Don Giovanni

Il disastro dello Stato educatore

Un pomeriggio come un altro, in una delle tante cittadine dell’Italia. Un giovane e una giovane, entrambi garbati e di bell’aspetto, attendono il bus a una fermata. Il giovane si accende una sigaretta; alla fine getta il mozzicone a terra. Da qualche minuto, a pochi metri di distanza, è ferma un’auto dei Carabinieri, che in quel momento avanza lentamente e si accosta alla coppietta. Il milite seduto accanto all’autista apre il finestrino e si rivolge al giovane: “Raccolga per favore il mozzicone che ha gettato a terra e lo getti nel cestino lì a fianco. Un po’ di senso civico non guasterebbe”. Il giovane non fa una piega. Si scusa, raccoglie non soltanto il suo, ma anche due o tre altri mozziconi  che si trovano lì vicino ed esegue diligentemente quello che gli è stato ordinato. Molto bene. I Carabinieri sono stati impeccabili. Fossero sempre così efficienti, anche quando si tratta di prendere i veri delinquenti! Fa tristezza però vedere come, per indurre un giovane – e non certo dei più sciattoni o dei più scapestrati – a compiere un atto di civismo che dovrebbe venir spontaneo, sia necessario l’intervento dell’autorità pubblica! C’è qualcosa di marcio nel sistema educativo. Prima di tutto nella famiglia. Dovrebbero essere proprio i genitori e i parenti più prossimi a insegnare ai bambini, fin dalla prima infanzia, le regole di buona educazione che dovranno accompagnarli per tutta la vita. Quella di non gettar rifiuti sulla pubblica via è una buona regola che si dovrebbe imparare prestissimo. Se uno getta un mozzicone nel mio giardino, giustamente mi irrito. Se uno getta un mozzicone per strada, dovrebbero irritarsi tutti quelli che vi passano. Una volta capitò proprio così: un signore protervo e maleducato – una mia vecchia conoscenza, purtroppo, con cui per altre ragioni avevo già avuto in passato più di un diverbio – ebbe il coraggio di gettare un mozzicone di sigaro puzzolente nel parco della mia villa. Leporello lo vide, lo prese per il collo, lo obbligò a raccoglierlo. Quando quello, dopo averlo raccolto, lo gettò sulla pubblica via, lo prese di nuovo per il collo e lo costrinse a metterselo in tasca. Io sarei stato meno violento, ma in cuor mio ne fui contento. Per ricompensa, regalai a Leporello un bel gruzzoletto. Ora di sera, se l’era già bevuto tutto all’osteria. Visto che la famiglia latita, dovrebbe essere la scuola a provvedere all’educazione dei pargoletti. In realtà a scuola l’educazione civica dovrebbe porsi a un livello più alto, ma laddove mancano le fondamenta, bisogna cominciare di lì. invece, a quanto pare, anche la scuola in questo campo fallisce. Non c’è da stupirsi. Avete visto? L’ultima trovata del ministro dell’istruzione è stata quella di abolire le note e le altre sanzioni per motivi disciplinari. A dire il vero, tali sanzioni da tempo erano già divenute obsolete: il ministro non ha fatto altro che trasformare una situazione de facto in una disposizione de iure. Ma questo, piaccia o non piaccia, è il segno di una scuola che ha ormai abdicato a ogni funzione educativa.E allora, che si fa? Ecco la bella pensata: toniamo al servizio militare obbligatorio! Sei mesi di naja, magari nel corpo degli Alpini, come suggerisce Salvini. Che tristezza! L’esercito è un cosa brutta, anzi bruttissima; ma se proprio non se ne può fare a meno, dev’essere un esercito efficiente, all’altezza dei suoi compiti. Quindi nei tempi nostri, quando non si combatte più con fucili 91-38 e baionette, dev’essere formato da professionisti, capaci di destreggiarsi con le più moderne tecnologie Trasformarlo in una scuola per insegnare a un ventenne le regole della buona educazione significa svilirlo. A parte il fatto che l’esercito non è mai stato una scuola di buona educazione. La naja ha sempre insegnato a fare il furbo e il lavativo. E’ sempre stato così, anche nel più lontano passato. Nell’antica Sparta, dove per i maschi la vita di caserma durava quasi tutta la vita, era un vanto, sotto le armi, rubare senza farsi accorgere. Se si veniva colti in flagrante, si veniva puniti non per il furto, ma per non essere riusciti a farla franca. Bella scuola di civismo, non c’è che dire…E’ davvero deprimente che si pensi di affidare allo Stato quell’educazione che si dovrebbe acquisire attraverso i rapporti familiari e le libere interazioni sociali! Siamo davvero allo Stato etico. Guai a vendere “cannabis light”, perché è una droga: uno potrebbe cominciare con la “cannabis light” e finire con le droghe più pesanti e rovinose. E perché – dico io –  non con un bicchiere di vino o di birra, per finire con grappe, whisky vodka e superalcolici d’ogni tipo, condannandosi a una morte per cirrosi epatica? Perché continuare a vendere coltelli da cucina, quando uno potrebbe essere tentato di usarli per accoppare un suo simile? Perché continuare a vendere fiammiferi, col pericolo che qualcuno li usi per provocare incendi dolosi?Salvini, che della lotta alla “cannabis light” ha fatto una bandiera elettorale, insieme col rosario esibito nei comizi e altre bigotterie,  è contentissimo: la magistratura gli ha dato ragione. Tutti i negozi che vendono “cannabis light” dovranno chiudere, perché dichiarati fuori legge. Ma è una vittoria di Pirro. Se la notizia è vera, i negozi di “cannabis light”, cresciuti come funghi dopo che una contorta legge fatta approvare da Renzi sembrava dar  via libera alla loro attività, sono già in crisi di per sé; molti hanno chiuso e altri stanno chiudendo. Evidentemente sono troppi. E poi, se uno vuol drogarsi davvero non si rifornisce in un negozio di “cannabis light”. La droga vera si trova dappertutto. Ci vuol poco a entrare nel giro. Nella mia vita non ho mai fumato neppure uno spinello (in compenso mi sono tracannato ettolitri di Marzemino), ma vi assicuro che se fossi un giovincello sbarbatello, dopo il proibizionismo di Salvini, corroborato dall’intervento della magistratura, la voglia di provare la cannabis, ma quella forte, non quella “light”, sarebbe irresistibile. Bel disastro, in somma, lo Stato educatore. Anzi, bel disastro, lo Stato, in tutti i campi. Peccato che i più, invece di abolirlo, vorrebbero rafforzarlo, rendendolo ancora più pervasivo. Come i medici dell’Ottocento, che per rimediare alla debolezza dei loro pazienti, devastati dai salassi, prescrivevano ancora più salassi. Come gli economisti di oggi, che per rimediare ai guasti del debito pubblico, vorrebbero fare ancora più debito (che cos’è la “monetizzazione del debito” di cui ha parlato recentemente il ministro Tria?). Anche a Salvini piace il debito. Denaro facile per far ripartire l’economia. E’ l’unica droga contro cui non invoca le manette.

Giovanni Tenorio

Libertino