Don Giovanni

Pensieri di fine anno

Ai malcapitati indonesiani è arrivato anche quest’anno un regalino natalizio, anzi un regalone: non proprio come quello di quattordici anni fa, ma dello stesso tipo, e di una certa consistenza. La “cintura di fuoco” non perdona: ogni tanto deve far sentire la sua presenza.  A proposito di terremoti e di vulcani,  un regaluccio è arrivato anche ai catanesi, che pur amano il loro Etna, considerandolo quasi una benedizione perché – a quanto dicono, ma io non ci giurerei – con le sue eruzioni smorzerebbe la potenza dei terremoti. Considerando anche tanti altri eventi poco lieti di questi giorni, si direbbe proprio che Gesù Bambino, proprio nei giorni in cui si celebra la sua nascita,  abbia girato la testa dall’altra parte. I bigotti diranno che Dio ci vuol punire dei nostri peccati.  A loro riservo un bel pernacchio: si tengano il loro dio geloso e crudele dell’Antico Testamento, quello che si pentì di avere fatto l’uomo e mandò il diluvio. Se lo tengano ebrei e islamici, e anche Lutero e i protestanti, se gli piace. Aveva ragione Marcione: il Dio-Amore di Cristo non ha nulla che fare con lui. In un suo scritto di molti anni fa il teologo Ratzinger, futuro papa Benedetto XVI, affermava che solo attraverso la sofferenza la vita umana acquista valore. Non condivido, se in questo modo si vuol giustificare una divinità crudele, ma il ragionamento ha una sua  Iogica, che porta acqua al pensiero libertario: qualora, grazie a un efficiente sistema burocratico, si potessero eliminare tutte le angustie che tormentano l’umanità, diventeremmo cinici, la carità non avrebbe più senso, i più nobili sentimenti  che ci spingono a soccorrere i nostri fratelli in difficoltà si inaridirebbero. Io, da buon epicureo, credo che gli dèi possono aver acceso il motore che ha creato e mantiene in vita il mondo (o i mondi, se ce ne sono altri), ma poi se ne sono lavati le mani e hanno lasciato le loro creature in balia di se stesse. Mi permetto soltanto una riflessione. Ci si affanna tanto a trovare accordi internazionali per lottare compatti contro l’accumulo di CO2 nell’atmosfera, che sarebbe all’origine  delle temperature medie in costante aumento (tutto da dimostrare), con conseguenze catastrofiche in un prossimo futuro. Continuo a credere che questa bella favola sia un segno di YBRIS, come dicevano gli antichi Greci, tracotanza. Quella tracotanza che può scatenare lo PHTHONOS THEON, la gelosia degli dèi. Sì, proprio tracotanza, perché in nessun altro modo si può definire l’atteggiamento di formichine che  si credono così importanti da poter cambiare, con la propria attività,  i connotati dell’Universo. Il clima è determinato da una congerie di fattori che in gran parte sfuggono al nostro controllo; ci sono state glaciazioni quando l’uomo ancora era di là da venire; in epoca storica, ad esempio al tempo di Dante, ma anche in altri momenti delle età precedenti, la temperatura era più elevata di oggi. Ma allora le attività umane che producono CO2 erano di infimo livello: la rivoluzione industriale, con le sue scorie diffuse nell’atmosfera, era ancora lontana di secoli e secoli. Quindi l’uomo con il clima non c’entra nulla, o quasi. Si preoccupi piuttosto, con la tecnologia di cui dispone, di prevenire, per quel che può, cataclismi come terremoti e maremoti, e magari impatti di asteroidi sulla superficie terrestre, come quello che causò la fine dei dinosauri. Se cadesse sul groppone della nostra Terra un altro proiettile del genere, saremmo finiti. Se avessi la testa dei bigotti di cui sopra, mi azzarderei a dire che sarebbe la punizione degli dèi, resi gelosi dalla nostra tracotanza.

Mentre in Italia capitano avvenimenti luttuosi, il buon Salvini non ha nulla di meglio da fare che diffondere la sua foto mentre addenta pane e nutella. Il messaggio è ben chiaro: “Io sono come uno del popolo, non sono un radical-chic. Mangio quel che mangia la gente comune, aborro i cibi bio, lascio ai sinistroidi le diete vegane e vegetariane. Vesto abiti comuni, camicie e giacche stazzonate, cravatta al vento (quando proprio me la devo mettere). Parlo come parla la gente, anche se ho frequentato il Liceo Classico” (chissà come) . Pare che questo atteggiamento finora porti acqua al suo mulino. Il consenso al suo partito, in questi primi mesi di governo, è gradualmente cresciuto, mentre quello al partito del suo alleato-avversario Di Maio sembra calare. Se è vero che al Nord la Lega, ultimamente., ha perso qualche colpo, nel Sud sta sottraendo voti ai Cinquestelle. Stia attento, però, Salvini, a non dir quattro fin che non l’ha nel sacco. Il suo obiettivo è quello di portarsi a casa un bel bottino alle elezioni europee del prossimo maggio. Se così sarà, il governo potrà essere messo in crisi e si aprirà la strada alla possibilità di un Salvini presidente del Consiglio in una coalizione in cui la Lega detiene il pacchetto di maggioranza. Ma i sogni fanno presto a trasformarsi in incubi; chi oggi è sull’altare domani può cadere nella polvere ed essere calpestato (Renzi insegna). Si dice che in Italia un fenomeno come quello che sta sconvolgendo la Francia con la rivolta dei “Gilet jaunes” non potrebbe capitare, perché i populisti sono al governo, quindi non hanno bisogno di scendere nelle strade a chiedere il “cambiamento”: lo stanno già facendo loro, nelle stanze del Palazzo che hanno conquistato per volontà del popolo. Sarà. Ma se a un certo punto il popolo dovesse accorgersi che le promesse degli amati suoi rappresentanti sono state, l’una dopo l’altra, rinnegate? Che chi proclamava di aver sconfitto per decreto la povertà ha saputo soltanto aumentare la pressione fiscale, causare maggior disoccupazione, rallentare una crescita economica già per sua natura fragile, decurtare redditi legittimamente guadagnati per istituire un “reddito di cittadinanza” da straccioni, che induce all’ozio e al parassitismo? Che la cosiddetta “flat tax” è finita nel dimenticatoio e il costo del lavoro continua a essere una palla al piede per la competitività? La gente potrebbe scendere nelle piazze, e il populismo, incapace di cambiare l’Italia e magari l’Europa dalle stanze del Palazzo, ridiscenderebbe le scale per impugnare forconi, manganelli e pietre. Ce n’è già qualche avvisaglia: cortei sì Tav e No Tav manifestazioni di taxisti e Ncc a Roma, sindacati sul piede di guerra, malumori serpeggianti in tutte le categorie produttive, stizza delle associazioni senza fini di lucro che si vedono appioppare sul groppone il raddoppio dell’IRES, con in più la involontariamente beffarda giustificazione dell’ochetta Laura Castelli ( “Noi vogliamo tassare solo i profitti”. I profitti delle associazioni che escludono il profitto, ed eventualmente lo reinvestono in attività benefiche?). Intendiamoci bene, spero con tutto il cuore che tutto questo non avvenga. Auguri.

Una bella grana che il governo “di contratto” (i governi “di coalizione” sono acqua passata: anche questo è segno di cambiamento!) dovrà cercar di risolvere a breve è quella che riguarda l’attuazione dell’autonomia regionale allargata, che le regioni Lombardia e Veneto hanno richiesto per sé  al Governo in seguito a un responso referendario, e la Regione Emilia-Romagna per semplice iniziativa della sua giunta. Ho l’impressione che chi a suo tempo è andato a votare abbia capito ben poco di quel che gli si chiedeva. I più erano convinti che una vittoria referendaria avrebbe comportato, automaticamente, un trasferimento alla Regione dei fondi corrispondenti al “residuo fiscale”, ovverossia alla differenza fra quanto i suoi cittadini versano allo Stato attraverso le imposte e il valore di quanto ritorna loro indietro in termini di servizi pubblici. Non è così. Se mai l’autonomia allargata si attuerà, i cittadini di Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna continueranno a versare alle casse dello Stato quello che versavano prima. Semplicemente, le loro Regioni si vedranno assegnati i fondi che finora lo Stato ha gestito direttamente per finanziare i servizi che ora dovranno gestire in proprio. Può darsi (ma non è detto) che le Regioni riescano ad essere più efficienti, garantendo ai cittadini servizi migliori a costi più bassi. Nel qual caso, visto che i trasferimenti dallo Stato saranno calcolati in base alla spesa storica e non ai fabbisogni standard, l’eventuale quota risparmiata resterebbe alle Regioni, che potrebbero impiegarla per ulteriori miglioramenti e nuovi servizi. Se proprio vogliamo parlare di “residuo fiscale, è questo, e soltanto questo. Che però ad alcuni critici non va bene: sarebbe -dicono- un ulteriore fattore di diseguaglianza. Il divario tra Regioni ricche e Regioni povere, che ricevono più di quanto versano allo Stato, aumenterebbe. Non vedo perché. Se il “residuo fiscale” fosse quello che intendevano i babbei (tutto quello che la Regione paga in più rispetto ai servizi che riceve deve restare alla Regione) sarebbe vero: chi è ricco diventa più ricco. Ma se è quello che si diceva prima, tutto rimane com’è ora. Le Regioni ricche continuano a pagare allo Stato più di quello che ricevono. Traggono vantaggio da un eventuale risparmio conseguito attraverso la gestione diretta di certi servizi, per i quali ricevono esattamente quello che pagavano quando tali servizi erano gestiti dallo Stato. Alle altre Regioni non portano via niente. O si vorrebbe che alle Regioni più povere vengano distribuiti i frutti del risparmio delle Regioni più ricche? Forse sarebbe più “solidale”. Ma potrebbe essere anche un incentivo ad adagiarsi nella  neghittosità, con un effetto non dissimile da quello che si otterrà con il  famigerato “reddito di cittadinanza”:  perché lavorare, se posso campare grazie al lavoro degli altri? Perché lavorare meglio, se il risparmio di chi lavora meglio finisce nelle mie mani?”I Cinquestelle dicono che metteranno in crisi il governo se la riforma delle autonomie allargate passerà, i Leghisti che manderanno tutto all’aria se non passerà. Come volevasi dimostrare, c’è chi vorrebbe tenersi il risparmio ottenuto lavorando sodo e chi vorrebbe papparsi il risparmio degli altri. Ne vedremo delle belle.

La Svizzera è davvero il paese dove tutto va per il meglio nel migliore dei mondi possibili. Se il Paradiso Terrestre è veramente esistito (io ci credo poco, ma la mia opinione vale meno di zero), doveva essere un luogo più o meno come la Svizzera. Non dico per il paesaggio, che giustamente i romantici hanno rivalutato, vedendo in esso una manifestazione del “sublime” ; intendo dire soprattutto dell’organizzazione politica e sociale, che soltanto lì ha saputo attuare una democrazia integrale, dove il popolo è chiamato con inusitata frequenza a esprimere con il voto referendario la propria volontà. E’ così beato, il popolo svizzero, che rischia di annoiarsi per il troppo benessere e l’assenza di ogni problema. Mi fa venire in mente certe persone che,  quando sono in vacanza, dopo averle tentate tutte per ingannare il tempo che non passa mai, sognano di ritornare al più presto al proprio lavoro quotidiano, con tutte le sue grane e i suoi fastidi (ricordo un geometra che, da giovanissimo, mentre stava compiendo con un amico un avventuroso viaggio nel Sahara, confessava al suo compagno di sognare ogni notte il suo pantografo…)   Aveva ragione Leopardi: non ci si scappa, o l’affanno o la noia. In ogni caso, meglio l’affanno. L’unico problema degli svizzeri, quindi, è quello di trovare qualcosa per cui affannarsi. Si guardano intorno e vedono che altrove le cose vanno molto male: terremoti. inondazioni, tsunami, eruzioni vulcaniche, mentre con loro la Natura è fin troppo clemente; anche le valanghe sembrano aver fatto sciopero. L’Europa è in crisi, nel mondo ci sono qua e là focolai di guerra, la Cina fa paura, la Russia, per colpa di Trump, sembra coltivare le sue antiche velleità imperialistiche, il terrorismo islamico pare voler rialzare la testa, con il declino della Merkel la saldezza politica della Germania traballa, Macron in Francia è in difficoltà per la rivolta dei “Gilet jaunes”. Buon Dio, perché tutte le disgrazie agli altri, e a loro neppure una briciola? Eppure ci vorrebbe così poco! Solo qualcosina, tanto per rimanere un po’ sulle spine. Nossignore! Nel Paradiso Terrestre almeno c’era un divieto; uno era tentato di violarlo, per evitare la noia e poi… poi cadeva nell’affanno, e quale affanno! Ma era la sua salvezza. Ma gli svizzeri sono intelligenti, e un affanno l’hanno trovato. Si tratta di corna. Non fraintendetemi, non di corna in senso metaforico, cioè di corna coniugali. Credo che le corna coniugali  non sappiano neppure che cosa sono. Troppo ligi alla legge morale. Sono ligi alle leggi che ha voluto il popolo, figurarsi se trasgrediscono la legge morale, l”imperativo categorico” di Kant. No, si tratta delle corna in senso proprio, quelle degli animali. Gli svizzeri ritengono sacri i diritti degli animali, tant’è vero che a loro difesa nessun Paese del mondo ha leggi altrettanto severe. Hanno un po’ meno rispetto per i diritti degli immigrati; ogni tanto, se potessero, li getterebbero fuori dai loro confini a calci nel sedere, ma non hanno tutti i torti: sono brutti e puzzano. Ma con gli animali non scherzano. Qualche tempo fa sono stati chiamati alle urne per decidere se consentire o no agli allevatori di tagliare le corna ai bovini. E’ vero, rischiano di incornarsi tra loro e farsi male, ma perché attentare all’integrità fisica di quelle povere bestie? Sarebbe come tagliare le palle a un uomo. La proposta non è passata. Hanno vinto gli allevatori. Non certo perché amano gli animali più di chi vorrebbe risparmiargli il taglio delle corna. Allo stesso modo, quando veniva bocciata la proposta di cacciare gli stranieri, era per merito degli industriali, che però non erano spinti da ragioni umanitarie, ma semplicemente dal timore trovarsi a corto di manodopera.Tutto finito? Neppure per sogno. Mica si può ritornare nella noia del quieto vivere. Se non è andata bene con i bovi e le vacche, potrà andar bene con caproni, capre e capretti. Una deputata dei Verdi ha proposto che almeno a loro sia proibito di tagliare le corna. Ancora una volta gli allevatori sono contrari, si riaccende il dibattito. Si tenta di venire a un compromesso. Già il taglio delle corna viene praticato con l’anestesia. Si sono scoperti rimedi che possono rendere più sopportabile il dolore post-operatorio. Basterebbe renderne obbligatorio l’uso.Che Paese beato la Svizzera! Così democratico che si vuol imporre, a maggioranza, agli allevatori quello che devono fare. In nome dei diritti degli animali, naturalmente. Un modello da seguire. Meditate, cari amici, meditate. Abbiamo il Paradiso a due passi, e non ce ne rendiamo conto.

Giovanni Tenorio

Libertino

Un pensiero su “Pensieri di fine anno

  • La butto in battuta dicendo che i “gilè gialli” è un fenomeno che qui non può capitare perché… nessuno li ha a bordo, o perlomeno solo pochissimi, e sono solo ciula del nord (al sud zero spaccato, manco bollo, revisioni e assicurazione fanno…). Io stesso (ciula del nord) quando seppi che fecero la legge, ma non le sanzioni se non lo si ha a bordo, me ne sono strafregato altamente e non mai acquistato l’ennesima minchiata fottisoldi di governanti fottimadri.

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