Don Giovanni

Il mercato che non c’è.

Mi chiedevo da qualche tempo che fine avesse fatto. Come mai non se ne aveva più notizia? Come mai non se ne sentiva più la voce? Temevo addirittura che fosse malato, data l’età ormai veneranda. Invece, ecco finalmente una sua intervista sulla “Verità”, uno dei pochi quotidiani rimasti che si possono leggere senza essere còlti da conati di vomito. Di chi sto parlando? Di Antonio Martino, un personaggio che non può non essermi simpatico, visto che ha sempre avuto il coraggio di cantare fuori del coro. Al tempo del PLI ingessato della segreteria Malagodi non risparmiava le sue frecciate alla dirigenza del partito, ma non faceva parte neppure delle correnti di opposizione interne; semplicemente faceva parte per se stesso. E’ stato fra i primi iscritti di Forza Italia, grazie a un’antica amicizia con Silvio Berlusconi, ma si è trovato da subito su una linea politica ancora una volta difforme da quella ufficiale. Fosse stato per lui, avrebbe intrapreso una politica economica di liberismo estremo, da far impallidire i governi di Margaret Thatcher, alla quale rimproverava – pur ammirandola per molti aspetti – di essere troppo moderata. Pare sia stato il suo maestro, Milton Friedman, a consigliargli di non assumere l’incarico di ministro dell’Economia. Consiglio molto saggio, sarebbe stato fatto a pezzi. Divenne ministro degli Esteri, e bisogna riconoscergli di aver svolto il suo compito in modo intelligente, riuscendo anche a gestire il problema dell’immigrazione – allora non ancora così dirompente come sarebbe diventato in seguito – senza ottuse chiusure e con un pragmatismo che tornava a beneficio sia degli imprenditori in cerca di manodopera sia degli stranieri in cerca di lavoro. I rapporti con Tremonti sono sempre stati pessimi. Come poteva andare d’accordo con un colbertista come quello? Gli lanciava frecciate  ricordando i lauti guadagni che traeva dalla sua rinomata agenzia di consulenza fiscale. Lasciava intendere che fare il consulente fiscale ed esercitare la funzione di ministro dell’Economia rappresentava un bel conflitto d’interesse. Avrebbe preferito che Ministero delle Finanze e Ministero del Tesoro, riuniti nel Ministero dell’Economia dal 1998 (forse sul modello del Chancellor of the Exchequer britannico), tornassero a separarsi, per garantire un miglior equilibrio tra raccolta fiscale e spesa pubblica. Aspra, quanto solitaria e destinata alla sconfitta,  la sua battaglia contro la moneta unica europea, di cui espose  le ragioni in un dotto intervento parlamentare, di cui forse nessuno dei suoi colleghi riuscì a cogliere la ferrea logica. Visto come sono andate le cose, e come continuano ad andare, non si può che ammirare la sua lungimiranza.Bella davvero la sua intervista. Martino non ha perduto la sua vis polemica e la sua arguta ironia. La sua ampia conoscenza della realtà internazionale, e in particolare degli Stati Uniti, dove ha studiato, nonché la sua destrezza nell’uso della lingua inglese, ne fanno un personaggio che sa dominare la scena mondiale; il che gli permette la civetteria di rivendicare la sua mediterraneità, a dispetto del fatto che il padre, Gaetano Martino, è stato tra gli artefici dell’Europa Unita ( quanto diversa, all’origine, da quel che oggi abbiamo sotto gli occhi). Così può lanciare qualche strale ai tedeschi, che evidentemente non ama, ricordando che il termine “spread”, a loro tanto caro, è del tutto estraneo al vocabolario anglosassone. Dice di detestare la neve, che è fredda e sporca. Per lui Caserta è l’estremo Nord. Approfittò di un viaggio al Nord, dovendo accompagnare moglie e figlie sui campi di sci, per rimanere tranquillo al calduccio nella stanza d’albergo a leggere il saggio intitolato “Lo Stato”  di Anthony de Jasay. Martino lo considera il più grande filosofo politico dello scorso secolo. E’ quello che ha prefigurato un’involuzione totalitaria delle democrazie liberali, fino al punto in cui tutti ci troveremo in una sorta di “piantagione”, privi di ogni diritto.  Si può capire perché, sulla scorta di una lettura tanto illuminante,  si mostra ora  così ostile al governo Draghi e così ferocemente polemico nei confronti delle restrizioni che sono state imposte alla popolazione con il pretesto della pandemia. Il famigerato “green pass”  è per lui come un marchio di schiavitù: non si possono imporre obblighi a qualcuno e riconoscere diritti a qualcun altro.Tutte riflessioni che fanno piacere, ma  ci sono molti altri punti del pensiero di  Martino che non mi sento di condividere. Io non credo che Berlusconi sia mai stato un liberale; attualmente, con il suo appoggio al governo Draghi, condividendone tutte le decisioni più abominevoli, ha dimostrato la sua vera stoffa. Non credo neppure che in Italia ci siano molti più liberali di un tempo, in attesa di un altro Berlusconi che faccia loro da guida. I sedicenti liberali italiani sono come quelli che, ai suoi tempi, Bertrando Spaventa diceva di aborrire, perché non avevano nessun principio per meritarsi un tal nome. Che liberale è un personaggio come Marcello Pera, il quale afferma che in Italia il fascismo non c’è, perché se ci fosse tutti gli intellettuali sarebbero fascisti? Capperi, che intelligenza sopraffina, il filosofo Pera! Non si accorge che il fascismo è al governo, sostenuto da una maggioranza bulgara, con tutta l’informazione che conta prona ai suoi piedi? Non si accorge che la censura opera alla grande, oscurando le notizie che dispiacciono al regime sanitario vigente? Non ha nulla da dire su una ministra dell’Interno che fa annaffiare con gli idranti e manganellare pacifici lavoratori e miti cittadini  durante manifestazioni contro le scellerate misure discriminatorie imposte dal governo? Liberali come questi è meglio perderli che trovarli. Si sente più che mai il bisogno di un Pannella, ma finora non se ne vede l’ombra, e i Radicali, un tempo in prima linea in tutte le battaglie di libertà, non si sa bene che fine abbiano fatto. C’è un punto in particolare, però, in cui Martino mi pare proprio del tutto fuori strada. Lo riporto per intero. Alla domanda se è vaccinato, così risponde:” Sì. e mi vaccinerò ancora se servirà, non perché creda che i vaccini siano la soluzione, quanto perché credo nei vaccini: le case farmaceutiche sono in concorrenza, motivate a essere efficienti per evitare danni derivanti da eventuali casi problematici”. Eh no, caro Martino, mi dispiace per te, ma qui ragioni da dottrinario. Cadi nell’errore di tutti gli anarco-capitalisti (anche se non sei proprio un rothbardiano, forse sei più vicino a David Friedman, il figlio del tuo maestro), i quali, identificando acriticamente capitalismo e mercato, vedono nell’assetto economico che domina il mondo dopo il tonfo del regime sovietico e il fallimento del comunismo reale un sistema tutto sommato “liberale”, non privo di storture ma nel complesso confacente ai principi del libero mercato. Ammettiamo (solo per ipotesi) che sia vero in tutti gli altri settori, ma nel caso del “”mercato” (virgolette d’obbligo!) farmaceutico è macroscopicamente falso. Le case farmaceutiche sarebbero affidabili perché grazie alla concorrenza sono costrette a offrire farmaci efficaci e sicuri? Ma vogliamo scherzare? I vaccini anti-Covid sono stati escogitati e prodotti grazie a investimenti sostenuti in gran parte da fondi pubblici e al riconoscimento di brevetti che garantiscono ai produttori rendite stratosferiche. Dov’è il mercato in tutto questo? Io non lo vedo. La concorrenza garantisce la sicurezza? A me risulta che i contratti sottoscritti dai governi assicurino ai produttori uno scudo penale, grazie al quale non dovranno rispondere di eventuali danni provocati dai loro vaccini. Anche qui, dov’è il mercato? Io non lo vedo. Tutti i governi del cosiddetto mondo “avanzato” hanno cercato di mettere fuori legge, o almeno di screditare, le cure alternative, che pur si dimostrano efficaci, lasciando credere che solo il vaccino sia la soluzione. Anche qui, dov’è il mercato? Io non lo vedo. La stampa e tutta l’informazione che conta ha cantato e continua a cantare in coro le lodi del vaccino che la Scienza ha donato all’umanità: stampa e informazione lautamente oliate da denaro pubblico. Dov’è il mercato? Io non lo vedo. Facciamo finta per un momento che non esista lo Stato, non esistano finanziamenti pubblici, non esistano brevetti, non sia possibile farla franca garantendosi uno scudo penale, perché anche la giustizia non è monopolio di un potere pubblico ma è amministrata da agenzie in concorrenza tra loro.  Facciamo finta che non esistano ordini professionali, tanto meno quell’Ordine dei Medici che è una vera e propria mafia in combutta con il potere politico e con gli interessi della grande industria farmaceutica. Forse nessuno si metterebbe a produrre vaccini anti-Covid, perché si correrebbero troppi rischi, e nel caso si mettessero sul mercato prodotti preparati in fretta e furia e sperimentati senza controlli severi, si correrebbe il rischio di sanzioni durissime in caso di danni biologici che potrebbero portare anche alla morte. Inoltre, nessuno potrebbe proibire o impedire l’impiego di qualsivoglia metodo di cura. né un Ministero della Salute, né un Ordine dei Medici, né altra cosca mafiosa. I medici  farebbero liberamente le loro scelte, d’accordo con i pazienti, in scienza e coscienza, pagando per loro eventuali errori. Alla fine, i rimedi farlocchi finirebbero fuori mercato, i rimedi efficaci avrebbero successo. Saremmo già fuori di questa cosiddetta pandemia. Sarà un caso che in Africa, nel mondo “arretrato” dove molti governi non hanno ceduto alle lusinghe di Big Pharma, il Sars Cov 2 ha causato pochi problemi? Hanno usato i rimedi degli stregoni? Quel che conta è il risultato, diceva Paul K.Feyerabend, il teorico dell’anarchismo metodologico. Se la Scienza dei Burioni, dei Pregliasco e di tutti gli altri loschi figuri che ci tormentano con la loro ingombrante presenza è quella che finora abbiamo visto, con i suoi continui fallimenti, merita soltanto di essere buttata nella spazzatura, insieme con i suoi saccenti propagandisti 

Giovanni Tenorio

Libertino

Un pensiero su “Il mercato che non c’è.

  • Alessandro Colla

    I radicali non si sa bene che fine abbiano fatto? Si sa che fine ha fatto Emma Bonino. Dopo aver creato una nuova formazione politica con il democristiano Bruno Tabacci, ha ultimamente dichiarato che per uscire dagli attuali problemi sanitari l’unica soluzione sia “vaccinare, vaccinare, vaccinare”. Un nuovo Pannella disposto a digiunare non ci sarà, sono rari tali esempi nella storia dell’umanità. Martino, con errate analisi di presunto mercatismo relativo all’attuale vendita di farmaci, contraddice tutte le sue precedenti critiche a Giulio Tremonti. E finisce per rendere illeggibile anche il quotidiano dove attualmente scrive. Forse sostiene tali posizioni per non essere ulteriormente emarginato. Comunque i veri stregoni non sono i sacerdoti vudù africani, lo sono piuttosto i “noti virologi” nostrani che hanno inculcato alle masse una delle peggiori superstizioni: quella di un antidoto che magicamente si ottiene in meno di diciassette settimane quando in più di diciassette anni non era stato trovato un analogo rimedio contro la SARS. E lo sono anche quei politici intenti a spacciare per scientifico l’argomento che Johnson & Johnson necessiti di una sola dose perché… più leggero!

I commenti sono chiusi.