Don Giovanni

Il referendum farsa

“Barbiere, Barbiere, sempre Barbiere!”, così pare che Beethoven abbia suggerito a Rossini che gli aveva fatto visita, se l’aneddoto non è inventato, come qualcuno sospetta. Intendeva dire che gli italiani non erano portati per il teatro tragico. L’Opera buffa invece era nei loro precordi. Dopo tutto, Rossini era conterraneo di Plauto, il più esilarante commediografo della latinità. Continuasse su quella strada, lasciando perdere i drammi seri come la “Zelmira”, che purtuttavia proprio in quei giorni faceva impazzire tutta Vienna. Beethoven aveva torto: tutta l’evoluzione dell’Opera italiana dell’Ottocento, culminante in Verdi, l’avrebbe smentito. Però del carattere italico aveva capito tutto. Incline alla farsa, più che alla tragedia. In Italia, anche le vicende più serie e più tragiche si tingono di comicità. Pensiamo alla gloriosa Spedizione dei Mille. Un manipolo di scamiciati che partono alla chetichella da uno scoglio vicino a Genova, su due vecchie caffettiere, muniti di fucili da tiro a segno. Basterebbe un paio di cannonate per mandarli all’aria, ma la Marina della Corona inglese, che ha tutto l’interesse alla caduta del regno borbonico, impedisce ogni controffensiva, rendendo possibile lo sbarco a Marsala. Il resto è tutto opera della Mafia, che recluta i “picciotti” per rinfoltire le truppe garibaldine, e della Massoneria internazionale, che corrompe i funzionari borbonici a suon di lingotti d’oro. Bell’eroismo, vero? Anche quello di Bixio, che non esita a fucilare i contadini in rivolta per ottenere la terra che è stata loro promessa. Si commettono tante schifezze che i documenti relativi alla gloriosa impresa devono essere fatti sparire. Ne fa le spese il povero Ippolito Nievo, che finisce col suo piroscafo in un prato in fondo al mare.

La Guerra del 15-18 è una tragedia, anzi un delitto di Stato. Gente mandata uccidere altra gente che non le ha torto un capello. La gloriosa battaglia di Vittorio Veneto? Gli italiani arrivano quando gli austriaci sono già in fuga. Si racconta che il generale Diaz, guardando una carta geografica, abbia esclamato: “Ma dove cazzo è ‘sto Vittorio Veneto?”
Prendiamo il Fascismo. Nessuno ha intenzione di sminuirne le brutture e i delitti. Paragonatelo però al Nazismo, che fu veramente tragico come solo i tedeschi sanno essere. Il Fascismo si presta a essere sbeffeggiato e ridotto a farsa, come ha saputo fare da par suo Federico Fellini in “Amarcord”. Il Nazismo no. Nel “Grande Dittatore” di Chaplin la scena in cui Adenoid Hinkel gioca a palla con il mappamondo non ha nulla di veramente comico, fa correre un brivido per la schiena. Anche nella “Vita è bella” di Benigni la caricatura del Fascismo assume toni farseschi, mentre le scene del campo di concentramento nazista, nonostante il tono leggero, si colorano di patetismo e di tragedia.

L’abbiamo presa un po’ alla lontana per parlare di un fatto d’attualità che, per nostra fortuna, è lontanissimo dai lutti delle guerre e dagli orrori delle dittature. Intendo parlare dei referendum che la prossima domenica si terranno in Lombardia e in Veneto per l’autonomia. Guarda caso, cadono proprio pochi giorni dopo il referendum catalano per la secessione dalla Spagna. Ancora una volta, nel suo piccolo, tragedia versus commedia. In Catalogna hanno fatto sul serio. Hanno sfidato il governo centrale, hanno calpestato il dettato costituzionale, hanno disobbedito all’intimazione di sospendere la consultazione, hanno affrontato inermi gli sbirri mandati da Madrid a sedare una rivolta del tutto pacifica, manganellando vecchi, donne, persone di ogni età che avevano il solo torto di voler andare alle urne. L’Europa è rimasta col fiato sospeso. Non si sa ancora che esito avrà il confronto durissimo tra Madrid e Barcellona. Nessuno, per ora, vuole cedere di un solo palmo. O unità o secessione. Tertium non datur. Si possono esprimere tutti i giudizi che si vogliono, a favore di Barcellona o di Madrid, ma nessuno può dire che si è in presenza di una farsa. Poco ci è mancato che la Polizia Locale si scontrasse con la Polizia Nazionale. Fosse capitato sul serio, sarebbe stato l’inizio di una vera e propria guerra civile. C’è poco da ridere.
I referendum italici invece sono proprio una burletta. Ecco dov’è finita tutta la retorica di Pontida, dei rituali alle sorgenti del Dio Po, dei proclami che inneggiavano ai patrioti pronti a calare in pianura dalle valli bergamasche, muniti di kalashnikov per combattere lo Stato di Roma ladrona. Ne è passata di acqua sotto i ponti della Storia, da quei tempi! La secessione diventò ben presto federalismo, con la benedizione dell’ideologo Gianfranco Miglio, prima vezzeggiato e poi preso a pernacchie. Il progetto di riforma costituzionale del terzo governo Berlusconi, approvato dalle Camere, era fondato sul principio della “devoluzione”, in base al quale molte materie di competenza del potere centrale dovevano essere trasferite alle Regioni. Il referendum del giugno 2006 bocciò sonoramente la riforma.

Ora la Lega da partito “nordista” ostile ai terroni è diventato partito “nazionale”, con qualche seguace anche al Sud. A questo punto, il suo astio si orienta verso gli immigrati: l’importante è avere qualche capro espiatorio su cui gettare la colpa d’una quantità di problemi tuttora irrisolti, e dovuti in gran parte all’insipienza dei governanti. Lo statuto del partito però, redatto ai gloriosi tempi di Bossi, contempla ancora come fine ultimo la secessione del Nord. Così le anime candide dei militanti duri e puri sono contente. Credono che i prossimi referendum siano qualcosa di simile alla tragedia catalana. Invece sono una farsa. Non vedremo le Polizie Locali affrontare i Carabinieri inviati da Roma, non vedremo i prefetti scontrarsi con i sindaci, il Capo dello Stato non interverrà a proclamare solennemente l’indivisibilità del sacro suolo della Patria, benedetto dal sangue dei Martiri del Risorgimento e della Resistenza. Sono referendum “con licenza de’ superiori”. Hanno valore puramente consultivo. Servono a chiedere qualche briciolo di autonomia in più, e magari qualche gruzzolo fiscale che rimanga al Nord, ma nient’altro. Tutte cose che si potrebbero ottenere con un confronto fra governi regionali e governo centrale, come saggiamente intende fare la Regione Emilia-Romagna, senza scomodare il popolo sovrano.
Obiezione: un afflusso consistente alle urne con una valanga di SI’ (con l’accento, per favore, che dai tempi del referendum sul divorzio è sempre mancato nei quesiti stampati sulle schede) darebbe maggior forza alle trattative. Ohibò, servirà ad abolire i prefetti e i questori e i commissari governativi? Si diventerà come la Svizzera? I soldini dei Lombardi e dei Veneti resteranno nella Lombardia e nel Veneto? Poveri illusi! Resteranno le “Piazza Padania” – che in alcuni paesi e in alcune città, in epoca gloriosa, hanno preso il posto di “Piazza Roma” – in memoria d’una vagheggiata rivoluzione di popoli immaginari ubicati in territori immaginari: finita, come sempre, in farsa.
“Quando avremo l’autonomia -dicono- basta sprechi! Il denaro dei contribuenti sarà speso con oculatezza”. Ma si comincia proprio male, contraddicendo il buon proposito, col gettare una valanga di soldi per un referendum inutile. In Lombardia si sono acquistati addirittura strumenti tecnologici d’avanguardia per consentire il voto elettronico. Intanto le Ferrovie Nord continuano a essere un trenino da Terzo Mondo e la gestione del Parco Lambro rimane una vergogna. Si consiglia a Maroni e compagni di andare a fare un giretto in Baviera, giusto al di là delle Alpi, a vedere che cos’è il vero federalismo e che cosa significa, sul serio, efficienza dei servizi.

E se l’affluenza alle urne si riducesse ai minimi termini? In Veneto è fissato un quorum corrispondente alla metà + uno degli aventi diritto. In Lombardia non c’è quorum. Si spera che l’affluenza raggiunga almeno il 34%. Mettiamo che un 90% di tale quota voti “Sì” (per favore, con l’accento). Voglio vedere chi avrà la faccia tosta di dire che, con tale percentuale, il 30,60%, il popolo lombardo ha manifestato il suo assenso alla secessione.

Ci sarà da ridere. “Barbiere, Barbiere, sempre Barbiere”.

Giovanni Tenorio

Libertino

2 pensieri riguardo “Il referendum farsa

  • Alessandro Colla

    Sulla scheda del quesito referndario c’era scritto: “…nel rispetto dell’Unità Nazionale” previsto dagli articoli della costituzione o roba del genere, ora non ricordo esattamente. Forse tanti sì possono anche riuscire a ottenere qualcosa, ma quell’evocato rispetto dell’unità nazionale pone più di un dubbio. Così come sospetto è l’invito a votare sì da parte delle forze politiche tradizionalmente ostili alla Lega Nord. Purtroppo le eccezioni sono rappresentate da personaggi come il neodannunziano Marcello Veneziani che sorvplanoi sempre sulle questioni de “I Mille”, dei picciotti, di Nino Bixio (detto Nino Bronte), della prima guerra mondiale, del fascismo e della retorica nazionalista in genere. Oppure da Giorga Meloni che Salvini si appresta a invitarla proditoriamente: “vieni nel mio tabarro e muori. Del resto, Meloni non ha l’aria di una suor Angelica. E anche Salvini, più che il barcaiolo Michele, sembra il maggiormente farsesco Gianni Schicchi; senza averne la stessa arguzia. Né l’asse Besame (non “mucho”, ma Berlusconi – Salvini – Meloni) può essere paraginato a un Trittico o al più tragico Roma – Berlino – Tokio (anche quest’ultimo, occorre avvisare Maroni, non è un percorso delle Ferrovie Padane). Chissà se i leghisti accetterebbero che Sarsina e Pesaro siano territorialmente separate per volontà referendaria.

  • Alessandro Colla

    Errata Corrige: “sorvplanoi” = sorvolano. E mancano anche le virgolette di chiusura nella rimaneggiata frase del barcaiolo Michele, alias Salvini.

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