Don Giovanni

Talebani ovunque

Si parla male dei Talebani. Ma tutte le religioni, quale più quale meno, sono talebane. Chi pretende di avere il monopolio della Verità, si sente investito del ministero di combattere coloro che sono nell’errore, e di distruggerne tutte le vestigia, in primo luogo i simboli iconici delle loro aberranti credenze. A dire il vero, è d’uopo fare qualche distinzione. Non tutte le religioni sono uguali. Di norma, quelle politeistiche sono più tolleranti, perché un dio in più o in meno nel loro pantheon non mette in crisi la sostanza della fede. Quelle monoteistiche invece sono di solito intolleranti, perché ammettendo anche soltanto un altro dio accanto a quello da loro proclamato e venerato, si rinnegherebbero dalle radici. Nell’Impero Romano, a un certo punto, penetrarono i culti più disparati, fra cui ebbero la preminenza quelli orientali che avevano come oggetto una divinità solare. Non solo non furono avversati, ma furono addirittura promossi da alcuni imperatori. Diverso fu il caso del Cristianesimo, una religione che, ammettendo un unico dio, non può essere accolta fra gli dèi pagani. Divenuto maggioritario e assurto a religione di Stato, divenne molto più intollerante del paganesimo che l’aveva avversato. I pagani potevano aver dileggiato le immagini cristiane, rappresentando una divinità crocifissa con la testa d’asino. Ma tutto finiva lì (e nessuno allora replicava: se uno insulta la mia mamma, gli do un pugno). Il vescovo di Milano Ambrogio poté invece pretendere e ottenere che fosse rimossa dall’aula del Senato la statua pagana della Vittoria, che era stata reintrodotta da Giuliano l’Apostata al tempo della sua politica anticristiana. Non è un agire da Talebano? Perché impedire a un pagano di venerare i suoi dèi e di onorarli con immagini?

Ha un bel dire uno degli ultimi successori di Ambrogio sulla cattedra vescovile di Milano, il cardinale Carlo Maria Martini, che il suo predecessore fu un modello di proselitismo cristiano tutto basato sull’esemplarità della condotta anziché sulla coercizione. Le cose non stanno proprio così, e l’episodio di cui si diceva lo dimostra. Tra l’altro, dopo la breve parentesi di tolleranza successiva all’Editto di Milano promulgato da Costantino nel 313, gli Editti di Teodosio avevano assunto il Cristianesimo come religione di Stato. Ogni altra fede era fuori legge, e quindi soggetta a persecuzione. I libri pagani dovevano esser dati alle fiamme. Le statue degli dèi dovevano essere abbattute. Va riconosciuto che fu poi la Chiesa, mutando rotta, a salvare il salvabile della cultura classica nel Medioevo. Ma quanto a persecuzioni, i cristiani non furono da meno dei pagani, e talora furono peggio.

Si può essere talebani nel conflitto inter-religioso ma anche in quello intra-religioso. Si possono distruggere ferocemente le icone di una setta che, pur richiamandosi al medesimo dio di chi la perseguita, ne declina diversamente gli attributi e la dottrina. Pensiamo all’iconoclastia, la guerra alle immagini sacre di cui fu fiero sostenitore e combattente l’imperatore bizantino Leone III Isaurico. Secondo il suo pensiero -non molto diverso da quello dell’ebraismo e anche dell’islamismo, che ne è diretta filiazione – tutte le immagini sacre andavano distrutte, perché segno di idolatria. Guerra di cristiani contro cristiani: Cristianesimo d’Oriente, sotto il governo dell’imperatore, e Cristianesimo d’Occidente, sotto l’egida del papato. Quante opere d’arte andarono distrutte in quella guerra? Meglio non pensarci. Forse i Talebani, quelli veri, hanno fatto meno danni.

Può capitare, in somma, che un cristiano distrugga la chiesa di un altro cristiano di diversa confessione. O meglio, poteva capitare. Oggi per fortuna non è più così. Però la mentalità talebana e iconoclasta si è trasferita dalle Chiese agli Stati. E come un tempo esistevano conflitti-intra religiosi, così oggi si assiste a conflitti interni agli Stati, con esiti non diversi da quelli dell’antica iconoclastia e della moderna ideologia talebana. Non c’è da stupirsene perché, almeno nel mondo evoluto, con qualche rilevante differenza fra Europa e America, la religione tradizionale è in via d’estinzione fin dal tempo della Rivoluzione Francese, che per prima segnò il passaggio dalla fede trascendente in un dio ultraterreno invisibile alla fede immanente in un dio terreno, manifesto e onnipresente: lo Stato. Invece dei canti sacri gli inni nazionali, invece degli stendardi religiosi le bandiere che sventolano sugli edifici pubblici, invece degli altari i monumenti civili, invece del culto dei Santi che hanno glorificato Dio il culto degli Eroi che hanno reso illustre la Patria, invece degli uffici sacri a celebrazione delle festività religiose le parate militari in occasione delle grandi festività civili, invece dei monumenti ai Martiri i mausolei dei Caduti. Quando suonano gli inni nazionali, ci si alza in piedi come una volta si faceva il Segno della Croce davanti a una chiesa o ci si toglieva il cappello al passaggio del Viatico per i moribondi. L’applauso alle Forze Armate che sfilano nei cortei ha acquistato una valenza così sacra che i pochi frequentatori del culto religioso l’hanno stupidamente trasferito dentro le chiese durante il rito, non solo per i matrimoni ma anche peri funerali.

Come una volta ci si accapigliava tra sètte in nome del medesimo dio, ora ci si accapiglia tra fazioni in nome del medesimo Stato. E la fazione che vince pretende talora di distruggere le icone degli avversari perdenti. Sempre talebani e iconoclasti: è la solita tragedia che ritorna in forma di farsa. Non c’è stata alcuna soluzione di continuità tra Stato fascista e Stato repubblicano. Certo, a un regime autoritario si è sostituito un regime democratico, ma lo Stato è rimasto quello, al punto che la Repubblica ha mantenuto buona parte della legislazione fascista, preservandone addirittura i codici civile e penale, con le dovute correzioni in senso liberale. Per non parlare dei Patti Lateranensi, finiti addirittura nel testo della Costituzione. In questi ultimi tempi abbiamo visto addirittura Gentiloni il Piccolo seguire le orme dell’illustre suo avo, quello che con il patto passato alla Storia col suo nome avviò la politica italiana -in contrasto con il principio cavouriano ripreso, a suo modo, da Giolitti- verso la mussoliniana Conciliazione, foriera dei più biechi compromessi fra trono e altare, giustamente malvista da Gentile e avversata da Croce. Gentiloni il Piccolo è andato addirittura più avanti: mentre il nonno si era limitato a promuovere accordi fra i rappresentanti del cattolicesimo moderato e quelli dei politici conservatori più aperti alle istanze clericali, il nipotino s’è addirittura incontrato personalmente con il papa. Che cosa abbiano complottato tra loro non è ben chiaro, ma sta di fatto che il ministro Minniti da allora ha potuto svolgere la sua politica di contenimento all’immigrazione senza che il Vaticano -fino a ieri fautore dell’accoglienza indiscriminata- battesse ciglio. Pare che ora sia lecito respingere i migranti verso la Libia, e se lì saranno imprigionati e magari torturati, fatti loro. Se il papa non mette lingua, va bene così.

Ebbene, in questo Stato che di fascista ha conservato molto, in nome dell’antifascismo la presidenta Boldrini ha avanzato la proposta di distruggere tutti i monumenti costruiti all’epoca di Mussolini, salvo poi smentirsi quando le hanno fatto notare che in questo modo verrebbero non solo diroccati quartieri e distrutte piazze, ma addirittura rase al suolo intere città. Altro che i Talebani! Vi ricordate quando andarono al potere per la prima volta i leghisti nei comuni dell’Italia del Nord? Molte piazze intitolate a Roma divennero Piazza Padania. Da ridere. Talebani di mezza tacca. Non potendo distruggere statue e monumenti, si accontentavano di cambiare le targhe delle vie e delle piazze. Ognuno fa quel che può. Ma lo spirito è sempre quello di voler distruggere le vestigia dell’avversario.

Mi piace immaginare quel che sarebbe successo se la Spedizione dei Mille fosse fallita (sarebbe bastato che la flotta inglese non proteggesse lo sbarco degli scamiciati garibaldini, consentendo alla marineria borbonica di cannoneggiare le due caffettiere che li avevano trasportati da Quarto alle acque sicule) e il periglioso tentativo cavouriano dell’Unità sotto i Savoia avesse fatto fiasco. Invece dei monumenti a Garibaldi e a Vittorio Emanuele II avremmo quelli al bandito Carmine Crocco e agli altri briganti della sua risma. Qualche via e piazza delle contrade meridionali è già stata ribattezzata coi loro nomi. Ancora iconoclastia. Fazioni contro fazioni all’interno del medesimo Stato. Si parla magari di secessione, si sognano i Borboni, ma poi ci si accomoda sugli scranni di Montecitorio e di Palazzo Madama. Anche il nordista Miglio fu secessionista e federalista a oltranza, poi finì miseramente fra le truppe del Cavaliere di Arcore.

Non è che oltre Oceano le cose vadano molto meglio. L’elezione di Trump ha acuito i contrasti non solo fra Democratici e Repubblicani, ma anche fra Repubblicani pro-Trump e Repubblicani anti-Trump. In questo clima di guerra di religione non c’è da stupirsi se qualcuno pretende di distruggere, negli Stati del Sud, le statue che ancora commemorano gli “eroi” sudisti della Guerra di Secessione. Maledetti schiavisti, via ogni vostra traccia! Abbattere le statue del generale Lee! Pensate un po’ a quel che sarebbe successo se avessero vinto i Sudisti, schiavisti e liberisti, contro i Nordisti, antischiavisti e protezionisti, e nonostante questo la federazione americana avesse mantenuto una sua precaria unità, con un Sud dominante e schiavista e un Nord subordinato e antischiavista. Sarebbero i più fanatici rappresentanti del Sud a pretendere, oggi, che nel Nord vengano abbattute la statue di Lincoln e del generale Grant.
Ma c’è di peggio: qualcuno vorrebbe addirittura distruggere le statue di Cristoforo Colombo, che con la sua scoperta avrebbe aperto la strada al genocidio degli americani autoctoni. Assurdo. Se è da barbari punire nei figli le colpe dei padri, è ancor più esecrabile punire nei padri le colpe dei figli. Cristoforo Colombo non ha alcuna responsabilità di quel che è successo dopo. Ma i talebani non vanno troppo per il sottile.

Gli italiani dovrebbero gioire di questa controversia su Colombo. Da sempre sono in lite con i catalani, i quali pretendono che il grande navigatore sia nato a Barcellona. Ebbene, lo regalino pure a Barcellona, e siano i catalani a vedersela con i talebani d’ America. Magari accetteranno addirittura di mandare alle fiamme la caravella che sta pomposamente agli ormeggi nel porto della città, a rivendicare la nascita in loco dello scopritore del Nuovo Continente. Cosa loro, cosa loro!

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DG: Leporello, si può sapere che cos’hai da ridere?
L: Certo che rido, padrone mio. Il primo talebano siete voi!
DG: Bada a come parli! Non potresti recarmi offesa più grave! Come può un anarchico essere un talebano?
L: Ve la prendete tanto con quelli che vogliono distruggere le statue e i monumenti, ma qualche tempo fa foste voi a proporre di distruggere il Vittoriano di Roma. Anche voi come Ambrogio, contro la statua della Vittoria!
DG: Ma il mio era un discorso puramente estetico, non ideologico! Non mi importa niente del significato politico del Vittoriano. Sarebbe come voler buttar via quel che resta del Partenone perché la Vergine Atena era una dea falsa e bugiarda, la politica di Pericle un imperialismo criminale e Fidia uno che (così almeno si diceva) rubava l’oro con cui lavorava all’allestimento della grande statua criselefantina della dea. Il Vittoriano è brutto e fa a pugni con tutto il contesto architettonico di Roma. Io mi auguro soltanto che arrivi un bel terremoto “mirato” a buttarlo giù, salvando tutto il resto, senza uccidere neppure una mosca.
L: Però la statua del Commendatore l’avreste abbattuta volentieri…
DG: Mi basta aver abbattuto il Commendatore in carne ed ossa. L’avrei risparmiato, se non fosse stato così idiota da volersi battere.
L: Difendeva l’onore di sua figlia…
DG: Tanto onorata da lasciar entrare nella sua stanza, di notte, i maschietti, senza accertarsi della loro identità.
L: Il discorso sullo stupro lo dovremo riprendere.
DG: D’accordo, ma guarda che io non ho mai stuprato nessuno. Tanto meno Donn’Anna, quella notte. E ora vammi a prendere un bel bicchiere di Marzemino. E una bella coscia di fagiano…

Giovanni Tenorio

Libertino