24 Maggio, giorno di lutto
Amici miei, quando anni fa un presidente del consiglio del Bel Paese, noto fra i suoi conterranei come storico del Risorgimento e illustratosi in passato quale direttore del più prestigioso quotidiano nazionale, andò in visita negli Stati Uniti, rimase piccato allorché, durante un ricevimento ufficiale, fu presentato al pubblico come studioso del Rinascimento. Non ho mai capito perchè se ne sia avuto così a male. Io ne sarei stato lusingato! Si sa che gli americani mediamente sono piuttosto ignoranti, ma anche chi ha un’istruzione piuttosto bassa, se non sa cosa significhi con precisione Rinascimento, conosce, almeno per sentito dire, Leonardo, Raffaello, Michelangelo; sa che, in un certo momento storico – chissà quale, ma poco importa- in un territorio a forma di stivale sono nati e vissuti alcuni dei più grandi geni dell’Arte. Ma il Risorgimento, che roba è? In quel territorio a forma di stivale qualcuno ha avuto la bella idea di impastare insieme, con atti di guerra, tanti territori fino a quel momento sottomessi a sovranità diverse, uno dei quali appartenente a un grande impero centroeuropeo. Ubbie di letterati, intellettuali e teste calde, di cui seppe approfittare una monarchia ciabattona – alla cui corte si parlava molto dialetto, un po’ di francese e quasi niente italiano- che ebbe la fortuna, a un certo punto, di trovarsi come primo ministro l’uomo politico più intelligente d’Europa. Agli abitanti dello stivale, tranne quei pochi esaltati, l’impasto – in breve ottenuto grazie all’ausilio dei cugini dalla erre moscia e d’un d’un migliaio di sciamannati volontari guidati da un ex -fuorilegge, con il sostegno della massoneria internazionale e la benedizione di Albione – non fece né caldo né freddo; anzi, forse fece più freddo che caldo, perché si trovarono costretti al servizio militare obbligatorio e a una tassazione più esosa di prima. Arrivarono anche tante guerre, alcune per completare l’impasto, altre per emulare le grandi potenze coloniali, e furono tutte più o meno un disastro. In compenso il regio esercito riscattò il proprio onore quando, agli ordini di un valoroso generale, a Milano domò una manifestazione del popolo affamato con scariche di fucileria e possenti cannonate. Qualche decennio prima, soldati vestiti da pappagallo s’erano fatti ancor più onore mettendo a ferro e fuoco, con contorno d’altre atrocità, due paesi del Sud, accusati di ospitare bande di ribelli. L’Italia ormai era fatta, bisognava fare gli italiani. Ci voleva una guerra straordinaria, che impegnasse giovani, meno giovani e ragazzini in calzoni corti in azioni sanguinose, fra stenti di ogni genere, caterve di morti ammazzati e feriti a iosa, inventandosi un nemico che si doveva affrontare per difendere il sacro territorio della patria. L’occasione arrivò con lo scoppio della Prima Guerra Mondiale. Si prese la scusa che bisognava portare i confini allo spartiacque alpino perché così piaceva a Dio, che aveva fatto le Alpi come barriera contro l’odioso straniero. Il re, all’insaputa del parlamento, violando un patto di politica estera più volte rinnovato fino ad epoca recente, sottoscrisse un altro patto segreto con quelli che – in base alle alleanze ufficiali- avrebbe dovuto avere come nemici. Formalmente il suo agire era legittimo, perché lo statuto del regno, all’art. 5 così recitava: “Al Re solo appartiene il potere esecutivo. Egli è il capo supremo dello Stato, comanda tutte le forze di terra e di mare, dichiara la guerra, fa i trattati di pace, d’alleanza, di commercio ed altri, dandone notizia alle Camere tosto che l’interesse e la sicurezza dello Stato il permettano…” Il parlamento avrebbe potuto vanificare la manovra negando i finanziamenti per la campagna militare, ma la maggioranza, pur contraria alla guerra, preferì assentire, per evitare una crisi istituzionale. Lealismo, codardia o coglioneria? Scegliete voi. Di fatto, si accettò un sopruso gravido di conseguenze. 24 Maggio 1915, il bel Paese entra in guerra. Giudizio di Alfredo Frassati: “Proprio nel 1915 è nato il fascismo”.
Ma allora, dico io, se le cose stanno così, non si può da un lato, il 25 Aprile, festeggiare la Resistenza antifascista, con tanto di inno nazionale, tricolori che garriscono al vento, pappagalli che corrono, e neanche un mese dopo, il 24 Maggio, festeggiare con la medesima retorica la guerra che fu l’inizio del fascismo , “per la contradizion che nol consente”. O forse contraddizione non c’è affatto se è vero, com’è vero, che in Italia ci sono due tipi di fascisti, i fascisti e gli antifascisti, secondo il noto aforisma di Ennio Flaiano.
Io lascio le contraddizioni a chi si vuol contraddire. Per parte mia, mi vesto a lutto, per pietà di quei poveretti che furono mandati ad uccidere altri poveretti da cui non avevano ricevuto torto alcuno: tutto per il bene della patria, ultimo rifugio dei mascalzoni.