Viva i terroni
L’identità è un sentimento puramente individuale. Nessuno la può imporre dall’alto. Chi è nato in uno stesso territorio tenderà a sentirsi affratellato ai suoi compaesani, senza che nessuno glielo imponga. Potrà anche non sopportarli, come Leopardi non sopportava i recanatesi e Verdi i bussetani, ma non per questo bisognerà fargliene una colpa. Volta e Gioeni, nati e vissuti a più di mille chilometri di distanza, si sentivano fratelli. Erano entrambi scienziati, scrivevano entrambi in un bellissimo italiano, si riconoscevano entrambi in una cultura che aveva come suo centro territoriale un’Italia politicamente inesistente, “espressione geografica”, eppur fervida di ingegni. Sarebbe arrivata la politica, più di mezzo secolo dopo, a inventare i terroni e i polentoni. Prima dello Stato unitario tutti gli abitanti dello stivale, compresi i montanari a ridosso delle Alpi, erano terroni. La lettera di Volta a Gioeni è una piena conferma di quanto stiamo dicendo.
Ma attenzione: per il resto dell’Europa è ancora così. Al di qua delle Alpi, tutti terroni. Lo dimostra l’attuale vicenda della sede EMA, negata a Milano. D’accordo, il meccanismo per la scelta è demenziale, è ridicolo che l’assegnazione sia stata affidata alla fin fine a un “testa o croce”. Però Madrid, che fa parte dei terroni, non ha votato per Milano, ha preferito votare per il Nord, scegliendo il piano nobile invece del seminterrato. La Germania, in crisi per la difficoltà a formare un governo di coalizione dopo le elezioni, s’è vista sgraffignare l’EBA da Parigi; ma i francesi non sono terroni, anche se sono cugini degli italiani, e hanno visto riconosciuta la loro eccellenza. In compenso, la Germania, che pur dell’italia si dice amica, s’è ben guardata dal dimostrarle benevolenza, puntando invece su Amsterdam. In somma, il Nord da una parte e il Sud dall’altra, con la complicità di qualche rinnegato (si sa che i più accaniti denigratori dei terroni sono i terroni diventati nordici; ce n’erano anche nella Lega di Bossi).