Don Giovanni

Pena di morte

Prima premessa: la pena di morte non mi piace. La legge del taglione ha una sua razionalità. Se si deve punire quia peccatum est, cioè come retribuzione di un fallo commesso, non è sbagliato retribuire la morte con la morte. Però, se vogliamo essere coerenti, allora anche a chi mi ha cavato un occhio si dovrà cavare un occhio, a chi mi ha sfigurato con l’acido si dovrà sfigurare il viso con l’acido, a chi mi ha tagliato le palle si dovranno tagliare le palle. C’è qualcuno cui piaccia un sistema penale del genere? A me no. Penso che a tutte le persone normali farebbe orrore. E’ probabile, come sostiene Michael Huemer*, che in un contesto anarchico le sanzioni in alcuni casi sarebbero più severe che negli attuali sistemi liberal-democratici, fino ad ammettere la pena di morte (se richiesta dai parenti della vittima: un irenista tolstojano avrebbe la facoltà di concedere il perdono, senza che nessun pubblico ministero possa intervenire a contraddirlo). Ma la legge del taglione dura e pura ripugna a ogni coscienza “cristiana” (con le virgolette: nel nome del Cristianesimo, purtroppo, e in spregio alla dottrina del suo fondatore, sono starti compiuti i più atroci delitti).

Seconda premessa: probabilmente la pena di morte non è efficace neppure come deterrente, ne peccetur, per scoraggiare il delitto. Cesare Beccaria ha cercato di dimostrare, non sul piano empirico, ma sulla base di un ragionamento deduttivo, che non è l’intensione della pena, cioè la sua durezza a intimorire il potenziale delinquente, ma l’estensione, cioè la sua durata. Questo significa che l’ergastolo dovrebbe far più paura dell’esecuzione capitale. E’ proprio vero? Prove empiriche evidenti non ne abbiamo. E’ però storicamente accertato che in epoca di pene orribili, intensamente atroci, i delitti orribili non erano affatto rari. Una volta lessi da qualche parte che Manzoni, parlando con la madre Giulia Beccaria, ebbe a esprimere qualche serio dubbio sulle teorie del nonno. Non sono mai stato in grado di accertare la veridicità della notizia. Se qualcuno vorrà illuminarmi, fornendomi qualche testimonianza in proposito, gliene sarò grato. A me pare che, tutto sommato, la tesi di Beccaria abbia una sua innegabile robustezza.

Terza premessa. Prescindendo dalla correttezza o no del ragionamento di Beccaria, rimane vero che l’illustre giurista milanese ha ritenuto non solo ammissibile, ma addirittura opportuna la pena di morte nel caso di personaggi che, con le loro azioni criminali, mettano in pericolo la stabilità delle istituzioni, escogitando piani di sovversione violenta. Pochi lo ricordano (ammesso che abbiano mai letto il trattatello Dei delitti e delle pene), ma è proprio così:andare a leggere per credere. E non c’è da stupirsene. Da buon illuminista, Beccaria fa un discorso anche umanitario, ma soprattutto utilitaristico. Quindi, laddove la pena di morte è inutile, è bene farne a meno; laddove è necessaria, va applicata.

Quarta premessa. Qualcuno, obiettando a Beccaria, potrebbe dire: ma la vita è in ogni caso sacra.Nessuno ha il diritto di toglierla, neppure al più efferato delinquente. Qui il ragionamento si fa metafisico, quindi molto scivoloso. Lasciamo perdere il sacro e il profano, che, come direbbe quel tal signore, non ci azzeccano. Stiamo sul piano concreto. E’ noto quell’esperimento in cui si chiede a un gruppo di partecipanti se, guidando un treno ed essendo in grado di deviare il convoglio uccidendo una persona anziché tre, come capiterebbe in caso di mancata deviazione, azionerebbero lo scambio oppure no. Tutti rispondono sì. Quando però si chiede loro se sarebbero disposti a gettar giù da un ponte sulla linea ferroviaria una persona, nella certezza di salvarne, in questo modo, tre, tutti, o quasi, rispondono di no. Comprensibile, ma irrazionale. Un innocente contro tre innocenti. A maggior ragione, se ammazzando un delinquente si possono salvare vite umane innocenti, è bene ammazzarlo. Una vita (sacra? Anche quella di Hitler?) contro più vite sacre. O no?

Conclusioni. Qualcuno si sarà scandalizzato perché recentemente ho abbracciato la tesi di Andrea Riccardi sul cosiddetto, e malamente appellato, IUS SOLI. Ribadisco il mio pensiero. In un contesto anarchico e aterritoriale il diritto nazionale di cittadinanza non avrebbe ragion d’essere. Tutti sarebbero cittadini del mondo. In un contesto statalista e territoriale, delimitato da confini, ha le sue buone ragioni. Giusto integrare chi vuol integrarsi, premiandolo con il diritto di cittadinanza. Non vedo come un provvedimento del genere possa mettere in pericolo la sicurezza di una nazione. Attirerebbe individui eversivi, fanatici dell’islamismo violento? Non vedo come, visto che non comporterebbe nulla di automatico: la cittadinanza sarebbe concessa a condizioni ben precise. Dell’immigrazione abbiamo bisogno, se vogliamo un sano e lungimirante sviluppo economico. E’ bene allora che gli immigrati desiderosi di integrarsi e disposti a lavorare seriamente, senza vivere di sussidi, possano godere degli stessi diritti di chi è cittadino per diritto di sangue. Che c’è di strano? Che c’è di scandaloso? Sicuramente fra gli immigrati (e anche tra i figli degli immigrati che hanno magari già acquisito la cittadinanza) si annidano anche individui e gruppi i eversivi, che possono magari organizzarsi in cellule e prendere ordini da centrali straniere.

Questa è guerra, sotto tutti gli aspetti. Gli attentati di questi ultimi tempi, in tutta Europa, lo dimostrano. Come ho già detto altra volta, alla guerra si risponde con la guerra. Si reintroduce nel Codice Penale Militare la pena di morte e si manda davanti al plotone di esecuzione chi la merita.

Chi la merita? Vediamo.

Fin che uno si limita a esaltare la violenza, sul piano puramente teorico e propagandistico, andrà tenuto d’occhio senza mai perderlo di vista, ma non gli si dovrà torcere un capello. Il pensiero, anche il più bieco, non si punisce. Le idee si combattono con le idee.
Quando sia accertato senz’ombra di dubbio (anche le più forti congetture da sole non bastano) che qualcuno sta preparando un attentato, va sottoposto a processo sommario (con la garanzia di un difensore), condannato e mandato a morte. Lo stesso si dica per chi abbia già compiuto un attentato e sia stato arrestato in seguito a indagini e ricerche (ferma restando la necessaria certezza assoluta della sua colpevolezza).
Chi venga catturato in flagranza, nell’atto di compiere una attentato o subito dopo averlo compiuto, va messo a morte all’istante.
In questo modo si eliminerebbero persone che altrimenti, in un modo o nell’altro, potrebbero causare altri morti.
Ripeto: se non è immorale buttar giù da un ponte un innocente per salvare tre innocenti, a maggior ragione non è immorale uccidere un delinquente per salvare un buon numero di innocenti.
Sbaglio? Se sì, Beccaria era un coglione.

(*) Vedi, Michael Huemer, Il problema dell’autorità politica, trad. it. di Cristina Ruffini, Macerata, Liberilibri 2015, cap. 11,”La giustizia penale e la risoluzione dei conflitti” pagg.409-437. Il libro di Huemer è stato qui recensito in data 19 maggio 2016.

Giovanni Tenorio

Libertino