Don Giovanni

Il senso dello Stato

Non ho mai capito – sì, sarò zuccone, ma ancora non capisco! – che cosa mai sia il cosiddetto “senso dello Stato”. Si afferma, per esempio, che nel Bel Paese manca il senso dello Stato in quanto i più considerano la cosa pubblica come “res nullius”: boschi pieni di rifiuti, giardini pubblici in condizioni pietose, cacche di cane sulle strade, e poi: scarso rispetto delle leggi, infrazioni amministrative a iosa (ad esempio violazioni del codice stradale), azioni furbesche per sottrarsi al pagamento di contravvenzioni, evasione fiscale diffusa, e via di seguito. Altrove invece, il senso dello Stato c’è… Guardate la Svizzera, tanto per cambiare! Sarà anche così, però molti stranieri, svizzeri in primis, che nei loro Paesi sono ligi al dovere e si comportano da buoni cittadini, passata la frontiera si ritengono liberi di far quello che vogliono. Hanno il senso del loro Stato e non di quello altrui? O non è forse vero che, a casa loro, hanno paura dello sbirro e di una giustizia rapida e severa? Provate ad attraversare la piazza della stazione a Monaco di Baviera, nel cuore della notte. Sentirete parlare tutte le lingue fuorché il tedesco, ma nessuno vi ruberà il portafoglio né vi torcerà un capello, anche se poliziotti non se ne vedono in giro. Immigrati che hanno interiorizzato tanto bene il senso dello Stato da comportarsi come cittadini tedeschi modello? No, semplicemente hanno imparato a proprie spese che se sgarrano pagano: tutto qui.
Una volta Indro Montanelli propose come encomiabile esempio  da imitare il senso dello Stato degli inglesi, che si riassumerebbe nel motto “Right or wrong, my country”. E’ un principio che mi fa accapponare la pelle! Se lo Stato mi propone un atto di criminalità, lo devo compiere? Se mi impone di denunciare gli ebrei perché siano mandati al gas, devo farlo? Antigone, che viola una legge empia per dar pietosa sepoltura al fratello non ha il senso dello Stato? A sentir Hegel, parrebbe di no. Avrebbe dovuto lasciar insepolto il fratello per obbedire al volere di un tiranno che in quel momento incarnava la sovranità dello Stato? Scava scava, sotto la crosta di tanti sedicenti liberali ci trovi proprio il vecchio Hegel: che, per quanto sia stato da molti accomunato ai pensatori liberali, liberale non è. Per lui la libertà era quella dello Stato (magari dello Stato prussiano, Dio ne scampi e liberi): la libertà dei singoli si radica in quella dello Stato e con quella coincide. Oggi, a sentire un illustre editorialista spesso sagace nei suoi giudizi, i popoli che hanno senso dello Stato innalzano giustamente barriere contro l’invasione dei migranti. Senso dello Stato – dice lui – è senso dei confini,  e chi cerca di superare senza permesso i confini va fermato. Bruttissimo, questo termine “invasione” sulla bocca di un liberale. Non siamo di fronte a orde di barbari che arrivano armati per conquistare i territori europei e insediarvi il loro dominio. Si tratta invece di gente che nel suo Paese muore di fame o è perseguitata da regimi dispotici (a parte il fatto che neppure l’impero romano fu abbattuto dai barbari invasori, come la vulgata continua a ripetere: era marcio al suo interno, le tasse sempre più elevate per mantenere gli eserciti e governare un territorio sconfinato avevano fatto illanguidire l’economia e diffuso  povertà, oltreché disaffezione; i barbari diedero soltanto il colpo di grazia). Non mi risulta che l’illustre editorialista sia contrario al “welfare”, anche se è fautore di un drastico ridimensionamento della spesa pubblica. Ma se le cose stanno così, qualcuno potrebbe replicargli (e di fatto molti così pensano): “Pagando le imposte io delego allo Stato non solo il compito di provvedere alla sicurezza pubblica e ai servizi essenziali, ma anche quello di sovvenire ai bisogni dei più poveri, grazie a una redistribuzione della ricchezza da chi più  a chi meno possiede: è il “welfare”, appunto. Invece di essere io a fare la carità, la fa lo Stato. Questo vale anche per gli immigrati: invece di essere io ad ospitarli e a rifocillarli, lo farà lo Stato; io ho già pagato anche per questo”.

A tale ultima argomentazione bislacca di solito si ribatte in questo modo ugualmente bislacco (anche da molti libertari): finché lo Stato esiste, le strade, il demanio e tutto ciò che è pubblico appartiene ai cittadini, i quali, pagando le imposte ne diventano titolari in solido. Quindi lo Stato ha la facoltà di interdire tali servizi a chi, provenendo dall’esterno, non ha contribuito a renderli disponibili, e pertanto non ne può usufruire, come chi non possiede titoli di proprietà su di essi. Fanno bene gli svizzeri a negare con referendum l’ingresso agli stranieri! Escludono dalla loro proprietà chi non ne ha titolo. A me pare davvero inconcepibile questo ragionamento sulla bocca di un libertario. Sarebbe conseguente se le imposte fossero volontarie, ed esplicitamente finalizzate a determinati obiettivi, ma tali non sono. Per un libertario dovrebbero essere equiparate a un furto. Ma se uno mi ruba, ad esempio, 100.000 euro, e con quelli si costruisce una piscina, si può forse dire che quella piscina è mia? E se con i proventi che  mi ruba lo Stato allestisce il repellente baraccone dell’EXPO, si potrà dire che l’EXPO è anche roba mia? Ma se lo tengano il baraccone, non lo voglio vedere neanche dipinto! Qualcuno dice: le merci si possono muovere liberamente perché si spostano laddove sono richieste; gli immigrati devono potersi spostare solo se qualcuno li richiede, esibendo alle frontiere il documento che ne attesti l’invito (una proposta di contratto lavorativo, ad esempio). Altrimenti, è un’invasione. Altro ragionamento bislacco (anche per le merci cinesi importate a basso prezzo qualcuno parlava di “invasione”: vi ricordate l’ineffabile, colbertista, Tremonti? A proposito, che fine ha fatto?). Anche l’offerta i nuovi prodotti precede sempre la domada. Nessuno ha mai fatto richiesta di telefoni cellulari prima che fossero inventati. Un giorno mi trovo sotto casa un negozio che li espone in vetrina, giunti d’oltre frontiera: un’invasione! Mi piacciono e ne compero uno, e così fanno molti altri. La domanda cresce a dismisura, e così l’invasione!  Allo stesso modo, un imprenditore non si prenderà la briga di andare a cercare manodopera nei paesi dove si muore di fame o dove si patiscono i soprusi dei despoti. Attraverso quali canali? Con quali costi? Se invece si troverà entro i confini del suo Paese un certo numero di tali derelitti, disposti ad offrire la loro forza-lavoro, potrà pensare di assumerli per svolgere attività che i nativi ormai rifiutano. Ma anche per attività più raffinate e più lucrose: fra gli immigrati ci sono gli analfabeti e i i semianalfabeti (ci sono anche tra i professori universitari), ma anche i diplomati e i laureati.
Vengano pure gli immigrati, sia che fuggano per fame sia per oppressione politica. A un certo punto le strutture del “welfare” imploderanno, complice una crisi economica planetaria che la follia delle banche centrali, il sistema bancario fondato sulla riserva frazionaria e il mostruoso indebitamento pubblico di cui, chi più chi meno, tutti gli Stati sono oberati rendono ormai inevitabile. Crolleranno gli Stati con le loro frontiere. Crollate le frontiere, non ci saranno più né stranieri né cittadini, ma soltanto esseri umani, liberi di spostarsi come vogliono, a loro rischio e pericolo. “Droit de l’homme” sì, “droit du citoyen” no. I primi includono, i secondi escludono. L’aveva già capito il sofista Antifonte, nella sua polemica contro la democrazia ateniese, generosissima con i suoi cittadini (tutti purosangue, figli di padre e madre ateniese), remunerati per le cariche pubbliche e titolari di biglietto gratuito per gli spettacoli teatrali, anche grazie alle tasse estorte alle città federate; ma dura matrigna con gli stranieri, i meteci che con le loro attività finanziarie e commerciali contribuivano non poco alla sua prosperità. Il  demos di Atene, diceva, cioè i cittadini di pieno diritto, esclude tutti gli altri non solo dai diritti politici, ma anche dal novero degli uomini, dimenticando che “di natura siamo assolutamente uguali: basta osservare le necessità naturali proprie di tutti gli uomini”. In somma: democrazia antica e democrazia moderna sono tutt’e due un bella schifezza.

Giovanni Tenorio

Libertino