una manovra espansiva, condannando il popolo alla fame. Eppure sarebbe così facile garantire un reddito di cittadinanza per tutti, una pensione dignitosa per tutti, una tassazione piatta per tutti, senza tener conto del debito che cresce! Basta far finta di niente, lasciare che il debito cresca a volontà, fare il gesto dell’ombrello allo “spread” e una pernacchia alle valutazioni delle agenzie di “rating” (tutte parolacce, fin qui non ci sono dubbi), e mandare a quel paese i mercati. Basta una formula magica: “Ce ne fottiamo”, e il miracolo avviene.

Peccato che le formule magiche del ministro Di Maio , anziché aprire la strada della prosperità prossima ventura abbiano finora provocato soltanto disastri. Lo “spread”, in conseguenza di certe pinocchiesche manifestazioni di intenti, continua a salire e i mercati, a dispetto delle smargiassate di chi li irride, si guardano bene dal rinunciare alla loro funzione di termometro che, misurando la febbre, mette in guardia dalle malattie indotte da sciagurate scelte economiche. Alla stregua dei bambini che credono ai maghi e alle fate, i grotteschi governanti capeggiati (per finta) da Conte dipingono i mercati come mostri famelici pronti a inghiottire i popoli desiderosi di pace, lavoro, benessere. Il mercato, invece, è come la società: non è vero che non esiste, ma non è neppure vero che è un mostro. E’ semplicemente un’astrazione con cui si indica il risultato di scelte economiche compiute indipendentemente da una miriade soggetti, piccoli e grandi, ciascuno sulla base di obiettivi suoi propri. Tale risultato non è la semplice somma delle singole scelte, ma qualcosa di diverso e molto spesso imprevedibile. A differenza della democrazia, dove è una maggioranza (spesso solo presunta tale) a imporre la propria volontà anche a chi preferirebbe compiere altre scelte, il mercato consente a ciascuno di scegliere come vuole. E’ questo il motivo della sua superiorità. Non è un mostro, anche se a volte conduce a risultati indesiderati. Mostro è piuttosto chi cerca di inquinarlo e distorcerlo. Costui ha un nome, Politica, e un’arena, lo Stato. Quando poi la Politica è nelle mani di persone ignoranti che agiscono nell’arena di uno Stato già per conto suo disastrato, il tracollo è vicino.

Nell’arguto saggio di “Le leggi fondamentali della stupidità umana” l’illustre e compianto storico dell’Economia Carlo Maria Cipolla dimostra che gli stupidi sono il peggior flagello dell’umanità, perché la loro logica è incomprensibile e quando sono al governo fanno più danni dei banditi. In più, oltre a danneggiare gli altri, danneggiano anche sé stessi.
Ergo: nella bella Italia diventeranno tutti somari, sudditi e governanti. Con le pezze nel sedere.

Giovanni Tenorio

Libertino