Sbranati dal lupo
C’era un vecchio signore che aveva avuto quattro cani volpini, tutti bianchi, tutti che portavano lo stesso nome. Tutti fecero una brutta fine. Il primo finì sotto un treno, il secondo fu avvelenato dai vicini perché con il suo continuo abbaiare li aveva esasperati, il terzo morì non so più per quale incidente. Il quarto patì la sorte peggiore: morì sbranato da un cane lupo, cui per mesi aveva dato fastidio abbaiandogli addosso tutte le volte che lo vedeva dietro la cancellata del giardino dove aveva la sua cuccia. Quando finalmente lo incontrò libero sulla strada, ne subì l’atroce vendetta. L’aveva voluto, suo danno. Se non fossi convinto che Mario Draghi è stato mandato a occupare lo scranno di Presidente del Consiglio dai padroni del vapore per fare il male dell’Italia, compiendo l’opera cui diede inizio quand’era direttore generale del Tesoro, svendendo ai suoi amichetti il meglio del patrimonio industriale pubblico, penserei che che tutte, o quasi, le sue scelte governative siano il frutto di una psiche malata. Aver lasciato via libera a un inetto come Speranza, sposando la sua linea di pensiero nei provvedimenti di contrasto alla cosiddetta “pandemia”, con il bel risultato di un insuccesso clamoroso, a dispetto della feroce repressione delle libertà dei cittadini, giustificata come unico rimedio efficace per tutelare la salute collettiva, sembrerebbe il segno di un’ irredimibile debolezza mentale. Non tenere a freno la verbosità incontrollata del ministro degli Esteri Di Maio in un momento in cui il linguaggio dev’essere più che mai misurato, perché ogni parola fuori posto potrebbe rivelarsi pericolosa, sembrerebbe altro indizio di scarsissima capacità d’intendimento. Il peggio del peggio, però, è l’aver adottato, dopo l’attacco di Putin all’Ucraina, un atteggiamento del tutto confacente a quello dell’America di Biden. Non solo condanna dell’invasione e disponibilità ad accogliere i profughi – che in ogni caso sarebbero state doverose – ma minaccia di gravi sanzioni contro la Russia e addirittura fornitura di materiale bellico al governo dell’Ucraina, violando ancora una volta la Costituzione (questa volta l’art. 11), in piena armonia con quanto ha sempre fatto fin dall’inizio del suo mandato. Si tratta di decisioni gravissime, prese ancora una volta senza l’avallo del Parlamento, ormai ridotto a un organismo di semplice ratifica – quando va bene – delle decisioni governative (vecchio vizio italico, d’altra parte, quello di prendere decisioni belliche nel pieno disprezzo del dibattito parlamentare: si pensi a quel che fece il governo Salandra per portare l’Italia nella Prima Guerra Mondiale contro Paesi alleati quali erano la Germania e l’Austria, firmando un patto con i loro avversari rimasto segreto fino all’ultimo). Gravissime, perché espongono l’Italia a pesanti ritorsioni. Comunque si concluda la guerra, l’Italia farà la fine di Miki, il volpino stritolato dalle fauci del cane lupo che ne aveva subito gli sberleffi. Se Putin chiuderà i rubinetti del gas e del petrolio che ci ha sempre fornito, sarà una vera tragedia. Si tratta di materie prime indispensabili soprattutto per la produzione di energia elettrica, oltre che per l’autotrazione e i consumi domestici. Non mi si venga a dire che la Russia il petrolio e il gas lo dovrà pur vendere, se vorrà ricavarne un guadagno. Sì, ma non necessariamente all’Italia. Paesi affamati di energia come la Cina e l’India pare stiano già approfittando dell’occasione, accettando di comperare dalla Russia petrolio e gas a prezzi di favore. All’Italia resteranno le pale eoliche e il fotovoltaico. Quando ci sarà bonaccia e il cielo sarà nuvoloso, e nelle ore notturne, si accenderanno le candele. Per scaldarsi d’inverno, si tornerà alla legna e al carbone. Si potranno ripristinare anche le cinque centrali a carbone da tempo inattive, alla faccia di Greta Thunberg e della transizione ecologica. Del nucleare, l’unica energia veramente pulita (a parte quella idroelettrica, ormai non più espandibile, per lo sfruttamento già quasi totalmente esaurito di tutte le risorse territoriali idonee alla sua produzione), neanche parlarne: tabù. Anche il grano che ora arriva dall’Ucraina potrebbe prendere altre strade. Se il prezzo del pane salirà alle stelle, il ministro Cingolani dirà, come i commensali al banchetto di Don Rodrigo, che la colpa è dei fornai speculatori. Impiccateli! Impiccateli! Ma c’è di peggio. Se (Dio non lo voglia) il conflitto deflagrerà coinvolgendo la NATO, nulla vieterà a Putin di bombardare le fabbriche di armi italiane, come ritorsione contro l’invio al nemico di materiale bellico.Una politica estera sensata si sarebbe invece dovuta mantenere ligia alla tradizione di amicizia fra Italia e Russia, che data dai tempi di Andreotti, di Moro, Di Craxi, quando la Russia si chiamava ancora Unione Sovietica, e ha avuto seguito senza soluzioni di continuità dopo il crollo del sistema comunista, con Prodi e con Berlusconi. Non equidistanza tra Ucraina e Russia, ma, una volta condannata l’aggressione, rifiutarsi di approvare sanzioni, non pensare neppure lontanamente di inviare armi al governo ucraino e prodigarsi immediatamente per cercare di risolvere il conflitto attraverso l’azione diplomatica. In questo modo, non si sarebbe corso il corso il rischio di ritorsioni capaci di mettere al tappeto un’economia già gravemente ammaccata dai provvedimenti folli approvati nei due anni della cosiddetta “pandemia”. Ma è chiaro che con un Di Maio al Ministero degli Esteri una politica di questo genere non è possibile. Uno che s’è formato vendendo gazzose allo stadio e, pur nato nel Meridione, crede che Matera sia in Puglia, che cosa mai può fare di buono? Se va bene, oltre a uno stentato italiano conosce il dialetto avelllinese. Ci vorrebbero persone di alto livello come Antonio Martino, che purtroppo se n’è andato da poco nel mondo dei più. Purtroppo, o forse per sua fortuna.