Don Giovanni

Un disegno criminale

Chi vive in un paradiso è talmente assuefatto a godere delle bellezze che lo circondano, da rimanere persuaso, nell’intimo, che la sua non sia una fortuna particolare, ma un destino come tanti altri, di cui non andar fiero più di tanto. Anzi, finisce di non accorgersi affatto di tanta bellezza, di non essere proprio in grado di valutarla in quanto tale, perché gli mancano i termini di paragone. Per apprezzare il bello bisogna conoscere il brutto, per godere del buono bisogna conoscere il cattivo, per gustare un  frutto maturo bisogna aver provato che cos’è un frutto acerbo, per benedire la letizia bisogna aver conosciuto la malinconia. Chi vive, per esempio, nel paradiso di Ravello o in quello di Bellagio, quali termini di paragone possiede? Per lui quello è l’ambiente naturale, non potrebbe essere diverso. Chi vive in paradiso non cerca il paradiso. Se lo facesse, potrebbe trovare soltanto l’inferno. Questo può spiegare come mai, mentre gli italiani  sono così poco solleciti della salvaguardia del paesaggio, inteso come insieme integrato di elementi naturali e umani (nel senso più ampio del termine), costituitosi, nella forma attuale, attraverso lo scorrere dei secoli, in un incontro-scontro fra natura e cultura, necessità di conservazione ed esigenze tecniche di rinnovamento e sviluppo, nei Paesi nordici l’attenzione all’ambiente è una sensibilità diffusa. Chi di bellezza ne ha poca, cerca di tutelarla più che può, per non perderne una briciola. Pensate alla varietà del paesaggio italiano. Ogni regione è un unicum, e all’interno della stessa regione si alternano paesaggi che potrebbero appartenere ad aree geografiche del tutto diverse: la Basilicata ne è soltanto un esempio. Pensate invece al paesaggio tedesco. Boschi, boschi, e ancora boschi. Affascinanti, ma sempre uguali. Belli i fiordi della gelida Norvegia, ma che stiano lì… Viva il sole del Salento… I terroni sono meglio.

Una volta un architetto un po’ pirlotto, che fu mio amico nella più giovane età, per giustificare uno scempio alla cui attuazione aveva dato il suo consenso istituzionale, approvando il piano edilizio che lo legittimava, arrivò a dire che ogni intervento architettonico è necessariamente distruttivo. Se questo fosse vero, sarebbe meglio che la Valle dei Templi di Agrigento fosse rimasta una valle senza templi, che l’Acropoli di Atene fosse rimasta acro senza polis (via il Partenone e alla malora Fidia), che la Pienza voluta da Enea Silvio Piccolomini fosse rimasta il paesucolo che era prima, Corsignano, e così di seguito. Forse uno che la pensa in questo modo ha sbagliato mestiere. Un esempio eccelso di come l’intervento umano possa non solo assecondare, ma addirittura arricchire le bellezze naturali, creando complessi paesaggistici di inestimabile valore, è il territorio di Orvieto. L’Umbria è tutto un mosaico di gioielli paesaggistici e architettonici, della cui conservazione fino a quasi tutto l’Ottocento dobbiamo rendere merito al dominio  pontificio – per molti aspetti abominevole – su quelle terre (che cosa sarebbe Spoleto senza lo Stato della Chiesa, che subentrò al glorioso “ducatus spoletinus?). Orvieto è una serie di gemme incastonate una nell’altra. Dentro il Duomo si ammirano gli stupendi affreschi di Luca Signorelli. Il Duomo ne costituisce lo scrigno mirabile. Svetta in cima a una rupe di tufo , che precipita nella ridente valle del fiume Paglia. In somma: l’Umbria è un scrigno prezioso, che conserva lo scrigno della valle del Paglia, che conserva la rupe di tufo dove svetta Orvieto e il suo Duomo, che conserva gli affreschi di Luca Signorelli. Alterare anche soltanto un filo d’erba di tanta bellezza sarebbe un delitto da ergastolo a vita. 

E’ il delitto che si sta consumando con la complicità di quei loschi figuri che da quando hanno fatto la loro comparsa sulla scena pubblica hanno dato, in tutti i campi  di loro competenza , un potente contributo per distruggere il Paese, “whatever it takes”, minandone la prosperità economica, lo sviluppo industriale, l’equilibrio sociale, il sistema di provvidenze pubbliche in ambito assistenziale e sanitario, in nome di disegni di sviluppo concepiti sulla testa dei cittadini sotto la regia del sistema finanziario internazionale governato dalle grandi banche, dai fondi di investimento, da Big Pharma,  dai mercanti di cannoni, in combutta con le Banche Centrali  e gli organismi istituzionali di soggetti politici giuridicamente abominevoli come l’Unione Europea. Pochi sanno che tra le porcherie del governo Draghi c’è anche quel “decreto semplificazioni” che consente di espropriare senza possibilità di opposizione un qualsiasi terreno agricolo per farne un parco di pale eoliche. Ma c’è di peggio. Mentre prima, per costituire un parco eolico, era prescritta una distanza di almeno 7 chilometri dalle zone di rispetto paesaggistico e archeologico, ora ne bastano tre. Ma c ‘è di peggio ancora: alcune amministrazioni regionali premono perché questi vincoli siano ulteriormente allentati. A dimostrazione che affidare alle amministrazioni locali la tutela del territorio è una delle più grandi mostruosità che si possano concepire, un vero e proprio piano inclinato che conduce direttamente all’inferno.

Lo vuole l’Europa, lo vuole l’Europa, se non ci sbrighiamo con la transizione ecologica finiremo arrostiti dall’aumento delle temperature e infraciditi dalle piogge sempre più torrenziali, e allora, tra i bei progetti in corso di attuazione ecco un bel parco eolico nella valle del fiume Paglia, proprio davanti alla rocca di tufo dove sorge l’incantevole Orvieto con il suo Duomo. Peccato che queste pale eoliche saranno alte ben quattro volte il Duomo!  Vi immaginate l’orrido spettacolo che si presenterà davanti agli occhi di chi alzerà lo sguardo affacciandosi al balcone naturale che dà sulla valle sottostante? Ci si sente accapponare la pelle solo a pensarci. Chi può aver concepito o approvato un simile disegno è un malato mentale. Neanche se fossimo davvero in piena emergenza energetica, non ci fossero alternative e il ricorso all’eolico promettesse forniture continue, abbondanti e a basso costo sarebbe accettabile un simile scempio. Meglio tornare alle candele che distruggere lo scrigno della valle del Paglia. Meglio poveri nella bellzza che ricchi nella merda. Il fatto è che l’energia eolica è costosa, intermittente, marginale. Non risolve il problema della cosiddetta decarbonizzazione. E lo smaltimento delle pale, una volta terminati il loro ciclo, è un problema non da poco. Si rischia di doverle conservare in eterno, mostruosi residui di una delle più bieche manifestazioni della protervia umana.

Per fortuna ci si sta mobilitando. Molti sono gli uomini di cultura che si stanno opponendo allo scempio. Peccato che l’opinione pubblica media sia piuttosto tiepida, a dimostrazione che chi vive nella bellezza della bellezza poco si cura. Bisognerebbe ingaggiare una battaglia aspra, non esitando a compiere azioni di forza. Tutta la popolazione d’Italia dovrebbe scendere in piazza. Mobilitino pure l’esercito. Poliziotti e soldati  disobbediscano agli ordini, si girino indietro e puntino le armi contro i loro ufficiali. Qui  non c’è di mezzo né la TAV né il Ponte sullo Stretto. Qui c’è di mezzo un disegno criminale che rischia di privare non l’Italia soltanto ma l’Umanità intera di un inestimabile gioiello. Fermiamo i criminali, finché si è ancora in tempo. 

Giovanni Tenorio

Libertino

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