Don Giovanni

Caro Franco Zeffirelli

Caro Franco, quella volta mi facesti arrabbiare sul serio. Fu nell’occasione di un’intervista trasmessa per televisione dai teatri di prosa in cui stavi girando il film-Opera “Otello”, musica di Giuseppe Verdi. Io non ho mai amato i film-Opera, e tu lo sai bene. Rimango dell’idea che il linguaggio operistico e quello cinematografico siano difficilmente compatibili; il risultato è che, ad essere sacrificata, alla fin fine, è proprio la drammaturgia musicale. Sono pochi i film-Opera che salverei dall’oblio, e fra questi, mi dispiace dirlo, non c’è nessuno dei tuoi. Ritengo un capolavoro assoluto e irripetibile il “Flauto magico” di Bergman, mentre quello, bizzarro e sulle prime accattivante di Kenneth Branagh si può vederlo una volta o due, e poi archiviarlo. Non mi piace troppo il “Don Giovanni” di Losey, dove faccio la figura del bieco capitalista. Ho un debole per “Carmen” di Francesco Rosi: non chiedermi il perché, non te lo saprei dire. Per il resto, credo che l’Opera vada gustata a teatro, possibilmente al chiuso. O meglio: andava gustata, perché con le regie d’oggi, che hanno conquistato i palcoscenici di tutto il mondo, facendo scempio in Italia di una gloriosa tradizione, c’è poco da gustare. E allora tu, con le tue regie operistiche (intendo le regie degli allestimenti teatrali), che la critica più aggiornata, quella dei Girardi e delle Moreni, chiamerebbe “illustrative”, torni ad essere il mio regista del cuore, accanto a Luchino Visconti e a Giorgio Strehler.Ma torniamo al punto di prima. Quella volta mi facesti arrabbiare davvero! Perché? Perché dicesti candidamente che avevi intenzione di tagliare, nell’ultimo atto dell’Opera verdiana, nientemeno che la Canzone del Salice. Arrivasti addirittura a dire che è noiosa. Vogliamo scherzare? Uno studioso di valore come Gabriele Baldini, autore di bellissimi saggi di letteratura inglese, sagace traduttore di Shakespeare e, da dilettante sopraffino, grande appassionato d’Opera,  pur non amando particolarmente l'”Otello” di Verdi (che ritiene sopravvalutato: per lui il capolavoro assoluto del Bussetano rimane il “Ballo in maschera”, opinione controcorrente!) riconosce che la Canzone del Salice è una delle pagine più toccanti della partitura. Caro Franco, ho l’impressione che tu, in quel momento, parlassi più da regista di cinema che da regista d’Opera: dovendo far pendere la bilancia verso una delle due incompatibili drammaturgie, scegliesti, com’era naturale, quella cinematografica. Dopo tutto, un film dev’essere soprattutto un film. E in un film dieci minuti in cui si ripete “O salice, salice, salice…” possono risultare noiosi,. Ma la colpa non è di Verdi, che pensava alle tavole del palcoscenico, non ai teatri di posa cinematografici. Ora che sei passato a miglior vita ti perdono. Continuo a pensare che, in tutti i campi, hai dato il meglio del tuo talento negli anni Sessanta dello scorso secolo. Film come “La bisbetica domata”, con Liz Taylor e Richard Burton e “Romeo e Giulietta”, con la magnifica colonna sonora di Nino Rota, non hai più saputo ripeterli. Gli ultimi non mi piacciono proprio. Non è male “Un tè con Mussolini”, ma “Il giovane Toscanini” è deludente, fermo restando che la gazzarra inscenata, in occasione della proiezione, dai tuoi avversari al Festival del Cinema di Venezia è un episodio indegno. Non mi piace affatto “Storia di una capinera”, dal romanzo giovanile di Giovanni Verga, che, non ho mai capito perché, hai voluto concludere con un lieto fine. “Fratello sole sorella luna” mi pare un po’ melenso. Il “Gesù di Nazareth” che fece tanto successo in TV mi pare eccessivamente oleografico. So che tu non hai mai apprezzato, come regista, Pasolini (cui pure offristi la tua amicizia, garbatamente ricambiato) e criticasti il suo “Vangelo secondo Matteo”, tacciandolo di regia tecnicamente zoppicante e dilettantesca. Non offenderti se ti confesso che, nella mia ignoranza, lo preferisco di gran lunga al tuo “Gesù di Nazareth”. Tutte le volte che rivedo la scena della Crocifissione, con la madre di Pasolini nella parte straziante di Maria, accompagnata dalla musica della “Passione secondo Matteo” di Bach, io, pur cinico e irriverente come sono, non posso trattenere le lacrime. Ti conosco molto meno come regista di prosa. So che, pur prediligendo anche autori come Pirandello, di cui mettesti in scena pregevoli allestimenti di “Così è se vi pare” e  “Sei personaggi in cerca ‘autore”, nonché Eduardo De Filippo (che portasti in Inghilterra), il tuo grande amore rimaneva Shakespeare, cui ti dedicasti, ottenendo giudizi contrastanti, soprattutto nel tuoi soggiorni in Inghilterra. Facesti conoscere in Italia Albee, con “Chi ha paura di Virginia Wolf?”, e altri autori contemporanei. Anche in questo ambito traesti insegnamenti di prim’ordine dal tuo maestro Luchino Visconti, di cui fosti scenografo in un “Troilo e Cressida” di grande successo, e in altri lavori. A proposito di Visconti: sarà un caso che il grande regista, amante della musica, del teatro di prosa e anche del cinema non abbia mai girato un film-Opera? Il suo gusto e la sua cultura gli dicevano forse quello che penso io (chiedo venia se do l’impressione di volermi mettere  al suo livello: lungi da me tale ardimento!): i due linguaggi sono incompatibili, il risultato non può che essere debole sotto l’aspetto estetico. Visconti ha invece saputo trasfondere nel linguaggio cinematografico la suggestione del teatro d’Opera: pensa a un film come “Senso”, che inizia con una recita del “Trovatore” alla Fenice di Venezia e termina con una fucilazione che fa tanto pensare a “Tosca”; inoltre tutta quanta la vicenda, ampliando il romanzo breve di Camillo Boito e arricchendolo di temi risorgimentali, si svolge come un grande Melodramma, in cui la Primadonna è una splendida Alida Valli e la Settima Sinfonia di Bruckner è impiegata come colonna sonora in modo magistrale, tutt’altro che esornativo. Ma perché mi dilungo? Sono cose che sai meglio di me. Anche allora fosti al fianco di Visconti come aiuto-regista.

Ci sono due cose che renderanno sempre caro al mio cuore il tuo ricordo. Sono due doni che hai fatto all’umanità, uno in particolare a me. Il primo è l’allestimento della “Bohème” di Puccini , che esordì alla Scala nei tempi gloriosi, quando forse il teatro milanese, ora scaduto a teatrino di provincia, poteva dirsi davvero il primo teatro del mondo, come nel primo Ottocento l’aveva salutato Stendhal. Sul podio Herbert von Karajan, protagonisti Mirella Freni e Gianni Raimondi. L’allestimento è stato continuamente riproposto, con direttori e interpreti vocali diversi, per cinquant’anni, e viene riproposto ancora. Ha mantenuto miracolosamente la sua freschezza. Una quindicina di anni fa mi capitò di rivederlo con una compagnia di canto non del tutto entusiasmante, sotto la bacchetta di un Rafael Fruehbeck de Burgos in stato di grazia. Avevo accanto una cara amica che, due mesi dopo, sarebbe morta per una malattia incurabile. Alla fine, quando Mimì muore, vidi una lacrima sgorgare dai suoi occhi… Forse un presentimento… Non potrò mai dimenticare quel momento. L’altro grande dono, che mi ha commosso e mi riempie di gratitudine, è il “Don Giovanni” da te allestito per l’Arena di Verona nell’anno 2012. Sul podio Daniel Oren. So che il teatro di Mozart non è del tutto nelle tue corde. Non mi risulta (correggimi se sbaglio) che tu abbia mai messo in scena “Le nozze di Figaro”, o “Così fan tutte”, per non parlare di “Idomeneo” o “La clemenza di Tito”, o “ll Flauto magico” e “Il ratto dal serraglio”, tanto per rimanere ai capolavori supremi del mio immenso papà. Per “Don Giovanni”, invece, hai fatto un’eccezione, e hai avuto il privilegio di portarlo per la prima volta all’Arena, in uno spazio che parrebbe il meno adatto per un’Opera del Settecento, davanti a un pubblico in gran parte avvezzo a un altro repertorio. E’ stata una scommessa vincente. Regia “illustrativa” dicono i soliti sapientoni. Ben vengano le regie illustrative! Quelle filosofiche, brutte, pesanti e incomprensibili, lasciamole ai tedeschi. L’Italia è la patria del Rinascimento. Del Rinascimento Visconti  è stato un grande figlio, tu un degno nipote.

So che, da buon cattolico, sarai in Paradiso. Purtroppo io sono stato messo all’Inferno. Non possiamo incontrarci. Ma ti avrò sempre nel cuore. Riposa in pace, carissimo Franco.

Giovanni Tenorio

Libertino

8 pensieri riguardo “Caro Franco Zeffirelli

  • “Tutte le volte che rivedo la scena della Crocifissione, con la madre di Pasolini nella parte straziante di Maria, accompagnata dalla musica della “Passione secondo Matteo” di Bach, io, pur cinico e irriverente come sono, non posso trattenere le lacrime.”

    Pure io, ma per aver visto un film mediocre, con non-attori mediocri, in una città mediocre e coronato da un pullman che passa sullo sfondo. Era un grande Pasolini a parlare e scrivere, ma filmare non era il suo mestiere.

    • Non entro nel merito delle capacità tecniche di Pasolini in campo cinematografico. Il giudizio estetico sul film è, come sempre, opinabile. Però che la Matera dei Sassi sia una città mediocre mi pare davvero insostenibile. Io la trovo semplicemente sublime. Inoltre, il paesaggio aspro di certe zone della Basilicata (fin quando non riusciranno a sconciarlo con le pale eoliche) è più simile a quello della Palestina ai tempo della dominazione romana di quanto non siano oggi i luoghi autentici in cui Gesù visse e predicò. Dopo Pasolini, quasi tutti i film sulla vita di Gesù sono stati girati in Basilicata. Anche l’orrido film di Mel Gibson, in cui il pretenzioso latino messo in bocca agli attori (sull’aramaico non mi pronuncio, perché non lo conosco) è più falso dell’ incerto italiano di tante comparse nella “Passione” di Pasolini.

    • Matera è come Totò: fino agli anni 50-60 erano due vergogne nazionali, poi sono stati entrambi rivalutati (a mio parere a dismisura, la verità come sempre sta nel mezzo) e guai a chi li critica.
      Se il villaggio trogloditico deve essere patrimonio dell’Unesco, ci voglio pure le baraccopoli romane,
      le case coloniche dove in inverno si viveva nella stalla, le case col ballatoio e i cessi fuori di Torino e
      Milano, i letti ad ore per i meridionali turnisti Fiat degli anni 50-60 e tutte le altre amenità di un passato neppure troppo lontano.

  • Alessandro Colla

    Però le “rovine” di Matera sono notevolmente antecedenti alle baraccopoli romane. Queste ultime, spesso insistevano proprio su luoghi protetti da vincoli archeologici: Come ad esempio quelle sulla Villa dei Gordiani nell’area prenestina. I Sassi di Matera non sono abusivi.

  • I Sassi di Matera sono testimonianza di millenni di Storia. Basterebbe questo a renderli un monumento d’inestimabile valore. In nessun altro Paese del mondo si può vedere alcunché di simile. Si fondono mirabilmente con l’aspro paesaggio circostante, come nessun intervento urbanistico degli architetti d’oggi saprebbe fare. Sono un esempio di quell’architettura spontanea che, svoltasi nel corso di secoli e secoli, senza piani regolatori, ha dato frutti inaspettati, tali da destare la nostra meraviglia (si pensi, in tutt’altri contesti, a certi borghi medievali sparsi un po’ in tutta Italia, specialmente in Umbria e nelle Marche, a splendide cittadine come Locorotondo, Cisternino, Martina Franca in Puglia (Alberobello mi piace già meno, il turismo di massa l’ha un po’ guastata). I Sassi furono considerati vergogna nazionale per le condizioni di estrema povertà in cui viveva chi ancora ci abitava. E’ una fortuna che non siano stati rasi al suolo, ma recuperati, risanati, restaurati, messi in sicurezza e lasciati in eredità ai posteri, sperando che se ne dimostrino degni. Si fosse fatta la medesima scelta per altri luoghi e monumenti che, dall’Unità in avanti, sono stati eliminati a colpi di piccone, per far spazio a costruzioni moderne spesso orride! Nemmeno i barbari, al tempo delle invasioni, fecero mai nulla di simile. Vogliamo qualche esempio? La distruzione di un intero borgo quattrocentesco a Milano, per consentire la costruzione della pretenziosa Galleria Vittorio Emanuele; l’abbattimento del quartiere della “Cortesella” a Como, per aprire una brutta piazza su cui prospetta l’altrettanto brutto palazzo della Banca d’Italia; a Roma, l’eliminazione della “Spina di Borgo” per costruire la Via della Conciliazione (fra gli effetti nefasti dei Patti Lateranensi, recepiti dalla Costituzione repubblicana con il beneplacito di Togliatti, dobbiamo ricordare anche questo) e lo scempio archeologico per aprire la Via dei Fori Imperiali. Si potrebbe continuare, l’elenco sarebbe lunghissimo. Nel secondo dopoguerra, poi, l’italia è stata sommersa da una colata di cemento che ne ha sfigurato il paesaggio. L’attribuzione alle Regioni di competenze in materia edilizia che prima appartenevano allo Stato centrale (indipendentisti, ammazzatemi, ma prima dimostratemi che dico il falso) ha accelerato e aggravato il processo di brutalizzazione del territorio. La ciliegina sulla torta sono le distese di apparecchiature fotovoltaiche e di pale eoliche, che danno un contributo minimo alla produzione di energia elettrica e in compenso feriscono paesaggi finora rimasti incontaminati. Una delle regioni più a rischio rimane la Basilicata, che mi è particolarmente cara per ragioni tutte mie. Sono queste le vergogne d’italia, non i Sassi di Matera.

    • Dino Sgura

      Bravo Don Giovanni, lei è un vero intenditore, la Valle d’Itria è veramente bella, ci aggiungo anche Altamura a nord ed Ostuni a sud, anche se chiaramente sono di parte….

  • Alessandro Colla

    Sono tendenzialmente indipendentista ma è invece più che dimostrabile che Don Giovanni dice il vero. Nel mio agro romano, i peggiori scempi sono avvenuti con i verdi in giunta capitolina. Oggi, i residuati bellici della sinistra locale vorrebbero riempire un lago vulcanico che si è prosciugato naturalmente. I geologi sostengono che ci guadagnerebbero solo le zanzare ma loro continuano imperterriti nella loro proposta. Spero che la’amministrazione Cinque Sciocchi non si appropri dell’idea visto che i numeri in consiglio comunale ce li hanno. Vicino c’è l’antica città di Gabii ma non confido nella sovrintendenza archeologica visti i precedenti, anch’essi con governi “ambientalisti”. Indipendentismo o unitarismo contano poco. I piani regolatori hanno causato più danni dell’abusivismo.

  • Va bene, però i villaggi trogloditici più belli per me sono in Turchia.
    Là sembra di entrare in una favola surreale, a Matera pare di visitare una città bombardata.
    Ma è solo una questione di gusti.
    Ho offerto 3 merzemini virtuali, ma non mi pare che oggi funzioni.

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