Don Giovanni

Vada a farsi fottere! (La legalità)

Cari amici, nel mondo antico poteva capitare che uno schiavo, davanti alla possibilità d’esser liberato, non volesse saperne saperne della libertà. Dopo tutto, se ne stava tanto bene, al calduccio, nella casa del suo padrone! Sì, è vero, ogni tanto si prendeva qualche bastonata; il lavoro era massacrante; svaghi non ne erano concessi; poteva capitare d’esser venduto a un altro padrone peggiore; fuggire era impossibile, e se si tentava di farlo si rimaneva marchiati a vita nelle carni, quando non capitava di peggio. Però il pane era assicurato, un giaciglio non mancava, anche in caso di malattia bene o male si era curati: dopo tutto, il padrone aveva bisogno di schiavi sani e robusti Era concesso anche formare una famigliola e mettere al mondo figlioletti destinati a loro volta a rimanere schiavi. La vita è tutto, e la libertà è un lusso… La libertà? Troppo incerta, troppo pericolosa. Troppo carica di di responsabilità. Meglio avere un padrone. E poi, i padroni sono necessari. Senza un padrone che ha sotto di sé tanti schiavi, chi coltiva i latifondi? Chi costruisce le strade, rompendosi la schiena sotto la sferza del sole? Chi provvede agli acquedotti? Chi innalza teatri e anfiteatri? Chi lavora nelle miniere? E al posto degli spettacoli di gladiatori, che cosa offriamo al pubblico? Sarebbe la fine della civiltà! Viva i padroni, dunque, e gli schiavi obbediscano. Certo, sarebbe un gran bene che i padroni fossero un po’ più mansueti. Invece di usar la frusta una volta alla settimana, potrebbero limitarsi a usarla una volta al mese. Invece di usar catene così corte, potrebbero usarle un po’ più lunghe, in modo che chi è in cella per punizione possa sgranchirsi le gambe facendo qualche passo in più. I giacigli, invece di essere tavolacci di legno che spaccano le reni, potrebbero essere brandine di tela con sopra qualche modesto materasso imbottito di foglie secche.E poi, se i padroni si liberassero di tutti quei loro occhiuti sorveglianti, di tutti quei sovrintendenti che, per farsi belli ai loro occhi, si comportano spesso più crudelmente di loro! E pensare che molto spesso, in passato, tutti quei capetti sono stati a loro volta schiavi! E talvolta lo sono ancora, ma sono diventati uomini di fiducia del padrone, sono loro che comandano nei campi, che dirigono i lavori nelle miniere, che sorvegliano gli addetti alla costruzione di strade e acquedotti con la frusta in mano, divertendosi a farla schioccare sulle spalle degli scansafatiche, che organizzano le gare dei gladiatori. Ecco, se i padroni fossero un pochino più umani, se la vita di chi, privo di libertà, è a loro completa disposizione fosse un po’ meno faticosa, se eliminassero gran parte di quegli odiosi capetti, si potrebbe anche dire che essere schiavo non è poi così brutto, anzi forse è bello. Che dico? Bellissimo!

Non ridete, amici miei, non sto vaneggiando. Non è necessario fare un salto di secoli, o forse di millenni, per imbattersi in ragionamenti di questo genere. Può capitare che dica qualcosa di simile un scrittore d’oggi, o magari una scrittrice. Non è detto che un grande artista, fuori della sua arte, sia una persona di grandissima moralità, di alto sentire, di intelligenza sublime anche negli altri campi. Il che non ci impedisce di ammirarlo nell’ambito della sua competenza. Tanto di cappello a Caravaggio, anche se era un gran delinquente. Onore a Wagner per la sua musica, anche se era un razzista di prima categoria. Eugenio Montale è stato un grande poeta e ci ha lasciato finissime recensioni di spettacoli operistici; però ammetteva di avere difficoltà a capire il linguaggio cinematografico. Può capitare anche ai filosofi di esser citrulli nelle faccende quotidiane: pare che Benedetto Croce andasse nel panico quando doveva spedire un vaglia.

Susanna Tamaro è una scrittrice. Grande, non so. Di successo, senz’altro. Esordì con quel romanzo, “Va’ dove ti porta il cuore”, che fu un vero trionfo editoriale. Bello, brutto, mediocre? De gustibus, la cosa qui non interessa. Adesso la signora si picca di parlare anche di ciò che non sa, e spesso snocciola tante sciocchezze una dopo l’altra. Da qualche tempo, compaiono ogni tanto sul “Corriere della sera” le sue riflessioni su problemi d’oggi, in articoli a piena pagina. Tanto per andare controcorrente, anche lei qualche tempo fa ha fa ha lanciato le sue brave sparate all’indirizzo degli OGM, ripetendo le solite sciocchezze che l’antiscientismo dominante nel Bel Paese rende così ben accette alle masse incolte. L’ultima è sulle tasse, in un articolo di questi giorni. Per colonne e colonne di testo la nostra brava scrittrice elenca tutte le malefatte del fisco italico, le azioni proterve di Equitalia, le follie degli “studi di settore” che gonfiano, sulla base di parametri irrealistici, i profitti di piccoli artigiani e modesti professionisti, i casi pietosi di imprenditori rovinati dall’estorsione fiscale e, in alcuni casi, indotti al suicidio. Dopo tutto questo, che cosa bisognerebbe gridare? Che lo Stato è un filibustiere, che le imposte sono una rapina, che una pressione fiscale di gran lunga superiore al 50% dei redditi è una forma di schiavitù peggiore di quella cui erano sottoposti nell’antica Grecia gli Iloti di Messenia. E invece, che fa la nostra scrittrice? Innanzitutto si erge a paladina della legalità, vantandosi di aver sempre pagato anche tasse palesemente ingiuste, anche balzelli che nel giro di poche settimane venivano abrogati, senza che chi aveva stupidamente provveduto a pagarli tempestivamente venisse mai rimborsato. Bell’esempio di accettazione della schiavitù! E’ più immorale piegarsi una legalità ingiusta o violarla? Piegarsi! Era piena legalità, al tempo delle leggi razziali in epoca fascista, eliminare dalle scuole i libri di testo scritti da ebrei. I Collegi dei Docenti seguivano le direttive: si può capire, anche gli insegnati tenevano famiglia… Ma ribellarsi sarebbe stato sacrosanto. Come è sacrosanto, oggi, rifiutarsi di pagare il canone televisivo attraverso la bolletta elettrica, perché lo Stato non può modificare a suo arbitrio contratti di natura privatistica quali sono quelli delle utenze domestiche, al fine di soddisfare pretese estranee alla loro natura. Tanto clamore, ma alla fine i pecoroni pagheranno.
In somma, anche la Tamaro arriva a dire che se le tasse fossero giuste, se la burocrazia fosse trasparente, se ci fossero meno sprechi, se pagassero tutti in modo che ognuno pagasse meno, forse si potrebbe dare un po’ di ragione a quel pover’uomo, passato nel mondo dei più, che qualche lustro fa affermò: “Pagare le tasse è una cosa bellissima!” Per uno come lui senz’altro, perché da gran servitore dello Stato, di fatto tasse non ne pagava. Quel che sul cedolino del suo stipendio figurava come imposta era una partita di giro. Se ti do 10 con una mano e ti riprendo 3 con l’altra, è come se ti dessi 7. Sarebbe più onesto dire che ti do senz’altro 7, invece di darti 10 e fingere di tassarti riprendendo 3.
Dedico alla signora Tamaro un bell’apologo che apre un libro prezioso, di cui dovremo riparlare. ” Il problema dell’autorità politica” di Michael Huemer. Un feroce brigante taglieggia un territorio,infliggendo gravi danni agli abitanti. Uno di questi, di sua iniziativa, riesce a catturarlo, lo mette in ceppi e lo relega nella sua cantina. Tutti tirano un sospiro di sollievo. A questo punto chi ha compiuto l’impresa si presenta ai suoi conterranei e pretende da loro un contributo per un fondo anticrimine. Sono tenuti ad accontentarlo? No di certo, perché, se è pur vero che il suo intervento è stato benefico, nessuno gli ha conferito l’incarico di provvedere alla lotta contro la criminalità. Lo Stato fa la stessa cosa. Offre la sua tutela dell’ordine pubblico, i suoi tribunali, i suoi servizi. Chi glieli ha chiesti? Nessuno. E se non ci fosse lo Stato? Forse li offrirebbe qualcun altro, in regime di concorrenza, a prezzi più bassi e in modo più efficiente. La legalità? Vada a farsi fottere!

Giovanni Tenorio

Libertino