Don Giovanni

Libertinismo religioso e ateismo politico

Johann Sebastian Bach
Johann Sebastian Bach

Sono sempre stato esecrato come ateo, anzi ateista, così una volta si diceva. Prima che Mozart mi immortalasse nel suo capolavoro, circolavano infami canovacci, su cui i guitti della Commedia dell’Arte imbastivano le loro rappresentazioni sceniche, dove apparivo come un manigoldo che giocava coi teschi, rideva della morte, bestemmiava la divinità e alla fine veniva trascinato all’inferno. Invenzioni dei Gesuiti! Niente di più falso. Non ho mai avuto nulla contro la religione, quella vera; mi hanno sempre infastidito – questo sì – i bigotti e non ho mai risparmiato i miei strali a tutti quei preti che facevano del loro ministero uno strumento di potere. Certo, la mia religione era quella degli epicurei: gli dèi, se ci sono, se ne stanno beati nel loro regno ultraterreno, disinteressandosi degli uomini. E non gliene importa proprio un bel nulla se gli uomini e le donne trovano nell’eros un rimedio al male di vivere. Ho sempre rispettato chi la pensava diversamente da me. E, pur non potendo immedesimarmi nella sua dottrina, di cui sempre ho riconosciuto la grandezza, non ho mai proferito parola contro quel povero ebreo che, poco meno di duemila anni fa, finì sulla croce per un patto scellerato fra potere religioso e potere politico. Un atto infame sancito dalla solita truffa “democratica”: un centinaio o poco più di scalmanati che, sobillati dai capi religiosi, urlano al procuratore romano di procedere alla condanna capitale dell’essere più mite mai vissuto sulla terra, se non vuol essere denunciato a Cesare per non aver perseguito, secondo la legge, un crimine di lesa maestà. Mi permetto di irridere un biancovestito che va a Napoli a fare il giullare, imbastendo anche lui sceneggiate da Commedia dell’Arte, fra suore che se lo spupazzano e arcivescovi che commentano l’azione in napoletano schietto, mentre la stampa tutta plaude divertita. Mi commuovo quando un altro biancovestito, costretto a rinunciare al suo ministero da un sistema curiale irredimibile, commenta l’evento del Venerdì Santo partendo dalle Passioni di Bach e arrivando a spiegare il mistero del male attraverso lo scandalo di un Dio che sembra abbandonare Suo figlio nel momento stesso in cui ha più bisogno di Lui. Siamo su rive opposte, ma tanto di cappello!

Libertinismo religioso
Libertinismo religioso

Quindi, a ben vedere, non sono ateo.

O forse lo sono, ma contro l’unico dio che oggi nessuno osa mettere in discussione: lo Stato. Quel mostro, assai più grifagno del dio vendicativo e geloso dell’Antico Testamento, che appena sei venuto al mondo subito ti acchiappa e ti fa suo, costringendo i tuoi genitori a iscriverti all’anagrafe solo perché hai avuto la sventura di nascere nel territorio su cui esercita la sua giurisdizione. Ti affibbia un codice fiscale, rendendoti immediatamente suddito “contribuente”, ti obbliga ad essere indottrinato nelle scuole che direttamente gestisce o altri gestiscono per suo conto e secondo le sue regole. Se c’è una guerra, diventi carne da cannone e devi andare a servire la patria in armi. E devi pagare, pagare, pagare tasse, perché altrimenti- dicono i ben pensanti- chi costruisce le strade? Chi si occupa della tua salute? Chi ti difende dalla delinquenza? Chi ti mette a disposizione i suoi tribunali per far valere i tuoi diritti? Chi pensa alla tua vecchiaia offrendoti una pensione? Chi fa girare l’economia attraverso la moneta del cui valore si fa garante? Ebbene, davanti a questi vaneggiamenti, sì, sono ateo, disprezzo lo Stato e non ne voglio sapere.

Lo Stato non si discute, lo Stato è.

Lo Stato è onnisciente, conosce i nostri bisogni. Lo Stato è onnipotente, può far debiti su debiti ripagandoli con denaro fresco, creato da quegli stregoni di banchieri centrali con un colpo di bacchetta magica e una serie di formule iniziatiche, QE, LTRO, e via di seguito. Sono loro i grandi elemosinieri dello Stato scialacquatore. Purtroppo le loro formule magiche fanno sempre cilecca: a differenza delle filastrocche che i preti d’una volta recitavano in latino (quando ancora lo conoscevano) per allontanare le formiche (non so perché, ma quelle avevano sempre successo!).

Walking hammers
Walking hammers

Intendiamoci bene: io non voglio impedire a chi lo desidera di credere nello Stato e di servirlo. Non sarei un libertino. Ognuno deve potersi scegliere anche i propri padroni, se gli piace dire signorsì e soddisfare a proprie spese i capricci di chi comanda. Ma voglio essere ugualmente libero di non avere nessun padrone, di associarmi con chi voglio, di rispettare le regole che volontariamente sottoscrivo, di dissociarmi da un gruppo quando non ne condivido più gli orientamenti e le scelte, di passare a un altro gruppo, di far parte per me stesso… In somma, bisogna deterritorializzare lo Stato e renderlo volontario, così come è stata deterritorializzata la religione. Prima, in area germanica, cattolici e protestanti si accoppavano tra loro: poi, dopo la Pace di Augusta del 1555, invalse il principio “cuius regio eius religio”, in base al quale chi nasceva in un territorio retto da un principe protestante doveva essere per ciò stesso protestante, chi nasceva in territorio retto da un cattolico doveva essere cattolico. Oggi ci sembra una follia: perché un cattolico e un protestante non devono poter vivere a contatto di gomito nel medesimo territorio? Quale danno reciproco comporta una simile convivenza? Non resterà ciascuno libero di frequentare la gente che vuole, di pregare Dio secondo il rito della sua Chiesa? E un cattolico e un protestante non potranno andare a bersi una birra insieme, a vedere la medesima partita, a godersi lo stesso film, ad ascoltare il medesimo concerto? Non potranno essere iscritti al medesimo sindacato? Non potranno far ginnastica nella stessa palestra? Ma se questo ci sembra così ovvio, perché davanti alle pretese dello Stato non far valere il medesimo principio? E se io, che sono fuori dello Stato, voglio usufruire di una strada statale? Pagherò il pedaggio! Se un luterano vuol visitare il Duomo di Pisa quando non si celebra il rito, paga un biglietto d’ingresso, e nessuno sta a sindacare se è un membro di Santa Romana Chiesa o no. Allo stesso modo, nessuno impedisce a un miscredente di frequentare un cineforum parrocchiale. L’abbonamento non si nega a nessuno. Pecunia non olet, e giustamente in queste cose i preti non vanno troppo per il sottile…

Fra i credenti nello Stato ci sono i monoteisti e politeisti. I monoteisti sono quelli che sognano uno Stato mondiale: pensate che meraviglia, un unico territorio da cui non si può scappare, se non abbandonando il pianeta per rifugiarsi in qualche altro angolo dell’Universo: ma prima o poi lo Stato arriverà anche lì, perché Dio è il Signore del Cielo e della Terra. I politeisti invece sperano nel frazionamento: una bella serie di secessioni che portano alla formazione di tanti staterelli, ciascuno col suo bravo territorio e i suoi bravi confini. Così il cittadino può controllare meglio i governanti! – si dice. Sì, e i governanti possono controllare meglio i governati, e anche chiuderli in trappola, sbarrando le frontiere, o espellere senza troppe difficoltà gli indesiderati. Qualcuno sogna tante belle Svizzere, dove si va a referendum un giorno no e tre sì, per decidere se costruire nuovi cessi pubblici o cacciar via i terroni.

Come si può, amici miei, non essere atei?

Giovanni Tenorio

Libertino