Don Giovanni

Nessun pasto è gratis

Cari amici, ricordate quando, parecchi anni fa, prima qualche casa editrice di nicchia, poi qualche altra di più ampie dimensioni, cominciarono a pubblicare libri a prezzi stracciati? Non romanzetti o altre quisquilie del genere. ma testi classici d’ogni argomento, di tipo letterario o saggistico. Qualcuno storse il naso. Come si permettono? Un libro venduto a prezzi stracciati perde valore! Lo dicevano i concorrenti, ma lo ripetevano anche alcuni autori. Lo sentii affermare con le mie orecchie anche da un poeta che apprezzo, vincitore, tra l’altro, del Premio Montale.

E invece io dico: viva i libri a prezzi stracciati! Finalmente sono disponibili sul mercato testi che un tempo non tutti potevano permettersi, perché troppo cari. Finalmente uno può comperarsi le opere integrali di Leopardi, di Pascoli, di Carducci, di D’Annunzio senza spendere un capitale. Può permettersi il lusso di acquistare tutto Platone con testo greco a fronte, e magari, se è un po’ folle, mettersi a leggere, che so, il “Teeteto” o il “Protagora”. Rimasi felicemente ammirato quando vidi che il filosofo Giulio Giorello, da me molto stimato, la pensava più o meno allo stesso modo. Se non ricordo male, ebbe a dire che se un operaio può tenere nella tasca della tuta un classico acquistato a prezzo modico, è una vittoria della cultura e un merito dell’alta divulgazione.
Non so che cosa ne abbia pensato e che cosa ne pensi Vittorio Sgarbi dei libri a prezzo stracciato. Fra quelli della casa editrice della sua sorella Elisabetta, “La nave di Teseo”, ce ne sono di tutti i prezzi. Quelli più raffinati costano non poco, ed è giusto che sia così. Un libro ricco di illustrazioni artistiche non può costare una manciata di monetine. Ho notizia invece che l’illustre critico d’arte -il quale, quando parla di argomenti attinenti alla disciplina di cui è competente, ha il pregio di scrivere molto bene, senza troppi tecnicismi, come pochi oggi sanno fare- è assai contrariato dalla decisione del ministro dei Beni Culturali di abolire le visite domenicali gratuite ai musei e alle pinacoteche. Il suo ragionamento è questo: l’Arte e la Cultura devono essere offerte a tutti gratuitamente, perché se facciamo pagare l’ingresso ai musei è come se facessimo pagare lo spettacolo di un tramonto. Significherebbe svilirne il valore spirituale, svendendolo per denaro. Musei e pinacoteche dovrebbero invece rimanere sempre aperti gratuitamente.

Non sono d’accordo. Se avessi voglia di scherzare, a proposito del tramonto, ribatterei che qualche libertario ha suggerito addirittura di privatizzare il chiaro di luna. Impossibile! Nessuno potrebbe venderlo a nessuno, nessuno potrebbe appropriarselo come ci si approprierebbe un terreno vergine o un qualsiasi bene abbandonato o non ancora sfruttato. Però se io costruisco un osservatorio astronomico e faccio pagare il biglietto a chi desidera osservare il cielo (magari l’eclisse di luna di cui s’è tanto parlato nei giorni passati), non vedo perché il meraviglioso spettacolo risulterebbe svilito. Chi dell’eclisse di luna e delle meraviglie celesti non se ne fa nulla, sicuramente rinuncerà al biglietto, anche se il prezzo è modico, preferendo andare ad abbrutirsi in una discoteca o rimanere a casa a rimbambirsi davanti a uno squallido video. Chi invece ha qualche interesse per la Scienza sarà ben contento di pagare. In questo caso, la gratuità è controproducente. E’ la gratuità a svilire l’oggetto. Se l’entrata all’osservatorio è gratis, ci entreranno anche i villanzoni che dell’Astronomia nulla sanno e nulla vogliono sapere. Disturberanno anche chi invece è interessato. Si entra perché è gratis, e se è gratis vuol dire che è fuffa! Ma viva la fuffa, se è gratis!

L’esempio dell’osservatorio è inventato di sana pianta, ma ora ve ne racconto uno autentico. Molti anni fa un famoso salumificio della Brianza organizzava intrattenimenti culturali di alto livello, a beneficio sia dei dipendenti sia di tutti quelli che ne avevano piacere. Le manifestazioni si tenevano nella grande sala-mensa dello stabilimento, e l’ingresso era gratuito. Una volta ebbi l’onore di vedermi rappresentato dall’Opera Mozartiana di Praga : un “Don Giovanni” davvero delizioso. Un’altra volta, purtroppo, si dava un concerto con l’orchestra della Scala diretta da George Prêtre. Era in programma la Terza Sinfonia di Brahms. Per tutto il tempo dell’esecuzione alcuni villani rinciviliti continuavano a commentare dicendo sciocchezze. A un certo punto qualcuno, con un movimento maldestro, fece cadere a terra, con gran fracasso, tre o quattro grandi mestoli da cucina, che erano appesi a una parete. Sfogo di uno spettatore esasperato, alla fine della manifestazione: “Basta! Mì de robb a gratis voeuri pù savèghen!” Aveva ragione. Se fosse stato fatto pagare anche solo un modestissimo prezzo d’ingresso, quei fracassoni si sarebbero tenuti ben lontani dalla Terza di Brahms.

La stessa cosa vale per musei e pinacoteche. Posso capire che in alcune occasioni o per alcune fasce d’età si offrano sconti (anche se l’idea che tutti i vecchi siano poveri e tutti i giovani siano in bolletta mi sembra piuttosto bislacca). Ma gratis, proprio no. Bisogna tener lontani quelli che entrerebbero solo perché non si paga niente, disturbando chi invece vuole davvero istruirsi, godere le opere d’arte o le testimonianze del passato. E poi: se non far pagare l’ingresso a musei e pinacoteche è sacrosanto, perché la cultura è di tutti, lo stesso dovrebbe valere anche per il teatro, la musica, il cinema. E perché non per lo sport? E’ cultura anche quella! Nell’antica Atene il biglietto d’ingresso alle rappresentazioni teatrali era offerto ai nullatenenti attingendo a un fondo pubblico, chiamato “theorikòn”. Finanziato in che modo? Con i tributi pagati dagli alleati della Lega Delio-Attica. Vi par giusto che un abitante d’una lontana isola dell’Egeo pagasse il teatro a un cittadino di Atene? A me pare proprio di no. Così come non mi pare giusto che chi non metterà mai piede in un museo paghi, attraverso le tasse, l’ingresso di chi invece ha piacere di entrarci. Perché alla fin fine il discorso è sempre lo stesso: nessun pasto è gratis. Pinacoteche e musei, che sono costosi, qualcuno li deve pur pagare. Meglio che paghi Pantalone, o che a pagare siano quelli che li frequentano? Tra l’altro, uno dei tanti Pantaloni che si terrebbero ben lontani dagli ingressi a pagamento, potrebbe essere tentato di entrare perché è gratis, non rendendosi conto, poveretto, che con le tasse è stato costretto a pagare anche lui per il finanziamento di istituzioni per le quali non sborserebbe nemmeno un centesimo.

No caro Sgarbi. Se è vero che i prezzi modici dei libri non sviliscono la cultura, è vero invece che la gratuità la svilisce. Tutto deve avere un prezzo. E deve pagarlo chi usufruisce del bene o del servizio cui è applicato. Se un privato vuol offrire gratis la visita a una sua raccolta, benissimo. A pagare sarà lui. Anch’io nella mia villa accolgo tutti gratis. E’ aperto a tutti quanti, viva la libertà.

Giovanni Tenorio

Libertino