Don Giovanni

Architettura

Cari amici, sarei curioso di sapere che cosa rispondereste se uno vi dicesse qualcosa del genere:

  • Sì, d’accordo le Piramidi di Giza sono uno spettacolo bellissimo. Però, a ben vedere, hanno guastato il paesaggio desertico. D’altra parte non si poteva rinunciare a costruire le tombe dei Faraoni…
  • Bello quel che resta del tempio di Capo Sunion, presso Atene. Quel complesso doveva essere splendido. Vedere il tramonto in quel luogo è un’emozione unica. Però in questo modo è stata violata la bellezza naturale del promontorio. D’altra parte, la pietà religiosa impone che si costruiscano templi alle divinità: ed è giusto scegliere per un dio il luogo più bello…
  • Magnifica la colonna superstite del santuario di Hera Lacinia presso Crotone. L’intero complesso, quand’era nel pieno del suo splendore, doveva togliere il fiato. Peccato che abbia stuprato un territorio vergine. D’altra parte non si poteva negare un sontuoso omaggio alla dea Hera, protettrice della città…
  • Bella Piazza San Pietro a Roma, con la cupola di Michelangelo e il colonnato del Bernini. Però se il colle del Vaticano fosse rimasto selvaggio, con le pecore che pascolavano, la visione sarebbe stata molto più sublime. D’altra parte, era giusto che il centro della Cristianità, dove Pietro morì martire, fosse ornato di opere architettoniche ineguagliabili…
  • Splendida la villa medicea di Poggio a Caiano, opera di Giuliano da Sangallo. Però che megalomani quei Medici a violare una così dolce altura. D’altra parte, tutti i potenti vogliono lasciare qualche segno del loro dominio…
  • Che affascinante scenografia le ville venete di Andrea Palladio! Però, per qual motivo deturpare con pietra e calce quella bella campagna? D’accordo, i signori di Venezia avevano pur diritto a un’oasi di pace nel verde dell’entroterra, per riposarsi delle dure incombenze cui si sobbarcavano per il governo della Serenissima…

Per concludere: “E’ chiaro che una costruzione è sempre un vulnus…”

Le premesse sono di pura fantasia. La conclusione invece è autentica (per questo l’ho messa tra virgolette), e viene niente meno che dalla bocca di un architetto, ormai settantenne. Chissà come deve essersi sentito triste, in tutta la sua carriera, a rimuginare il terribile pensiero: “Io e i miei colleghi stupratori, nostro malgrado, del territorio!” Forse oggi è proprio così. Basta guardarsi intorno, e si vedono soltanto brutture. Ma non credo che i costruttori di piramidi, o maestri come Ictino Callicrate e Fidia che elevarono i templi greci, o Michelangelo, o Bernini, o Giuliano da Sangallo, o Palladio si siano mai considerati rei di vulnerare le bellezze naturali. L’architettura, quella grande,ha sempre abbellito il paesaggio, ingentilendolo e spesso umanizzandolo. Basta entrare nelle chiese di San Lorenzo e Santo Spirito a Firenze, capolavori del Brunelleschi, per capire che cosa sono l’Umanesimo e il Rinascimento. Ci si sente al centro: “L’uomo è misura di tutte le cose, di quelle che sono in quanto sono, di quelle che non sono in quanto non sono”, come diceva Protagora. Sarebbe stato meglio che in quei luoghi rimanesse un bel prato, come quello che Celentano rimpiangeva nella sua vecchia via Gluck? Se uno entra in una chiesa gotica, ad esempio la Cattedrale di Colonia, si sente piccino piccino di fronte alla maestà di Dio. Anche lì sarebbe stato meglio lasciare l’erba?

Ma un tempo non solo la grande architettura faceva miracoli. Pensate al fascino dei borghi medievali. Pensate a una perla come Spoleto, la cui bellezza consiste non solo nel Duomo e negli altri gioielli architettonici di cui si fregia, ma nel dedalo delle viuzze che ne formano il tessuto urbano, sovrapponendosi spesso alle vestigia di un passato illustre, quello di Gaio Melisso, illustre spoletino, liberto di Mecenate. Oppure pensate ai borghi e alle cittadine della Murgia dei Trulli, da Alberobello a Cisternino, a Martina Franca a Locorotondo: anche lì un’architettura spontanea, che ha saputo trovare un miracoloso equilibrio per un innato senso della bellezza (poi esci dall’antico abitato e ti trovi magari la sozzura di un monumento ai caduti…). Eppure a quei tempi -per fortuna dei nostri avi- non c’erano piani regolatori.

E’ l’architettura d’oggi a produrre disastri. Nel suo aureo manuale “Saper vedere” lo storico dell’arte Matteo Marangoni esalta la poetica del Razionalismo che ha liberato le strutture architettoniche dai pesanti orpelli del cattivo gusto tardo-ottocentesco; ma nelle successive edizioni del libro prende nettamente le distanze dagli “scatoloni” che nei tempi nostri, tradendo il verbo dei Terragni e dei Lingeri, deturpano il paesaggio. Che cosa direbbe se fosse vivo oggi? Se vedesse il bruttissimo, nuovo Teatro dell’Opera di Firenze; che sarà anche acusticamente ottimo, ma lascia molto a desiderare per i servizi igienici (nell’intervallo si formano lunghe file). O certe chiese progettate da quel signore che ha sconciato il Teatro alla Scala (peggiorandone anche l’acustica), chiese in cui le acquasantiere sembrano posacenere o sputacchiere.

Se oggi un architetto, come il signore di cui sopra, visto l’andazzo dei tempi, pensa che una costruzione è sempre un vulnus, si può capire come mai, come presidente di una commissione edilizia, abbia dato, insieme con i suoi colleghi, il proprio benestare a un autentico mostro che in questi giorni sta sorgendo a Como sulla schiena della collina di Brunate, che tra l’altro dovrebbe essere soggetta a vincolo ambientale. Altro che sfregio! E per di più, lontano pochi metri da un altro sconcio perpetrato una sessantina di anni fa, quando fu costruito un “Santuario della Nautica” a forma di nave, che la responsabile locale di Italia Nostra, Fiammetta Lang non esitò a paragonare a un gigantesco ragno (un grazie alla signora, che si è mobilitata anche contro il nuovo mostro).
I permessi c’erano tutti, nulla era fuori legge, il progetto non poteva che essere approvato. E per approvare un mostro è necessario mobilitare schiere di architetti? Basta un burocrate che metta la sua firma e il timbro del suo ufficio.

Como diventa sempre più brutta. Quando qualche anno fa un periodico canadese salutò il Lario come il lago più bello del mondo, il “New York Times” intervenne dandogli ragione, a patto di escludere la città da cui prende nome. Che nel frattempo ha accolto il bizzarro “Life Electric” di Daniel Libeskind, già rifiutato da altre città, facendone un omaggio ad Alessandro Volta (forse il più bell’omaggio che si potrebbe fare all’illustre concittadino sarebbe quello di illuminare meglio strade e piazze, da sempre immerse,nottetempo, in una caligine che fa poco onore all’inventore della pila). I lavori per la costruzione di chiuse mobili contro gli straripamenti del lago hanno dato origine ad altre brutture e dato esca a malversazioni d’ogni genere, con strascichi penali.
Intanto l’ex Casa del Fascio, ora Casa del Popolo, capolavoro di Giuseppe Terragni (un altro architetto che non si riteneva responsabile di vulnus), continua a fungere da caserma della Guardia di Finanza. Dall’Unità d’Italia è sempre stato così: grandi complessi architettonici del passato che diventano caserme o prigioni. Quando poi si cerca di recuperarli, i danni inferti spesso sono irreparabili. Questo sì è un vulnus…

Giovanni Tenorio

Libertino