Don Giovanni

Il sistema giudiziario in una società anarchica

Come potrebbe essere il sistema giudiziario in una società anarchica? Ricordiamoci innanzitutto che anarchia non vuol dire anomia, cioè mancanza di norme; anche se molti – e non sempre in buona fede – usano il termine proprio in questo senso deteriore, come sinonimo di disordine, sovversione, sopraffazione, bellum omnium contra omnes. Una società anarchica è tendenzialmente pacifica, proprio perché non riconosce sopra di sé alcuna istituzione che, riservandosi il monopolio della violenza, la usa truffaldinamente allo scopo dichiarato di garantire l’ordine pubblico e il bene comune, di fatto per proteggere gli interessi della casta governante 4e dei suoi accoliti. La guerra è il parto più mostruoso di tale monopolio. Non nego che una guerra possa essere difensiva, nel qual caso sarebbe moralmente giustificabile come qualsiasi atto di legittima difesa. Ma, ditemi voi: quante guerre nel corso della Storia possono dirsi veramente difensive? Come sono nati i grandi imperi, da quello di Alessandro Magno a quello romano, ai regimi coloniali moderni (per parlare della realtà a noi più vicina e familiare), se non con operazioni aggressive e di rapina?
Società tendenzialmente pacifiche, quindi, quelle anarchiche; ma non per questo prive di conflitti. E neppure prive di delitti. La natura umana non si può cambiare. Alcuni regimi possono esasperarne gli aspetti deteriori, altri attenuarli. Ma il peccato originale non ce lo toglie nessuno. Non lo intendo in senso religioso, ma come dato di fatto. L’inclinazione al male è innegabile nell’essere umano. Anche se sono ben lungi dal pensare che ne sia il carattere dominante e che per limitarne le conseguenze sia necessario un sistema autoritario, come pensavano Machiavelli e Hobbes.

E allora un sistema giudiziario sarà necessario anche in un contesto anarchico. Non dipenderà da un potere centrale. Non sarà monopolistico. Non ci saranno procuratori della repubblica o attorney general che esercitano l’azione penale – non importa se obbligatoria o no – in nome dello Stato. In un certo senso la stessa separazione fra giustizia penale e giustizia civile verrebbe meno. La giurisdizione sarebbe esercitata da arbitri privati, scelti dalle parti. Probabilmente la giustizia punterebbe più al risarcimento della vittima che al recupero del reo. Qualcuno pensa che, almeno per certi reati, la pena potrebbe essere più dura di quanto non sia ora, per lo meno nei Paesi più civili. In alcuni casi potrebbe essere inflitta la pena di morte, fermo restando che la vittima o i suoi parenti potrebbero rinunciare all’azione giudiziaria, perdonando tolstoianamente l’offensore.

Fin qui tutto bene, almeno sembra. Ma sento già spuntare un’obiezione. Chi scriverebbe le leggi? Nessuno, in un certo senso. Non è detto che le leggi debbano derivare da organismi preposti alla loro formazione, secondo criteri che possono variare da sistema a sistema. Pensiamo allo IUS CIVILE dei Romani, o alla COMMON LAW anglosassone. Sono sistemi legislativi nati dalla pratica giudiziaria, sorretta dalla dottrina dei giuristi. Si suol dire che è un tipo di legislazione che emerge spontaneamente dal corpo di una società. Una mitologia come un’altra: non è propriamente così. Sono sempre individui in carne ed ossa a pronunciare sentenze che poi fanno testo, anche se è vero che tali sentenze non germinano dal nulla, ma si appoggiano a loro volta a illustri precedenti. E’ però una mitologia buona, molto meno truffaldina di quella democratica, che attribuisce al popolo una volontà inesistente e fonda il potere di chi comanda sulla tirannia della maggioranza. In un contesto anarchico la legge potrebbe essere soltanto di questo tipo.
Detto questo, non ne discende che il sistema giudiziario anarchico debba essere per forza tanto migliore di quello attuale. E poi, che cosa vuol dire sistema attuale? Ogni Stato ha il suo. Ce ne sono di buoni, di meno buoni e di pessimi. Vi faccio due esempi.

Siamo in Italia. Un automobilista, per errore dovuto a scarsa leggibilità della segnaletica orizzontale, viene a trovarsi sulla corsia di svolta a sinistra in prossimità di un semaforo, che in quel momento segna rosso per chi svolta e via libera per chi va dritto. Naturalmente va dritto. Se fosse presente un vigile in carne ed ossa, potrebbe sanzionarlo per canalizzazione scorretta, non certo per aver attraversato l’incrocio col rosso. Si dà il caso però che l’accertamento delle infrazioni sia affidato a un sistema di “intelligenza artificiale” : l’impianto fotografico riprende il veicolo sulla corsia di svolta a sinistra (svolta preclusa in quel momento dal segnale semaforico) e il malcapitato automobilista dopo qualche settimana si vede recapitare una notifica di sanzione piuttosto salata per aver attraversato l’incrocio nella direzione vietata. Il ricorso al prefetto si conclude con la conferma del verbale. Il giudice di pace conferma a sua volta, arrivando ad affermare che quel che il veicolo fa dopo la linea d’arresto non conta: anche se va dritto, è come se girasse! Siamo all’assurdo, ma anche il giudizio d’appello non modifica di una virgola la sentenza. Gli avvocati del Comune per contraddire l’affermazione della difesa secondo cui la segnaletica orizzontale non era leggibile, allegano una foto aerea dove la segnaletica è chiarissima. Però è una foto di due anni dopo; e il giudice o non se ne accorge (e allora è tonto) o finge di non accorgersene (e allora è disonesto). Si arriva in Cassazione. Il caso viene discusso in camera di consiglio dieci anni dopo (sic!!) la notifica dell’infrazione. Sono passati più di due mesi e nessuno sa ancora nulla della decisione. Quanto tempo occorre per motivare una sentenza relativa a un’infrazione stradale? “Chi è fedele in cose di poco conto è fedele anche in cose importanti, chi è disonesto nel piccolo è disonesto anche nel grande” diceva qualcuno.

Siamo nella Svizzera Italiana. Due residenti di altra nazionalità stuprano una ragazza italiana. Denunciati, vengono condannati a una pena detentiva abbastanza mite, e a un risarcimento in denaro, che però non sono in grado di pagare. In questo caso lo Stato interviene a norma di legge pagando la metà del risarcimento. In carcere, i due condannati, lavorando, riescono a restituire allo Stato la somma sborsata in loro vece, e si dicono disposti a pagare alla vittima anche l’altra metà. In un qualsiasi sistema giudiziario il compito della giustizia penale finirebbe qui. Tutto il resto è questione civilistica che deve svolgersi per impulso di parte. E invece nel nostro caso l’ufficio giudiziario che a suo tempo ha celebrato il processo rintraccia, dopo anni, l’avvocato della parte lesa, e spiega in una garbata lettera a lui inviata l’intenzione dei due reprobi di versare il resto del risarcimento. Alla lettera è allegata una busta per la risposta, che contiene francobolli italiani. Pare di sognare, ma vi garantisco che è tutto vero. Questa è civiltà.

Ho detto sopra che non so se una giurisdizione anarchica sarebbe tanto migliore di quel che vediamo oggi. Penso però che non sarebbe come quella italica, di cui sopra s’è dato un esempio. Forse assomiglierebbe di più all’esempio svizzero, perché agenzie giudiziarie in concorrenza tra loro sarebbero costrette a dare il meglio di sé, se non vogliono essere scartate da chi abbisogna dei loro servizi. Anche in questo caso sarebbe il mercato a far piazza pulita dei soggetti meno efficienti e meno attenti alle esigenze della clientela.

PS. In questo sito più di una volta abbiamo parlato male della Svizzera, irritando gli indipendentisti e i seguaci di Miglio, che ne fanno un mito. Questa volta ne abbiamo parlato bene, e l’abbiamo fatto con grande piacere, non certo obtorto collo. A dimostrazione che ci atteniamo sempre ai fatti, senza pregiudizi di sorta.

Giovanni Tenorio

Libertino