Don Giovanni

La prova dell’esistenza di Dio (in Do Maggiore)

Cari amici, volteggiavo nell’aria, quel lunedì di Pasqua, come talora mi capita di fare, solo soletto. Che volete? Immortale qual sono (così mi hanno fatto i miei due papà) posso permettermi tanti lussi che ai comuni mortali non sono concessi. Io sono della sostanza di cui sono fatti i sogni, come il mio Leporello, che però quel giorno non era con me: aveva preferito rimanere nella sua stanza a dormire. Posso anche volare, come adesso sto volando da voi, sia pur su ali elettroniche Non ne avrei bisogno, ma anche a me piace essere moderno. Capitarvi davanti in cappa e spada? Forse vi farei paura, o mi prendereste per pazzo… Bene , vi dicevo, volteggiavo nell’aria, sopra il centro storico di Monaco di Baviera. A un tratto, che cosa vedo? Chiesa di San Michele, dove ci sono i sepolcri dei Wittelsbach, fra cui quello di Ludwig II, il re pazzoide a me tanto simpatico (come può non essermi simpatico un omosessuale tutto d’un pezzo come lui? Altro che le mezze calzette d’oggi, che vogliono santificare le loro unioni con il matrimonio civile e – chissà mai, con il papa regnante ci si può aspettare di tutto – anche religioso. Omosessuale cattolico, ma “extra legem”, anarchico, così va bene!). Scendo, si sta celebrando la Messa. Entro a curiosare e rimango estasiato, commuovendomi fino alle lacrime. Sì, io libertino e sciupafemmine sono anche capace di commuovermi se il rito sacro, anziché essere accompagnato dagli orrori musicali entrati nell’uso dopo il Concilio Vaticano II, insieme con la cacciata del latino, è nobilitato dalle note d’una Messa di Beethoven. Così era; e al “Sanctus”, in quella giornata nuvolosa, avvenne il miracolo: un raggio di sole penetrò dalle finestre dell’abside, illuminando l’altare. Ebbene, libertino ed epicureo impenitente qual sono, in quel momento ebbi la prova provata dell’esistenza di Dio. Eh sì, amici miei, c’è poco da ridere, io non credo ai miracoli di Lourdes, ma a quel miracolo ci credo. E vi dirò di più. Ebbi anche la prova provata che Dio di Santa Romana Chiesa non se ne fa nulla. Perché, vedete, la Messa beethoveniana che si stava eseguendo non era la celebre “Missa solemnis”, ma quella, meno nota, in Do Maggiore, dove, a differenza dell’altra (e anche della Messa in Si minore del luterano Bach) non è musicato il versetto del Credo “et unam sanctam catholicam et apostolicam Ecclesiam”. Se Dio fosse piccato di tale omissione, certo non si sarebbe manifestato in tutto quello splendore, allo squillar di quelle note, durante quel rito.

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Per questo motivo, mi fa piacere che, per il Concerto di Natale alla Scala, un direttore valente e aristocratico come Franz Welser Möst abbia scelto, fra altre composizioni di Beethoven (la sublime “Leonora III” di “Fidelio” e la “Fantasia op.80”) anche la Messa in Do Maggiore, preferendola, per l’occasione, alla più celebre sorella. L’avrà fatto per motivi tutti suoi, non ultimo quello che, con la scelta più ovvia, il concerto sarebbe andato troppo per le lunghe. Ma io dico che il diavoletto deve averci messo il codino. Ricordate che fece il rozzo papa Bergoglio poche settimane dopo essere stato eletto, certo per una distrazione dello Spirito Santo? Declinò l’invito a un’esecuzione della “Nona” di Beethoven, sicuramente perché temeva di addormentarsi, ufficialmente perché quelle sono cose da prìncipi del Rinascimento, non da poverelli d’Assisi. Bene, ed ora Beethoven, nei giorni della nascita di Gesù gli risponde dicendo che si può credere in Cristo facendo a meno del papa e di tutti i suoi Giubilei. “Extra Ecclesiam nulla salus”, si diceva una volta. Adesso, invece bisognerebbe dire “Intra Ecclesiam nulla salus”. L’avete sentita l’ultima di monsignor Galantino? Con un bilancio disastrato come quello italico, con una legge di stabilità tutta in deficit come quella testé approvata, ha il coraggio di chiedere che la mancetta di 500 euro sia accordata non soltanto ai giovincelli indigeni – per andare a teatro, si dice – ma anche agli immigrati. Per mandare a teatro anche loro? Persone colte, il Renzino e il Galantino! Hanno studiato e hanno tante altre virtù; sanno che nell’antica Atene si andava a teatro gratis, grazie a una sovvenzione pubblica chiamata “theorikòn”. Durò per un bel po’ di tempo, finché l’oratore Demostene riuscì a farla abolire. Diciamolo francamente: erano soldi buttati, tanto più che si sarebbe dovuto pensare ad altro, per esempio al pericolo rappresentato dalle mire egemoniche di Filippo di Macedonia, contro cui bisognava rimpinguare le risorse militari. Anche oggi ci sarebbe da pensare ad altro, ad esempio a quei poveri tapini di “esodati” di cui nessuno più parla, vittime dell’insipienza della riforma Fornero: rimasti senza il becco di un quattrino.

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Scusatemi, devo lasciarvi. Il bambinello del mio presepio s’è messo a piangere. Guardate  un po’: a un malandrino come me capita come a San Francesco (quello vero) a Greccio: il bambinello finto di gesso, adagiato nella mangiatoia tra il bue e l’asino, mi diventa vero. Ma per che cosa piangerà? Forse perché, ancora una volta, monsignor Galantino e tutta la sua masnada vuol far la carità con i soldi degli altri. Mentre i giornali si riempiono di notizie di alti prelati che rubano i soldi destinati ai poveri e si fanno ristrutturare l’appartamento a carico del bilancio d’un ospedale. Un vizio che una volta non avevano. Puttanieri, maneschi, ipocriti, faccendieri, pedofili, ma ladri no. Non c’è più religione!
Un Buon Natale beethoveniano, senza l”unam sanctam”, a tutti voi!

Giovanni Tenorio

Libertino