Don Giovanni

Libertino, epicureo e zingaro

Cari amici,ho avuto la disgrazia di frequentare la scuola elementare nella stessa classe di quello zuccone di Don Ottavio. Era così somaro da meritarsi sempre cinque, anche se studiava notte e giorno. I compagni lo canzonavano chiamandolo Don Cinquavio. Lui se la prendeva, replicava con le parole più sconce, e l’alterco finiva sempre in una zuffa, da cui usciva regolarmente malconcio, con qualche livido e col naso sanguinante. Io invece prendevo sempre uno, perché non avevo voglia di studiare: una volta imparato a leggere scrivere e far di conto, tutto il resto mi annoiava. Durante le lezioni facevo tutt’altro, da autodidatta: in questo modo nessuno mi ha potuto rincretinire, ho imparato a ragionare con la mia testa e sono diventato libertino. E libertino mi chiamavano i miei compagni secchioni, credendo di farmi dispiacere: io invece lo consideravo un complimento, e me ne fregiavo come d’un titolo onorifico, ben più gratificante della nobiltà di sangue che avevo ereditato senza merito alcuno. Libertino sono rimasto, come ben potete vedere. Altro titolo onorifico di cui mi glorio è quello di epicureo. Che c’è di meglio? Dante mette gli epicurei all’inferno, perché “l’anima col corpo morta fanno”. Almeno erano schietti, dicevano quel che pensavano: non come i teologi d’oggi, che impastano l’anima col corpo e non si sa bene che cosa succede quando arriva sorella morte. Le persone di spirito hanno sempre fatto così: hanno tramutato gli epiteti ingiuriosi rivolti al loro indirizzo in titoli encomiastici. Pensate ai pittori impressionisti: vennero bollati con questo soprannome dopo che, respinti dalle più prestigiose gallerie parigine, trovarono accoglienza nell’atelier del fotografo Nadar. “Impression, soleil levant” si intitolava un quadro di Monet esposto fra tanti altri, e un critico un po’ citrullo – come sono quasi tutti i critici- chiamò per dileggio “Impressionisti” tutti i seguaci di quel nuovo gusto pittorico. Loro non si scomposero: accettarono la qualifica, la fecero propria, e oggi nessuno la userebbe con intento dispregiativo. Qualcosa di simile capitò ai Decadenti: “Je sui l’Empire a la fin de la decadence” cantava Verlaine, facendosene titolo di merito.
Tanto preambolo per dire che non capisco proprio questo diffuso arricciare il naso se qualcuno ha osato chiamare “zingari” i Rom. Intendiamoci bene, a scanso di equivoci: non condivido affatto ciò che quel signor qualcuno ha detto sugli zingari. Credo che in Italia siano entrati al seguito della regina Elena di Montenegro. Sono stati accolti, non si è avuto nulla da dire sul loro nomadismo e sui loro insediamenti itineranti. Hanno acquistato il diritto di muoversi a piacimento e di insediarsi laddove è stato loro ab origine concesso: un vero e proprio diritto reale, che nessuno può revocare. Se non erano graditi, andavano allontanati subito. Se rubano o sfruttano i minorenni a scopo di accattonaggio, devono essere puniti né più né meno di qualsiasi altra persona o associazione criminale. Se non mandano i figli a scuola, forse fanno bene: ne salvaguardano la salute mentale. Ruberie e accattonaggio a parte, anch’io mi sento zingaro: ho percorso il mondo in lungo e in largo in cerca di belle donne: chi più nomade di me? Ne fa fede il catalogo del mio servo Leporello. Chi più eslege di me, anarchico fino alla punta dei capelli? Anch’io, quando potevo, marinavo la scuola; ed è questo il motivo per cui non sono diventato ignorante del tutto . Libertino, epicureo e zingaro, una Santissima Trinità. “Zingaro” è una bellissima parola, perché bandirla? Perché qualche ignorante la usa in senso dispregiativo? Ogni parola può essere usata in senso dispregiativo. In Canton Ticino è un’offesa chiamare qualcuno italiano; se dici a un viennese che è un tedesco, devi aspettarti una replica rabbiosa, e forse qualcosa di peggio. Tutto dipende dal contesto e dalle intenzioni del parlante. Ma per qual motivo formalizzarsi tanto? Le parole sono semplici convenzioni, non hanno nulla di magico, non contengono l’essenza dell’oggetto nominato. Erano i primitivi a crederlo, quando si pensava che scoprire il nome segreto di una divinità significasse impadronirsi del suo potere. “Nomina sunt consequentia rerum” dicevano nel Medio Evo. Ma andiamo! Consequentia d’un bel nulla, semplice aria che vola… La persona intelligente davanti a un epiteto che vorrebbe essere ingiurioso ride, e se ne riveste come d’un abito scintillante. Prendiamo esempio dagli Impressionisti, dai Decadenti, dai Libertini, non da quel mentecatto di Don Ottavio…
Quel che più mi dispiace è che in questa risibile faccenda sia sceso in campo a difendere il politicamente corretto anche un esimio linguista da me sempre stimato, il professor Luca Serianni. Dice che “zingaro” è ormai diventata una parolaccia, quindi va evitata. Giustifica il suo parere con una motivazione che secondo me fa acqua da tutte le parti. Una parola-dice-non va giudicata dalla sua etimologia, ma dal suo uso attuale. Ad esempio, “idiota” deriva da un sostantivo greco che significava “privato cittadino”, ma oggi nessuno la usa più in quel senso: è diventata offensiva, e tale rimane. Due obiezioni.1) “Idiota” è termine avalutativo in origine, diventa dispregiativo in seguito, mentre per “zingaro” è tutt’al contrario: in origine è pesantemente valutativo, indicando una comunità etnica di “intoccabili”, cioè “impuri”, un po’ come i “paria” nel sistema castale indiano; poi perde ogni significato deteriore nella “langue”, connotandosi negativamente solo nella “parole” di alcuni parlanti in determinati contesti. 2) Nel caso di “idiota” si è avuto un totale spostamento di significato: nessuno più usa quel termine pensando a un privato cittadino, ma soltanto a un tipo come Don Ottavio, il prototipo dell’imbecille. E’ cambiato il referente. Quando invece si dice “zingaro”, si allude ai Rom oggi come ieri: il referente è il medesimo. Qualcuno, nella sua “parole”, lo caricava di disprezzo ieri, qualcuno lo fa anche oggi (io non sono fra questi). Unica differenza: ieri non c’erano le Boldrini, i Marino, i Vendola e compagnia bella, oggi purtroppo ci sono; e c’è anche Facebook di Zuckerberg a censurare chi lo usa (liberissimo di farlo, ognuno in casa sua fa quello che vuole, e io liberissimo di chiamarlo Grande Fratello). E purtroppo, a rincarare la dose, c’è anche un insigne linguista. Aliquando bonus dormitat Serianni.

P.S. Un caro saluto alla mia amica Carmen, la più seducente zingara del Creato.

Giovanni Tenorio

Libertino