Don Giovanni

Lo stato (grande o piccolo) è il problema (grande)

Cari amici, i luoghi comuni non sono monopolio di nessuno. Imperversano a destra, al centro a sinistra. Li pronunciano bigotti e atei. Li propalano dotti e ignoranti. Sono tanto comodi, ci dispensano dal pensare. Ci arrivano sulle labbra o in punta di penna spontaneamente, con lo stesso automatismo con cui ritraiamo la mano quando ci scottiamo con un fiammifero, o chiudiamo gli occhi quando siamo abbagliati da una luce violenta. Anche chi si dice libertario non ne è affatto immune.
Uno di questi luoghi comuni, che i libertari si compiacciono di ripetere, è quello secondo cui uno staterello è sempre migliore di uno Stato grande. In alcuni casi può essere vero, ma non in tutti. Sarebbe stato meglio che il Sud degli USA si costituisse in sistema politico indipendente, staccandosi dall’Unione e mantenendo la schiavitù? Ne dubito. Il cosmopolitismo di Alessandro Magno – in cui qualcuno vede i prodromi dell’ecumenismo cristiano – era peggiore del particolarismo ateniese, così restio a concedere la cittadinanza agli stranieri? Ne dubito ancora. L’Impero Romano, pur con tutte le sue violenze, non era forse tanto inclusivo da estendere la cittadinanza, con la Consitutio Antoniniana di Caracalla nel 212, a tutti – o quasi- gli abitanti del suo territorio, e tanto aperto da consentire l’ascesa al potere di uomini nati in ogni regione, dalla Spagna (Traiano), all’Africa (Settimio Severo), all’Oriente (Filippo l’Arabo)? Siamo sicuri che stessero tanto male i milanesi quando erano sudditi di Maria Teresa, e potevano accogliere a braccia aperte il giovanissimo Mozart, quasi fosse un loro compatriota? Meglio, da sudditi dei Savoia, sparare contro gli austriaci nella carneficina del 15-18? Meglio l’Europa frammentata di qualche decennio fa, o l’Europa di Schengen che ha abolito, almeno in parte, la barbarie (sì, barbarie, parola di Luigi Einaudi) dei confini nazionali?
Visto che tanti libertari fanno il tifo per la secessione catalana, mi permetto di sottoporre alla loro attenzione due drammi di Lope de Vega, vanto del famoso “Siglo de oro”, che per la Spagna è qualcosa di simile alla gloriosa “Età elisabettiana” britannica.

Uno è “Il miglior giudice è il re”. In breve, la trama è questa. Un giovane contadino va a chiedere il permesso di sposare la fanciulla che ama al signorotto locale. Questo però si invaghisce della donna e pretende di farla sua. Al rifiuto di lei, non esita a rapirla. Il contadino si rivolge, per avere giustizia, al re, che ordina al signorotto di lasciar libera la ragazza e concedere il permesso delle nozze. Il signorotto non solo si rifiuta di obbedire, ma conduce addirittura la donna in un bosco e la violenta. A questo punto interviene il re in persona: ordina al signorotto di sposare la ragazza, che in questo modo diventerà erede del di lui patrimonio. Poi lo condanna a morte. Così i due giovani potranno finalmente coronare il loro sogno d’amore. Vi ricorda niente questa storia? Il pensiero corre subito ai “Promessi Sposi”. Sicuramente Manzoni conosceva il dramma di Lope(*) Meglio il signorotto locale o il re? Si stava davvero bene nel feudo di Don Rodrigo?

L’altro dramma è “Fuente Ovejuna”. Anche qui siamo in presenza di un signorotto che pretende di esercitare il famigerato Jus primae noctis (quello stesso, per intenderci, che nelle “Nozze di Figaro” dei miei due papà -derivate da Beaumarchais- il Conte di Almaviva vorrebbe reintrodurre nel suo feudo, per accoppiarsi alla bella Susanna, alla faccia del suo fedele servitore Figaro). Dopo molte peripezie, aizzato da una donna che ha subito uno stupro, tutto il popolo si ribella, giungendo al punto di uccidere il tirannello. Quando arriva il giudice del re a punire l’omicidio, chiede a tutti i sudditi chi ne è stato l’autore, sentendosi rispondere, da ciascuno degli interrogati, che il colpevole è “Fuente Ovejuna”, ovvero tutto il popolo del territorio così chiamato. Non luogo a procedere. Il re concede l’assoluzione. Il tiranno ha ricevuto quel che si meritava. Notate bene: TUTTI rispondono allo stesso modo, quindi si può legittimamente affermare che TUTTO il popolo, non una sua maggioranza “democraticamente” espressa, manifesta il volere comune. Ancora una volta chiedo: meglio il signorotto o il re? Meglio un feudo piccolo dove vige la barbarie dello Jus primae noctis, o un grande regno che l’ha messo al bando?

Meditate libertari. Com’è bella, vero, la piccola Svizzera, dove i singoli cantoni possono farsi concorrenza fiscale, con gran gioia dei contribuenti e allettante incentivo per gli investitori stranieri. Nessuno lo nega. Non altrettanto bello che con un referendum si possano cacciare i lavoratori stranieri, violando non soltanto i più elementari diritti umani, ma impedendo agli imprenditori di assumere chi vogliono, o ai singoli cittadini di accogliere in casa loro gli ospiti che preferiscono. Decisioni democratiche? Sicuramente. Decisioni di TUTTO il popolo, come a Fuente Ovejuna? Neanche per idea. Basterebbe il parere contrario di UNO solo dei cittadini, che volesse riservarsi il diritto di ospitare chi vuole, per inficiare moralmente la decisione quasi unanime. Sarebbe buona cosa se potesse bloccarla opponendo un veto. Gran cosa il diritto di veto. Serve a impedire la tirannia della maggioranza. Nell’antica Roma potevano esercitarlo i tribuni della plebe contro le angherie del patriziato. Anche le decisioni dei consoli, che erano titolari del supremo potere esecutivo, dovevano essere unanimi.
Meditate libertari, meditate. Ve l’immaginate una Lombardia indipendente sotto la dinastia dei Bossi? Sarebbe meglio della tanto disastrata Italia? Ve la ricordate la storia della Banca Lombarda? Quella che sarebbe andata in fallimento, provocando sconquassi, senza il misericordioso intervento di Berlusconi? Un episodio più edificante di quello della Banca Etruria, gestita, tra gli altri, dal babbino caro di Maria Elena Boschi?
E che ne dite della fanfaluca del “residuo fiscale” ? Per tornare alla Catalogna, pare si veda già restituire il 95% delle imposte che paga a Madrid. E allora? Tanta cagnara per un 5%? Quanto alla Lombardia e al Veneto, il residuo fiscale resterà tale e quale, a dispetto delle più larghe autonomie che eventualmente riuscissero a conquistarsi. Pensateci bene. Se, ad esempio, ottenessero nuove competenze nell’ambito della tutela del territorio ( Dio ne scampi e liberi! Avete presente il Parco Lambro? Andate a vedere), otterrebbero come finanziamento la stessa cifra che ora per le medesime funzioni viene spesa dallo Stato centrale. La spenderebbero più oculatamente? Tutto da dimostrare (Parco Lambro docet). Il sovrappiù di imposte che i lombardi e i veneti pagano a Roma, perché venga redistribuito alle Regioni più povere e meno virtuose, resterebbe il medesimo. E’ inevitabile. In un’ottica statalista, chi è più ricco deve pagare di più, a beneficio di chi è più povero. Se i lombardi e i veneti, complessivamente, sono più ricchi dei lucani, devono pagare più dei lucani; e i lucani ricevere di più di quello che pagano.

Però – dirà qualcuno – se ad esempio la Lombardia diventasse indipendente, tutto il denaro pagato a Milano a titolo di imposta resterebbe in Lombardia. Come no? Ma sicuramente il milanese pagherebbe di più di quanto riceve, e l’abitante di Pagnona (un paesello “sulla schiena del Legnone”, per dirla con Tommaso Grossi) riceverebbe di più di quanto paga. I giochi si ripeterebbero, su scala ridotta. Tanto rumore per nulla.
Meditate libertari, meditate.

Per il rapporto di Manzoni con le grandi letterature europee, francese inglese tedesca e spagnola, vedi il bel saggio di GIOVANNI GETTO, Manzoni europeo, Milano, Mursia, 1971

Giovanni Tenorio

Libertino

7 pensieri riguardo “Lo stato (grande o piccolo) è il problema (grande)

  • Caro padrone Don Giovanni: il suo ragionamento è ineccepibile.
    Per quanto sia vero che la sostanza non cambia (lo Stato è ladro sempre, sia quando il bottino lo porta a Roma sia quando lo porta a Milano), sono tuttavia propenso a preferire una ipotetica Lombardia indipendente (sia chiaro: resterebbe il nemico da combattere) a una Lombardia con sulle spalle gli statali Siciliani, i disoccupati Campani, la burocrazia Romana… anche perché le spalle, a dire il vero, non sono quelle della Lombardia (che non ha spalle, essendo un concetto), ma quelle dei poveri “produttivi” in via di estinzione…

    • La Lombardia è un’espressione geografica. Un milanese (ammesso che ce ne siano ancora: a Milano si parlano tutte le lingue -e mi fa piacere-, dal cinese allo swahili, fuorché il meneghino – e me ne dispiace-) non capisce un napoletano che parla strettamente il suo dialetto, ma ancor meno un bergamasco, anche se Bergamo è a una cinquantina di chilometri. Se si fondasse uno Stato lombardo, avrebbe tutte le caratteristiche degli Stati di oggi, che drenano risorse con la rapina fiscale e le redistribuiscono dai più ricchi, o presunti tali, ai più poveri, spesso finti. Visto che anche la Lombardia ha le sue aree depresse, come l’Alto Lario, per il contribuente non cambierebbe nulla: le risorse verrebbero redistribuite ai “laghée” anziché ai terroni DOC (ogni Stato ha i suoi terroni, che potrebbero trovarsi a Nord invece che a Sud, come nel nostro caso). Si formerebbe una burocrazia statale lombarda, torpida e parassitaria come tutte le burocrazie. C’è un ulteriore pericolo: visto che i governanti lombardi di matrice leghista hanno un’autentica venerazione, corroborata dalla saggistica di Gianfranco Miglio, per la vicina Confederazione Elvetica, la Lombardia potrebbe ritrovarsi una costituzione fondata in gran parte sul principio referendario senza correttivi: quello che permette, con una risicata maggioranza, di cacciar via “tagliàn”, negri, musulmani e qualsiasi altro indesiderato tutte le volte che si deve trovare un capro espiatorio su cui gettare la colpa dei problemi interni. E poi: si avrà un esercito lombardo? Magari con una coscrizione di tipo svizzero, con l’obbligo di prestar servizio per un certo numero di giorni all’anno? Una schiavitù “a rate”, che dura per tutta la vita attiva? Si metteranno presìdi di confine affidati a corpi di guardia che sostituiranno gli attuali “burlanda” (guardie di finanza) collocati lungo il confine elvetico? Parleranno con l’accento bergamasco, o bresciano, o varesotto, o cremonese, ma saranno altrettanto odiosi di quelli che oggi parlano con accento napoletano o pugliese o siculo. Inoltre si dovranno esibire documenti validi per l’espatrio non solo al confine svizzero, ma anche a quello veneto, trentino, emiliano, piemontese?
      E’ una prospettiva che mi mette i brividi. Io in lombardia vorrei poter entrare senza troppi controlli. Le donne lombarde mi fanno gola… “Amami tu, donna lombarda…”

    • In realtà dalla Lombardia non si entra o si esce liberamente nemmeno adesso. Siamo spiati (a fini fiscali) da telecamere e sensori (ultimi quelli posizionati lungo quel monumento alla spesa pubblica mascherata da spesa privata che è la Pedemontana). Ma su questo siamo d’accordo: la soluzione è la morte del concetto di territorialità dello Stato (per non parlare di quello di Nazione).
      Una maggiore libertà di movimento non giustifica la preferenza per un “super Stato” al posto di uno Stato più piccolo: tutta spazzatura.

      Il mio ragionamento nasce da un semplice calcolo matematico.

      La ricchezza viene prodotta in una zona molto definita geograficamente (ne sono sicuro, mio malgrado), ma gli strumenti democratici ne favoriscono l’esproprio a vantaggio di milioni di parassiti.

      Mi basterebbe indebolire il vantaggio numerico dei parassiti per trarre un breve sospiro di sollievo, in attesa di sbarazzarci completamente di questa arma pericolosissima: la Democrazia.

    • Caro Leporello, mi fa piacere questa dialettica interna al nostro blog. Segno che siamo davvero anarchici e lontani da ogni dogmatismo. Sarei lieto che si estendesse anche ai venticinque lettori che ci seguono, nei loro rapporti reciproci e nei nostri rapporti con loro. Forse è solo una pia illusione. In ogni caso, noi proseguiamo per la nostra strada, senza dogmi, senza dèi e senza timori reverenziali. Anche a costo di apparire pazzi integrali.
      Passando alle tue ultime osservazioni, rimango convinto che la lotta contro un unico grande potere centrale è più facile di quella contro tanti piccoli poteri locali. Se è vero- ma è tutto da dimostrare- che, come dicono gli indipendentisti, i poteri locali sono più efficienti, allora è più difficile abbatterli. I grandi imperi si sgretolano sotto il peso della loro mole: a questo punto, basta una spallata, e il gioco è fatto. Sono finiti tutti così. Pensa all’Impero Romano d’Occidente. Quando Odoacre lo liquidò, deponendo Romolo Augustolo e spedendo a Bisanzio le insegne imperiali, era già in decomposizione da tempo. Crollato il potere politico, si disporrà di un enorme territorio senza steccati, punto di partenza per costruire un sistema a-territoriale, dove la proprietà privata non coincide in nessun modo con la sovranità. Il che implica la necessaria sussistenza di spazi comuni, regolati dal diritto consuetudinario: sia detto con buona pace dell’ultimo Rothbard, che auspica un mondo in cui ogni area territoriale ha un suo proprietario, non si sa bene in base a quale titolo. Idea da respingere: in un mondo così si ritornerebbe al Feudalesimo – come ben ha osservato l’amico de Bellis – dove il signore possiede di fatto tutto il territorio a lui sottoposto, esercitando poteri politici su chi vi risiede. Io penso che i libertari di tutto il mondo, anziché battersi per la formazione di nuovi staterelli, dovrebbero assecondare la costituzione di un impero mondiale e, raggiunto il punto di crisi, favorirne lo sgretolamento. L’unica cosa che mi fa davvero paura, nella costituzione di grandi imperi, è la corsa agli armamenti. Questa dovrebbe essere contrastata duramente fin dall’inizio, recuperando non il pacifismo strabico delle sinistre di un tempo, ma quello molto più onesto di un Russell o di un Cassola, che i Radicali – quando erano ancora degni di questo nome- avevano fatto proprio. Lotta dura, a base di obiezione fiscale, renitenza alla leva, disobbedienza civile. Da bandire ogni forma di violenza. Il nostro modello dovrebbe essere Gandhi. Serve però un capillare coordinamento fra tutti i raggruppamenti libertari su scala globale. In quest senso, la tecnologia ci aiuta. Internet ha di fatto spazzato via tutte le barriere che ostacolavano la diffusione delle idee (e non solo). Un tempo si potevano censurare o bruciare suol rogo i libri sovversivi (magari con i loro autori). Più difficile censurare la rete telematica. I Bitcoin e le monete “virtuali” in genere stanno già aggirando il monopolio delle Banche Centrali, autentici falsari legalizzati.
      So già quel che molti ribatteranno: “Follie, follie, delirio vano è questo”. Sicuramente, finché gli idoli libertari resteranno, almeno in terra italica, personaggi come Gianfranco Miglio.

  • Alessandro Colla

    L’ultimo Rothbard non lo interpreterei come ogni territorio sottoposto a un unico proprietario in stile signore feudale ma come ogni potenziale proprietario ad avere un suo territorio e con spazi comuni come multiproprietà. Quando voglio intraprendere un’attività e da solo non ce la faccio, ho bisogno di soci. E i territori demaniali potrebbe diventare proprietà di frontisti, residenti, domiciliati e addetti alla manutenzione. Un potere locale più efficiente è più difficile da abbattere? Non è detto. Piccoli poteri abbattuti ci sono stati, o per sollevazione o per intervento del Barbarossa di turno. L’impero romano è durato cinque secoli, altre realtà più piccole sono durate molto meno. Se poi un potere territorialmente piccolissimo è più efficiente, ciò potrebbe non essere necessariamente un fastidio per la popolazione. Efficienza non significa solo capacità di mantenere il potere ma anche di soddisfare gli abitanti. Una piccola realtà territoriale dove sia vietata la proprietà privata si troverebbe presto o con una popolazione “più efficiente” in rivolta o senza popolazione. Assecondare un impero mondiale può significare offire un’unica efficienza all’imperatore: quella del mantenimento del potere. La Cina è un caso emblematico. E poi, nella realtà anche se non de Jure, l’impero unico mondiale c’è già e ha da tempo raggiunto il suo punto di crisi. Quindi, la temporanea formazione di microrealtà territoriali sovrane potrebbe essere una della tante strategie per arrivare allo sgretolamento dell’impero. Sempre mantenedo la finalità di creare società senza stato e completamente volontarie, indipendentemente dal territorio. Con l’impero unico non ci sarebbe più la rincorsa agli armamenti perché le armi sarebbero tutte monopolio dell’imperatore. E allora lo sgretolamento sarebbe più complicato, avverrebbe solo sul piano economico senza un controvalore politico. Perché il conflitto sarebbe solo tra imperatore (od oligarchia) e sudditi. Giusto, però, non considerare Gianfranco Miglio come un idolo libertario. E non solo per il suo inutile progetto delle macroregioni, peraltro disegnate a tavolino come gli stati coloniali africani e di fatto senza rispetto per la geografia naturale. Uguali, insomma, a quelle dei Savoia e dello stato repubblicano: un’ammucchiata di regioni federate con le stesse demarcazioni territoriali delle regioni attuali. Un idolo per i leghisti, non per i libertari autentici.

    • Ringrazio l’amico Colla per il suo intervento, come sempre, intelligente, che ravviva le pagine di “Libertino”, altrimenti monocordi e, alla lunga, noiose.
      Mi permetto di ribattere che proprio lo sgretolamento dei grandi imperi in unità più piccole, nel passato, non ha portato affatto a sistemi più liberi, ma a conflitti spesso violenti fra unità politiche di varia dimensione, spesso riaggregatesi in enti territoriali più grandi. Pensiamo alla fase dei “Diadochi” per l’impero di Alessandro Magno, allo stesso Impero Romano, al Sacro Romano Impero. Io continuo a credere che la sconfitta di Federico II di Sveva nella sua lotta per sottomettere i Comuni sia stata una grande iattura. Sappiamo con quale ferocia i Comuni combattevano tra loro, conosciamo le loro lotte interne, talora sanguinose.
      Certo, un impero mondiale avrebbe il monopolio delle armi, quindi le guerre, in teoria, non avrebbero più ragion d’essere. Ma è nella fase di costituzione di un governo mondiale, quando enti territoriali sempre più grandi si confrontano tra loro, che un movimento libertario forte, sovrannazionale, e davvero degno del suo nome, deve mobilitate la gente contro la corsa agli armamenti, favorendo invece tutte le spinte verso unioni e accorpamenti pacifici sulla base del libero scambio, nel senso più radicale del termine ( il che significa abbattimento di frontiere e dogane, piena libertà di spostamento non solo delle merci ma anche delle persone, abrogazione della proprietà intellettuale, dei brevetti e di tutti gli strumenti giuridici che producono scarsità artificiale, ecc.) Nel frattempo, bisogna preparare culturalmente il pensiero dominante a una dissoluzione politica che non sia un ritorno al piccolo, ma una vera e proprio “Aufhebung” del territorialismo. L’ultima fase della lotta dovrebbe essere un’obiezione fiscale di massa. Quando anche gli sbirri resteranno senza paga, punteranno i loro fucili non più contro la popolazione inerme, ma contro i loro capi.
      E’ un programnma folle? Sicuramente. Ma la follia di oggi è spesso il senso comune di domani.

  • Alessandro Colla

    Gli esempi nella storia possono essere tanti. E in effetti spesso cambia poco, indipendentemente dalle dimensioni territoriali. A volte, però, ci sono state situazioni migliori con territorio più piccolo. Mi piace ricordare come esempio la Repubblica Marinara di Amalfi o quella meno bellicosa di tutte a San Marino. Ecco, le dimensioni territoriali ideali sarebbero proprio quelle di quest’ultima entità territoriale. Ce n’è una ancora più piccola a Roma, dopo il Tevere; non ne ricordo la denominazione ma non credo sia il massimo delle aspirazioni per un libertario. Credo che la piccola Islanda, senza appartenere a in forzato Regno Unico Scandinavo, stia meglio dell’Italia e il Principato di Monaco meglio della Francia. Devo ammettere, se fossi ceceno, di preferire essere sotto Putin piuttosto che sotto i mullah locali. Così come non mi interessa una Padania proibizionista e protezionista o una Catalogna obbligatoriamente “sociale e solidale”. Concordo con tutto il resto del programma ad eccezione dell’aggettivo finale che probabilmente dovrei interpretare in senso erasmiano. Lo ritengo l’unico programma di buon senso e di respiro globale. La vera follia, questa volta in senso patologico e clinico, è il mantenimento dello status attuale.

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