Don Giovanni

Quanto baccano per quattro palme!

Quanto baccano per qualche palma piantata nella piazza del Duomo a Milano! Certo, sono il primo a dire ch’è una delle tante sconcezze cui gli architetti d’oggi ci hanno assuefatto; ma questo non mi impedisce di proclamare che chi ha appiccato l’incendio alle piante è un criminale. Le palme non sono sue e non è sua neppure la piazza.
La Piazza del Duomo di Milano è brutta. Non saranno quattro palme in più o in meno a danneggiarla in modo irreparabile. Fossimo nella Piazza dei Miracoli di Pisa, capirei tanto chiasso, e sarei il primo a protestare a gran voce (non ad appiccare incendi!). Una volta, di sera, sul lato opposto a quello del Duomo, il Palazzo Carminati pullulava di scritte pubblicitarie luminose. Sono state tolte, perché sembravano fuori luogo. Invece piacevano a un poeta come Umberto Saba, che ebbe a scrivere:

 

Fra le tue nebbie e le tue pietre faccio

villeggiatura. Mi riposo in Piazza

del Duomo. Invece

di stelle

ogni sera s’accendono parole.

Nulla riposa della vita come

la vita.

Una volta pensavo: bellissima lirica, è proprio vero che i poeti sanno trasfigurare anche le cose brutte. Avevo torto. Scomparse le scritte del Carminati, la Piazza del Duomo di sera è diventata un mortorio. Ridateci le stelle finte! Non siamo a Pisa! E allora che ci mettano anche le palme, prima o poi ci faremo l’occhio. Esotismi incongrui? Andiamo! Il primo esotismo è proprio il Duomo, “tanto imponente all’interno quanto frivolo all’esterno”, come disse lo storico dell’arte Matteo Marangoni. Frivolo, certo, e vero pesce fuor d’acqua: che ci fa una mole di gotico fiammeggiante nel contesto meneghino di San Lorenzo, Sant’Ambrogio, San Babila, Sant’Eustorgio, Sant’Eufemia, San Maurizio al Monastero Maggiore, Santa Maria delle Grazie, San Marco, e altri splendori paleocristiani, romanici, gotico-lombardi, rinascimentali? Era proprio il caso di chiamare una frotta di architetti nordici a costruirlo? E quella facciata neoclassica in piena cornice gotica, rabberciata in fretta e furia per non far brutta figura all’arrivo di Napoleone? Come i cavoli a merenda! Ed era proprio il caso di costruire la Galleria Vittorio Emanuele distruggendo un prezioso complesso quattrocentesco? (Dicono che l’architetto Giuseppe Mengoni, che si credeva Michelangelo, si sia buttato dalle impalcature per il dispiacere delle sacrosante critiche ricevute anche da illustri colleghi, come Camillo Boito; altri pensano che l’abbiano scaraventato giù le sue maestranze, tanto era antipatico). Cose dei secoli passati, direte voi. Sì, ma ciò che è fuori luogo rimane fuori luogo, ciò che è brutto rimane brutto e ciò che è stato distrutto non si recupera più. E se nel Trecento si chiamava un tedesco come Heinrich von Gmünd a dirigere i lavori del Duomo, nel Duemila si chiama uno svizzero come Mario Botta a sconciare la Scala.
Povere, innocenti palme. Mi fanno quasi tenerezza. Gli scatoloni bianchi di Botta, e la sua demenziale scalinata che dalla piazza sale dritta ai palchi e alle gallerie, resa perennemente inagibile perché pericolosa, quelli sì son da bruciare (idealmente, s’intende).

Giovanni Tenorio

Libertino