Proprietà privata, proprietà pubblica e diritto di esclusione
DG – Che cosa stai leggendo di bello, caro il mio Leporello? Non t’ho mai visto così interessato alle fanfaluche dei gazzettieri
L – Ogni tanto, fra l’abbondante spazzatura, si trova qualcosa di ghiotto. Guardate qui: un consigliere leghista della Svizzera Italiana propone una tassa salatissima per i raccoglitori stranieri di funghi. Questa è lungimiranza: così si difende la natura, così si salvaguarda il proprio patrimonio boschivo…
DG – Scusa, Leporello… proprio di chi? Chi è il proprietario dei boschi della Svizzera?
L – Gli svizzeri, naturalmente, che pagano le tasse, e in casa loro possono far entrare chi vogliono e imporre le limitazioni che vogliono.
DG – Tu vaneggi! Davanti alla mia villa palladiana avevano aperto una brutta strada di cui io avrei fatto volentieri a meno. Le imposte comunali che pagavo per finanziare i più svariati servizi (e per mantenere quelle teste di legno della polizia locale) in parte coprivano anche le spese di manutenzione di quell’orrido manufatto. Oseresti dire che, per la sola circostanza di pagarci le tasse, quella strada era mia, in comproprietà con gli altri malcapitati?
L – Penso che su questo non ci possano essere dubbi.
DG – Tu deliri! Se io faccio una donazione per costruire un ospedale e, generosamente, ogni anno dono a quell’ospedale una determinata somma di denaro, di quell’ospedale posso dirmi proprietario?
L – Non saprei, forse no…
DG – E se prendo la tessera del FAI o del WWF, sono padrone di una quota del FAI e del WWF?
L – Ehm, mi mettete in difficoltà…
DG – E se mi iscrivo al Touring Club?
L – D’accordo, d’accordo…
DG – E se mi abbono al cineforum parrocchiale, divento padrone della sala di proiezione?
L – Basta, basta, mi arrendo, ho capito dove volete arrivare: se le donazioni volontarie non rendono proprietari dell’oggetto che con esse è stato finanziato, tanto meno un finanziamento coattivo, quale può essere quello estorto con l’imposizione fiscale, potrà attribuire alla vittima dell’estorsione la proprietà di alcunché!
D – Certo! Altrimenti anche pagando il pizzo a Cosa Nostra, per non rischiare una palla in fronte, diventerei titolare delle proprietà di Cosa Nostra. E allora, tornando ai boschi demaniali svizzeri, non ne sono proprietari gli svizzeri, ma l’ente federale o gli enti cantonali ai quali n’è affidata la tutela. Se non è vero che lo Stato siamo noi, non è neppure vero che la proprietà dello Stato è proprietà nostra. Cosa loro!
L – Touché! Avete una dialettica da far invidia al diavolo!
DG – Eh sì, tu non sapevi che io loico fossi!
L – Però, se quei boschi fossero privati, allora il proprietario potrebbe regolare l’afflusso dei frequentatori e la raccolta dei funghi come meglio crede, escludendo chi gli è antipatico: i frontalieri, i terroni, i negri, i culattoni, chi è più alto di un metro e trenta, chi parla con la erre moscia, chi non va a messa la domenica, chi è divorziato, chi è figlio unico, chi mangia carne di venerdì, e via di seguito.
DG – Sicuramente. Ma attenzione! Se io ab origine regolo in modo chiaro e preciso afflusso e raccolta secondo i criteri che più mi aggradano, nulla da dire. La proprietà è un fascio di diritti, di cui è parte il diritto di esclusione. Però se io ho sempre permesso l’ingresso indiscriminato in un mio fondo, senza nulla regolare né eccepire, non posso a un certo punto metterci un cancello, far pagare un pedaggio, discriminare l’entrata in base al mio capriccio. Questo perché ho rinunciato con un comportamento concludente al diritto di esclusione. In un certo senso il mio fondo rimane gravato da una servitù di passaggio, che ha come fondo dominante tutta l’area esterna ai suoi confini. Quindi se uno vuol entrare, non lo posso respingere. Lo stesso si dica per la raccolta dei funghi, o dei fiori o di qualsiasi altro prodotto spontaneo. Unico obbligo del visitatore sarà quello di non provocare danni: perciò in ogni momento io potrò, ad esempio, regolare la raccolta, fissandone i limiti pro capite. Senza discriminare, però. Allo stesso modo, anche una strada privata che è sempre stata aperta a tutti non potrà di punto in bianco diventare una strada a pedaggio. La cancellazione di queste servitù sarebbe violazione di diritti reali, consustanziali a quello di proprietà. Immaginati un mondo in cui questo fosse possibile: si potrebbe impedire a un nullatenente di muoversi, addirittura di star fermo in piedi su un palmo di terra… Fortunatamente le servitù di cui stiamo parlando esistono, e cancellarle sarebbe un sopruso.
L – Ma allora, quando secoli fa in Gran Bretagna si recinsero le aree dove vigevano diritti di compascuo e di legnatico e diraccolta, riducendo alla fame i piccoli allevatori e i piccoli contadini, fu un sopruso!
DG – Sicuramente! E poté essere perpetrato grazie alla complicità dello Stato. Si dice che un tal disegno favorì l’accumulazione capitalistica, e la conseguente rivoluzione industriale. E’ vero solo in minima parte, ma anche se fosse vero del tutto sarebbe ugualmente una canagliata. Come fu una canagliata, dopo l’unità d’Italia, quella serie di provvedimenti con cui i governi sedicenti liberali requisirono le proprietà fondiarie dei conventi, sempre con la scusa di abolire la manomorta e favorire lo sviluppo industriale.
L – Padrone mio, state diventando amico dei preti e anticapitalista?
DG – Rubare ai preti è sempre rubare; e certo capitalismo può essere immorale. Anche la coltivazione del cotone con manodopera schiavile era capitalismo. Atra cosa è l’economia di mercato: la quale però non esaurisce il ben più ampio tema della libertà.
L – Quando fate il filosofo, a un certo punto comincia a girarmi la testa. Ma per tornare alla bella trovata svizzera da cui ha preso inizio la nostra conversazione: visto che ancora una volta il bersaglio sono i tagliàn, sapete cosa farei? A tutti i cittadini del Canton Ticino che scendono in Italia per le ferie estive sulla Riviera Adriatica farei pagare una soprattassa: facendo il bagno nel mare degli italiani lo inquinano, e magari ci pisciano dentro…