Don Giovanni

Se questa è economia di mercato (caro Mingardi) io sono Guglielmo Tell

Quando si parte dall’idea che il capitalismo è sempre buono e bello, per definizione e, sempre per definizione, pur con qualche macchia, quella in cui è immerso ormai tutto il mondo è un’economia di mercato sine labe originali concepta, può capitare di prendere lucciole per lanterne in perfetta buona fede. Sentite quello che dice Alberto Mingardi in un suo articolo, peraltro molto ben scritto, pubblicato sul “Corriere della sera” di venerdì 30 aprile: “Il regime di tutela dei diritti di proprietà intellettuale sarà senz’altro discutibile, ma è un po’ curioso che lo si trascini sui banchi degli imputati dopo che ha consentito nel corso di un anno lo sviluppo di 78 vaccini Covid”. Mi fermo qui e tento qualche riflessione. Mi fa specie, innanzitutto, che un pensatore liberale come Mingardi, formatosi sui testi dell’anarco-capitalismo rothbardiano, canti l’elogio della proprietà intellettuale proprio in campo farmaceutico, laddove il saggio di Boldrin e Levine da noi citato nel precedente articolo dice tutto il contrario, con argomentazioni difficilmente oppugnabili: i brevetti sono dannosi e ostacolano la diffusione di nuove idee. Si dirà: ma questa “pandemia” è un caso eccezionale; quindi per una volta tanto la proprietà intellettuale è stata utile, se è servita a mettere sul mercato ben 78 vaccini. Mi vien da rispondere: troppa grazia, Sant’Antonio! Forse sarebbe bastato un vaccino solo, ma più sicuro. Perché le diverse case farmaceutiche non si sono accordate per raggiungere un tale scopo? I 78 vaccini sono stati studiati e approvati grazie a enormi sovvenzioni pubbliche e a contratti in gran parte secretati, dove si riconosce ai produttori la piena immunità penale e civile in caso di danno biologico causato dai loro farmaci. Meglio: dalle loro terapie geniche, perché questo in realtà sono i cosiddetti vaccini anti-Covid, chiedetelo al prof. Giulio Tarro. Quindi lo Stato sovvenziona (prima rendita), garantisce con la tutela dei brevetti la proprietà intellettuale (seconda rendita), infine paga di tasca propria, cioè con le tasse estorte ai cittadini, anche quelli che non si sono voluti vaccinare, il risarcimento a chi dalla vaccinazione ha ricevuto un danno (terza rendita). Se questa è economia di mercato, caro Mingardi, io sono Guglielmo Tell. Sicuramente è capitalismo, e del peggiore: quello che si garantisce lauti profitti grazie ai privilegi concessi dallo Stato, scaricando le eventuali perdite per casi imprevisti sui bilanci pubblici. Se proprio gli Stati dovevano finanziare la ricerca per la produzione di un vaccino, avrebbero dovuto pretendere come contropartita la collaborazione fra le case farmaceutiche e la rinuncia al brevetto. Niente immunità penale: i delitti, dolosi o colposi che siano, si pagano. Qualora si accerti che un eventuale danno biologico è dovuto a un caso fortuito e imprevedibile, si può anche accettare che sia lo Stato a risarcire, almeno in parte, il danneggiato. Questo in un sistema statalista che voglia conservare un minimo di dignità. Non il nostro (intendo quello del mondo in cui viviamo), che è manovrato da una masnada di delinquenti con al loro servizio eserciti di inetti burattini (di cui il ministro Speranza è un fulgido esempio). Senza le sovvenzioni statali, senza  i brevetti, senza l’immunità penale non avremmo avuto i vaccini! Nessuno avrebbe accettato di collaborare con i concorrenti senza la prospettiva di lauti profitti! Ammettiamo pure che sia così. Facciamo finta che lo Stato non esista, che la proprietà intellettuale non sia tutelata, che chi sbaglia debba  pagare di tasca propria fino all’ultimo centesimo. Non si producono vaccini? Benissimo. Si ricorre a cure meno costose. All’inizio di questa “pandemia” sulle cure si poteva essere incerti, e commettere errori anche gravi, come quello di sconsigliare le autopsie, prescrivere il paracetamolo come antipiretico, procedere al ricovero ospedaliero se dopo due giorni dall’insorgere della sintomatologia la situazione non migliora e ricorrere alla ventilazione nel caso in cui l’infezione degeneri in polmonite. Ma una volta scoperto che il paracetamolo aggrava lo stato infiammatorio, che alcuni farmaci, come la clorochina, se somministrati in tempo, sono efficaci, che il cortisone può essere utile per evitare la degenerazione in polmonite, che l’eparina è un ottimo rimedio contro le tromboembolie, sarebbe bastato cambiare i protocolli per curare gli infetti, tranne i casi più gravi, con terapie domiciliari affidate ai medici di base. Invece, che cosa si è fatto? Si è perseverato sulla strada diabolica. In Italia, il governo ha addirittura fatto ricorso al Consiglio di Stato contro una sentenza del TAR del Lazio che auspicava la revisione dei protocolli ministeriali, sulla base di evidenze incontestabili: i buoni risultati ottenuti da quei medici che, in scienza  e coscienza, hanno curato con successo i loro pazienti  malati di Covid con rimedi alternativi a quelli suggeriti dai protocolli ufficiali. E il Consiglio di Stato gli ha dato ragione! E’ da complottisti sospettare che dietro ci sia qualcosa di poco chiaro? E’ da complottisti rimarcare che fin dall’inizio della “pandemia” tutte le fonti di informazione prone al regime hanno detto e ripetuto che se ne sarebbe usciti solo con il vaccino? E perché mai? Di solito di fronte a un nuovo morbo si cerca innanzitutto la cura; alla profilassi si può pensare in seguito, con la dovuta calma e con i ritmi opportuni. Prima si cerca di curare i malati, e poi si escogita il rimedio per evitare che ci si ammali. Tra l’altro, tutti i bravi medici sanno e la storia delle epidemie ci dice che vaccinare nel pieno di un picco epidemico può causare una recrudescenza del morbo che si intende combattere. E’ successo più volte in passato, addirittura con violente rivolte popolari che hanno costretto le autorità a sospendere le campagne vaccinali.Io sono immortale, quindi non ho bisogno di vaccinarmi. Se fossi mortale, non lo farei, neppure se mi puntassero una pistola alla tempia. Mi è bastato leggere i fogli illustrativi dell’AIFA per sentirmi correre un brivido lungo la schiena. Consiglio a chi non si è ancora vaccinato di leggerli, a chi si è già vaccinato di non leggerli.Poi, ognuno faccia quello che vuole. I liberali come Porro e Mingardi cantino le magnifiche sorti e progressive di un sistema che  dona all’Umanità ben 78 vaccini in un anno, destinati a ridonarci la salute e a riconsegnarci alla libertà, dopo mesi di arresti domiciliari. Purché non mi si venga a dire che tutta questa roba è il frutto di un’economia di mercato sine labe originali concepta. E’ il frutto dello statalismo e del capitalismo più odiosi, che ancora una volta marciano a braccetto.

Giovanni Tenorio

Libertino

2 pensieri riguardo “Se questa è economia di mercato (caro Mingardi) io sono Guglielmo Tell

  • Non sono molto critico rispetto alla tecnologia del vaccino di per sé e non ritengo utile la distinzione che pretenderebbe di fare Tarro.
    Solo i vaccini basati su virus inattivato (quello per la rabbia ideato da Pasteur, per esempio) secondo Tarro sarebbero vaccini. Quelli basati su virus vettore (come quello di Jenner per il vaiolo, tra l’altro precedente rispetto al vaccino di Pasteur) e quindi non solo quelli quelli che usano la tecnica “RNA incapsulato”, a voler essere rigorosi, non sarebbero vaccini ma “terapia genica”, perché i virus-vettore si servono comunque delle strutture cellulari dell’ospite per replicarsi).

    Sono tuttavia evidenti alcuni fatti per i quali non posso che concordare con Don Giovanni. Premetto che lo scivolone di Mingardi non mi sorpende: da qualche anno mi sono disilluso nei suoi confronti.

    In particolare: il vaccino è utile ma non risolve il problema, a causa della natura stessa dei virus della famiglia Coronaviridae che avendo la tendenza a “variare” (in modo causale) non sono facilmente “inquadrabili”. In un reale contesto di mercato, ovvero senza il regime di panico creato dagli Stati, senza il ricatto “vaccino o lockdown” e con un costo di mercato (fosse anche solo di qualche moneta, ma di tasca propria), difficilmente si sarebbe diffuso per libera scelta.

    Inoltre l’intervento dello Stato come intermediario interrompe la “catena” di responsabilità e in caso di eventuale risarcimento, il percorso sarebbe toruoso: responsabilità dello Stato che lo ha scelto (il destinatario non ha nesusna voce in capitolo) o del produttore? Personalmente preferirei avviare una causa contro una multinazionale farmaceutica che contro lo Stato: avrei più possibiità di accordo, se non di giustizia. Forse questa è una mia prospettiva personale e dipende dal fatto che sono in attesa di rimborsi da 18 anni (dopo ricordo vinto contro INPS) e da 7 anni (ricordo vinto contro Agenzia delle Entrate).

    La scelta del vaccino non dipende quindi da chi lo riceve, è questa economia di mercato secondo Mingardi?

    Ho molti dubbi anche sulla constatazione di Mingardi circa l’utilità della proprietà intellettuale.
    Mingardi dimostra (e conferma) di avere solo sentito parlare di mercato, ma di non averlo vissuto (è quello che gli rimproveravo anni fa: è nato vecchio, pur essendo di qualche anno più giovane di me, e saltando un passaggio: ottimo saggista ma senza la saggezza dell’esperienza).

    I tempi ristretti rendono non determinante la proprietà intellettuale, quello che conta è il concreto segreto industriale (che non riguarda solo la tecnologia del vaccino, ma l’enorme complessità del processo produttivo: un iceberg che difficilmente viene percepito interamente) e l’efficacia. Si consideri che il “mercato” cinese e quello indiano (i più appetibili numericamenti) sono “immuni” dalle pretese di rendita di chi detiene un brevetto (non solo per i vaccini, vale anche per il software, l’elettronica e la meccanica, pur con strategie diverse dei due Stati). Inoltre, proprietà intellettuale o no, tra 12 mesi i vaccini covid saranno tutti allineati e acquistabili per pochi euro: l’affare è ormai alle spalle, e risale al 2020: non ci sarebbe stato nemmeno il tempo di far valere la proprietà intellettuale.

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  • Alessandro Colla

    La vera singolarità è quella dell’ex fanciullo prodigio Mingardi che si professa allievo di Ricossa ma non nota che qualsiasi tipo di proprietà foraggiata da denaro pubblico è un attentato alla proprietà altrui attuata con l’arma fiscale. Questa sua vaccinomania, tra l’altro, la ritengo dovuta al fatto di doverla professare per poter scrivere su Il Corriere Della Sera; le entrate sono entrate e valgono qualche concessione alla superstizione creata dai novelli Dulcamara che vogliono vendere il Pfizspecifico con Speranza a cantare “io gratis ve lo do”. Non si chiede “er banana” (qui a Roma fu così apostrofato quando in una riunione organizzata da Giuliano Ferrara sulle privatizzazioni, si presentò in completo giallo) come mai dal 2003 non hanno ancora trovato un vaccino contro la SARS. In più di diciassette anni non ci sono ancora riusciti e ora tagliano il traguardo in meno di diciassette settimane? Con un virus che presenta molte più varianti? Semplicemente ridicolo ma il buon senso se ne sta nascosto come diceva quel tale “autor d’un romanzetto” del quale non ricordo il nome, come del resto non lo ricordava Giuseppe Giusti. Solo che è inutile stare a loro citare il professor Tarro. I viropatetici, diffusori del morbo ipocondriaco di massa, hanno già deciso che sia uno che non capisce niente e che altrettanto niente sa. Lo decidono loro, qualcuno gli ha dato il potere decisionale e il popolo bue obbedisce anche accettando queste attestazioni di patenti rilasciate da attestatori abusivi. Cercasi disperatamente un’Adina che dica pubblicamente di non credere alle virtù dell’elisir.

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