Don Giovanni

Mostri e caramogi

Cari amici, se ci sono due sentimenti che non mi appartengono, questi sono l’odio e l’invidia. Badate bene, parlo di odio, non di disprezzo. II disprezzo mi appartiene, e come! Disprezzo persone come il Commendatore e Don Ottavio e, per venire a personaggi in carne ed ossa, non fatti della sostanza dei sogni, un bambolotto saccente come Matteo Renzi o tanti prelati untuosi che fanno la morale agli altri senza guardare al verminaio in cui si crogiola Santa Romana Chiesa. Il disprezzo è tutto di testa, l’odio tutto di cuore. Come non so amare alla maniera romantica, ma solo sotto la spinta dell’eros, ch’è istinto temperato dalla ragione, così non so odiare, perché anche l’odio è a suo modo romantico, in quanto capovolgimento, ugualmente passionale, dell’amore. Dall’invidia poi sono non solo lontano, ma lontanissimo. Invidiare chi? Come personaggio di sogno, godo di un’eterna giovinezza. Come personaggio sfuggente, di cui nessuno  potrà mai cogliere l’identità vera, posso permettermi tutti gli sberleffi e le insolenze che mi frullano per il capo contro le più auguste autorità, senza pericolo di essere trascinato davanti ad alcun tribunale . Ve li immaginate Ulisse, o Medea o Rolando o Don Chisciotte, o Amleto, o Faust, o Don Abbondio trascinati davanti a un tribunale da un analfabeta come Antonio Di Pietro?. Don Giovanni Tenorio, come e più dei suddetti, è immortale e intoccabile. Nessuna posizione è più invidiabile della sua.
Devo ammettere, tuttavia, che l’altro giorno, leggendo sul “Corriere della sera” un articolo davvero bello di Michele Ainis, per la prima volta nella mia vita un po’ di invidia l’ho provata.
Guarda guarda, mi sono detto, questo illustre politologo tralascia per un volta tanto la burbanza ch’è propria dei suoi pari e mi ruba il mestiere, usando il fioretto d’una sottilissima ironia ben più tagliente dei miei fendenti talvolta un po’ rudi, ma tutto sommato meno affilati. Come sa ben mettere alla berlina il Legislatore che, per aggirare le idiosincrasie e i pruriti dei cattolici, riempie le leggi attinenti alla sfera dei rapporti intimi di termini astrusi e perifrasi indigeste nonché incomprensibili! Guai ad alludere, anche solo lontanamente, al matrimonio, in una legge sulle unioni omosessuali! Quelle sono soltanto “specifiche formazioni sociali”. Guai a parlare di adozione del figliastro da parte di una coppia dello stesso sesso, ma piuttosto si parli di “stepchild adoption”. Ipocrisia della peggiore (perché c’è anche un’ipocrisia inevitabile, anzi benefica per l’equilibrio dell’umano consorzio, di cui altra volta abbiamo cantato l’elogio). Vi dirò che a me, più dell’ipocrisia, dà fastidio la barbarie linguistica. Che volete? Sono figlio di due uomini (specifica formazione sociale!) del Settecento, l’epoca del garbo e dell’eleganza (e anche l’eros è elegante, molto più delle smancerie romantiche, fatte di amori eterni destinati a incenerirsi nel volgere di poche stagioni): anche le brutture lessicali mi infastidiscono. Il grande italianista Aldo Gabrielli, il cui unico torto, involontario, era quello d’esser parente dell’insopportabile Irene Pivetti parlava di “mostri” e “caramogi”. Ecco, “stepchild adoption” è un caramogio, dal persiano “kharmush”, che significa “topo”, ma di quelli brutti, il ratto di fogna che porta la peste. “Caramogio” in antico indicava il nano di corte, spesso deforme e sempre insolente, come quel Rigoletto che il mio amico Duca di Mantova, libertino come me, ha sistemato per le feste grazie all’aiuto-non richiesto- di chi l’amava d’un amore romantico (ben vi sta a tutti, romanticoni dei miei stivali!). Però anche i cattolici, di rimando ai cosiddetti laici, non sono da meno. Un caramogio come “stepchild  adoption” non l’hanno trovato, ma in compenso hanno inventato un mostro come “family day”, costruito sulla falsariga di altri mostri albionici come “open day”, “no tax day” e simili. Non sarebbe più elegante e più civile dire “giornata della famiglia”? Anch’io sarei indotto, grazie alla dolcezza della lingua di Dante, a provarne tenerezza. Invece così ne provo soltanto disprezzo. Sì, disprezzo: e il cerchio si chiude.
Ma perché perder tempo a parlare di nominalismi, quando la questione che si sta dibattendo è tutta quanta di sostanza? Si parla tanto di “valori”, e la legge che si vorrebbe approvare per riconoscere legalmente le unioni omosessuali e permettere l’adozione del figliastro violerebbe, per i cattolici, i principi cristiani su cui si fonda la nostra civiltà. Vedete perché sarebbe stato tanto pericoloso richiamare tali non ben precisati valori nella Costituzione Europea? Sarebbero ben presto stati branditi come principi imprescindibili dai partiti confessionali cattolici o cristiani in genere proprio di fronte a leggi come questa in discussione, o ad altre che presto arriveranno nel Bel Paese, come quella della Buona Morte. In base a tali principi si potrebbero ridiscutere le leggi sull’aborto o addirittura sul divorzio. Ma questo, l’abbiamo detto mille volte, significa applicare né più né meno la tanto detestata “sharia” dei musulmani. Cattolici, neo-con, teo-con, e compagnia cantante sono i primi a stracciarsi le vesti perché i musulmani non sanno distinguere legge civile e legge religiosa, pretendendo di imporre la seconda anche a chi non ne vuol sapere; poi però pretendono di fare lo stesso, con i principi delle confessioni religiose cristiane, in particolare quella cattolica, dimenticando che c’è anche chi quei principi non li accetta. Per loro l’omosessualità è un disordine morale? Per me, che sono epicureo ed estimatore, sotto molti aspetti ,del mondo antico, no! Io sono agli antipodi di quelle tendenze, per inclinazione naturale, ma mi guardo bene dallo squadrare di traverso chi quelle tendenze le ha e, giustamente, pretende di soddisfarle nel pieno rispetto della volontà e delle tendenze altrui. Liberissima Santa Romana Chiesa di comminare, sulle orme di San Paolo, le pene infernali a chi gode piaceri carnali con persone dello stesso sesso, ma che questo debba diventare un divieto per tutti, no e poi no. Sono il primo a riconoscere che dietro il pensiero liberale, di cui quello libertario e libertino è uno sviluppo estremo, c’è il pieno riconoscimento della pari dignità di tutti gli uomini, ch’è il principio meraviglioso e davvero rivoluzionario della predicazione di Cristo. Però tutto il resto è opinabile, opinabilissimo: ognuno segua la propria coscienza e le regole delle comunità religiose cui decide di appartenere, ma non pretenda di conferire valore universale a ciò che universale non è. La concezione cristiana,  non solo cattolica-forse sarebbe meglio dire paolina- della sessualità, è cupa, a differenza di quella del mondo classico e dello stesso ebraismo. Perché volerla imporre a tutti? Nella “Suocera” di Terenzio troviamo una figura nobilissima di prostituta, Bacchide, che prostituta rimane, rispettata da tutti per la finezza dei suoi sentimenti. Nel mondo cristiano la prostituta per essere rispettata deve “redimersi”, sacrificarsi, morire, come la Margherita Gautier di Dumas figlio, tra le lacrime di coccodrillo di padri parrucconi  che solo alla fine comprendono il disastro che hanno combinato col loro becero perbenismo borghese…”Sdolcinature romantiche” le chiama giustamente il grande latinista Ettore Paratore. Quando piangiamo alle sublimi note della”Traviata” verdiana dovremmo riflettere che piangiamo sui guasti della morale sessuale cattolica, mischiata ad abiette ragioni di denaro e di rispettabilità sociale.
Permettetemi di dir due parole anche sulla tanto contrastata adozione del figliastro. La legge vigente la concede già per le coppie eterosessuali, perché non estenderla a quelle omosessuali? Per il bene dei minori! Ma è tutto da dimostrare che un minore allevato da due genitori dello stesso sesso subirebbe turbe psichiche. Sarebbe educato meglio in un istituto , magari sotto la sorveglianza di preti e suore? C’è più rischio che diventi culattone così che se educato da due culattoni dichiarati! Ma l’adozione del figliastro per le coppie omo favorirebbe la pratica dell'”utero in affitto”! E allora? Che c’è di male nell’utero in affitto? E’ contro la dignità della donna! Lasciate che siano le singole donne a giudicare della propria dignità. Torniamo a Terenzio. La prostituta Bacchide non si sentiva priva di dignità, né chi l’ha conosciuta, apprezzandone la nobiltà d’animo, l’ha ritenuta indegna solo per aver scelto quel mestiere.. C’è una sola condizione che toglie la dignità agli esseri umani: quella di chi è costretto a far ciò che non vuole e ad accettare contro voglia principi morali che non sono i suoi. Oppure a far la carità forzata, attraverso la redistribuzione coattiva del reddito propria del cosiddetto “Welfare” (altro caramogio). Quel che si fa volontariamente, in piena coscienza, senza ledere la libertà altrui, non toglie dignità a nessuno.
Nell’antica Roma , col passar del tempo, si lasciò perdere sia il matrimonio religioso (la cosiddetta “confarreatio”) sia quello civile (la cosiddetta “coemptio”). Bastava che un uomo e una donna convivessero  per un certo tempo e il matrimonio si dava come esistente, per una sorta di usucapione. Dovremmo ritornare a quel modello, estendendolo alle unioni omosessuali. Ognuno faccia quel che gli pare, e lo Stato non se ne impicci! Certo, verrebbero meno assistenza pubblica, benefici per i figli, pensione di reversibilità per il coniuge superstite, e tutte le altre gioie redistributive di un “Welfare” che col peso dell’imposizione fiscale ci sta rendendo schiavi più degli Iloti di Messenia.  Amici cari, è proprio per partecipare a questa torta gratuita  che i culattoni di regime, tradendo il loro originario spirito eslege, si danno tanto da fare per avere il loro matrimonio riconosciuto dallo Stato e-chissà mai, con i tempi che corrono- anche da Santa Romana Chiesa…  O tempora, o mores!

Giovanni Tenorio

Libertino