Cari amici, non so se conoscete il popolo dei Masai. Vivono tra il Kenya e la Tanzania, sugli altipiani nilotici. Sono per tradizione pastori e allevatori. Il bestiame è la loro ricchezza. Pare che grazie ai telefoni cellulari il commercio dei capi di bestiame abbia ottenuto benefici apprezzabili: i contratti sono diventati più agevoli, i tempi delle transazioni più rapidi. Purtroppo il progressivo inaridimento di quei territori è un problema piuttosto preoccupante. A me i Masai sono simpatici. Se è vero quel che ho sentito dire, i maschietti dopo un rito di iniziazione che comporta anche la circoncisione entrano nel gruppo dei giovani guerrieri e a questo punto vengono corteggiati dalle fanciulle che a loro volta sono entrate nell’età adulta attraverso riti iniziatici a loro riservati. Quanto mi piacerebbe essere al posto di quei giovani e ricevere le grazie di tante belle fanciulle, senza obblighi di fedeltà! È la mia filosofia: chi a una sola è fedele verso l’altre è crudele. Naturalmente vale anche il reciproco. Purtroppo la cuccagna dura poco. Quando il maschio ha raggiunto la piena maturità deve metter su famiglia,e allora chi è più ricco può comprarsi tutte le mogli che vuole, pagandole in capi di bestiame. Questo mi piace molto meno. Qui subentra l’ obbligo di fedeltà. Alla mia filosofia ripugna. E poi l’idea di accostare le donne ai buoi dei paesi tuoi può piacere a Gianfranco Miglio, non certo a me.
In questi ultimi tempi i Masai sono diventati improvvisamente di moda. Alcune case automobilistiche hanno intitolato ai Masai alcuni dei loro più prestigiosi modelli. I produttori di tessuti e gli “stilisti” di fama mondiale, quelli che sono usi a far soldi a palate vendendo cenci firmati ai gonzi che si compiacciono di esibirli, hanno scoperto l’esuberante fantasia dei disegni che adornano gli abbigliamenti dei Masai, e hanno pensato bene di farli propri, al riparo di lucrosi diritti d’ esclusiva. Questo è davvero troppo! Copiare è una gran bella cosa, ma difendere quel che s’ è copiato facendosi forti delle leggi dello Stato che proteggono la cosiddetta proprietà intellettuale(un artificio giuridico che non ha alcuna giustificazione né filosofica né economica) no e poi no! È impresa canagliesca. Sapete perché mi è simpatico il fondatore dell’ IKEA, morto in questi giorni? Perché ha saputo offrire al mondo intero arredamenti di buon gusto a prezzi stracciati, scopiazzando e contaminando con intelligenza, nel pieno rispetto formale della legalità, i più prestigiosi esempi di “design” industriale.
Pare che i Masai si siano accorti del giochetto e pretendano le “royalties”. Hanno ragioni da vendere: o la proprietà intellettuale non vale per nessuno (come sarebbe giusto in un mondo anarchico) o vale per tutti. Naturalmente le multinazionali, spalleggiate dai governi cui sono strettamente ammanicate fanno orecchie da mercante. Io tifo per i Masai. Chissà che prima o poi non ci sia qualche giudice a Berlino a riconoscere il loro sacrosanto diritto.