Don Giovanni

Diritti dell’uomo o diritti del cittadino?

Ha ragione Andrea Riccardi. La legge dello IUS SOLI, che si aveva intenzione di approvare al più presto, mentre è stata rimandata a settembre nel timore che potesse essere impallinata dai franchi tiratori, con lo IUS SOLI vero e proprio ha poco o niente che fare. Lo IUS SOLI stabilisce che chi nasce in un determinato territorio automaticamente ne acquisisce la cittadinanza. Altra cosa, invece, è richiedere che chi vi è nato, per acquisire la cittadinanza dimostri di conoscere la lingua che vi si parla, di avere una certa scolarizzazione, di rispettare le leggi vigenti, di avere un lavoro e di pagare le imposte. Mettendo tra parentesi per un momento il mio anarchismo e vestendo, per gioco, i panni del buon cittadino devoto allo Stato, sarei portato a dire che quella proposta dal governo Gentiloni è una buona legge, a costo di farmi a mia volta impallinare dai sedicenti libertari ex-leghisti e neo-con. Se un figlio di stranieri, nato e residente in Italia, si comporta da buon italiano, perché escluderlo dalla cittadinanza? A questo modo, si dice, tutti vorranno venire in Italia a mettere al mondo figli, per assicurare loro un avvenire a carico degli italiani veraci. Ma vogliamo scherzare? Qualcuno parla addirittura di complotti per schiacciare il Belpaese e l’Europa tutta sotto la cappa oppressiva dell’Islam. Vaneggiamenti. Chi sarebbe a capo di tale complotto? A che pro? A fare confusione ci si mette anche il presidente dell’INPS Tito Boeri, che proclama l’immigrazione come una sorta di manna dal cielo, capace di salvare i conti traballanti del sistema pensionistico. Calma, calma! Gli immigrati che si integrano e lavorano sicuramente sono da tener cari. Quelli che bighellonano tutto il giorno o prendono a coltellate i poliziotti, no. E quando sono troppi, sono troppi. Un filtro è necessario.

Sto parlando in maschera, sia ben chiaro. Adesso me la tolgo e ridivento anarchico. Il diritto di cittadinanza è uno dei tanti figli perversi della Rivoluzione Francese, che io continuo a ritenere una delle pagine più turpi della storia dell’Umanità, quella che ci ha regalato lo Stato-nazione, l’accentramento burocratico, la schedatura anagrafica, la coscrizione obbligatoria, la polizia di Stato, i questori, i prefetti, l’istruzione pubblica, una fiscalità sempre più oppressiva (vi ricorda nulla il nome di un certo Prina?) il culto della bandiera, tutto il ciarpame patriottardo mal ricalcato sui ben più nobili riti religiosi (in special modo cattolici), i documenti d’identità, i passaporti. Prima, tutto sommato ci si poteva spostare da un capo all’altro del mondo senza troppi intoppi burocratici. I confini c’erano, ma erano abbastanza permeabili. Il diritto di cittadinanza s’era perduto nel Medioevo, mentre era esistito nel mondo classico. Ad Atene era rigorosamente riservato ai figli di genitori che fossero entrambi ateniesi. Roma, dopo varie resistenze che costarono anche una guerra sanguinosa, fu molto più generosa. All’inizio la cittadinanza fu concessa agli italici, poi con Caracalla a tutti i sudditi dell”Impero (con qualche esclusione, a dire il vero). Con il trionfo del Cristianesimo essere civis Romanus e civis Christianus era la stessa cosa. E in un certo senso significava essere cittadino del mondo (se non ci si fosse messo di mezzo,qualche secolo più tardi, Maometto). Senza bisogno di passaporti. Sotto questo aspetto abbiamo fatto un bel ruzzolone indietro. Non bastano i droits de l’homme , ci vogliono anche quelli du citoyen. Altrimenti conti uno zero. Le autorità possono prenderti e sbatterti fuori dai sacri confini della (loro) patria.
In un contesto anarchico aterritoriale sarebbe tutto diverso. Non esisterebbero confini perché sarebbe esclusa ogni sovranità territoriale e ci si potrebbe liberamente associare per i più svariati fini (anche per fondare uno Stato volontario, di qualsiasi tipo, anche per fondare un sistema comunista, sempre volontario, anche per assoggettarsi, sempre volontariamente, alla Sharia -a patto che le donne la accettino), al di fuori di ogni limite territoriale. Quindi nessun diritto di cittadinanza imposto. Chi ne vuole uno, se lo compera da chi lo vende, restando libero di rivenderlo
quando vuole o di stracciarlo. Ma nessuna limitazione alla facoltà di muoversi a piacere, negli spazi pubblici (che continuerebbero ad esistere, accanto alla proprietà privata: pubblico non vuol dire necessariamente statale), e anche in quelli privati, proprietari permettendo. Non si avrebbero “invasioni” di immigrati, perché ogni spostamento in condizioni precarie, senza la certezza di venir accolto e assistito, sarebbe a rischio e pericolo di chi prende la decisione di spostarsi. Sarebbe in qualche modo il mercato a regolare i flussi: chi cerca lavoro si muoverebbe verso chi offre lavoro, non dove uno vestito di bianco dice che bisogna accogliere tutti (purché i soldi siano quelli degli altri). Sicuramente ci sarebbe ampio spazio per la carità privata. Una carità davvero cristiana, volontaria, non sostenuta con l’abominevole meccanismo dell’8 per mille.

Sogni? Per ora sì. Una cosa è certa: gli attuali sistemi politici ed economici sono sull’orlo del fallimento. Il futuro potrebbe essere ben peggiore del presente. Ma tutto è possibile… Come diceva Lorenzo Tramaglino? “La c’è, la Provvidenza”. Chissà mai che non provveda a far sparire Stati e Chiese. Non sarebbe il Regno di Dio in terra. Non basta toglier di mezzo i vecchi oppressori per far trionfare la libertà. Certo, fin che noi anarchici rimaniamo quattro gatti, la lotta è dura, anzi disperata.

Un’ultima osservazione, un po’ pedantesca. Non si parli di IUS CULTURAE, per sostituire l’improprio appellativo di IUS SOLI applicato alla legge di prossima, sperabile approvazione (sì, sperabile, lapidatemi: in favore degli immigrati onesti che vogliono sentirsi cittadini del Paese che li ha accolti e ne ha tratto beneficio). La lingua latina è una cosa seria. Si dica piuttosto IUS SOCIETATIS, il diritto di chi accetta di far parte d’un consorzio umano con tutte le sue regole. CULTURA in latino vuol dire coltivazione. A meno che non si voglia legare il diritto di cittadinanza alla coltivazione di un appezzamento di terreno concesso all’immigrato dallo Stato, con questo patto: se coltivi bene, ottieni la cittadinanza, altrimenti te ne vai. Si risolverebbe il problema dello spopolamento delle località montane. Si potrebbe anche concedere un’area forestale, da sorvegliare e curare con la massima diligenza.

Giovanni Tenorio

Libertino

Un pensiero su “Diritti dell’uomo o diritti del cittadino?

  • Alessandro Colla

    L’ultima proposta è interessante. Solo che se il coltivatore concessionario svolge la sua attività a tempo pieno, deve guadagnare. L’appezzamento, quindi, deve essere ben grande per consentirgli di vivere con la vendita dei prodotti coltivati. Per sorveglare le aree forestali, invece, è necessario prevedere una retribuzione. E i soldi non si torvano mai. I governi italiani, per limitare lo spopolamento delle località montane, hanno intanto investito nel salvataggio di un monte. Mi sembra si chiami dei Paschi, o roba del genere.

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