Don Giovanni

Fato Conte Romae fit princeps reipublicae.

“Fato Metelli Romae fiunt consules”,  per nostra disgrazia a Roma sono nominati consoli i Metelli. Così scrisse quella linguaccia di Gneo Nevio, un poeta della classe plebea, forse proveniente dalla Campania, che odiava a morte il patriziato romano, di cui i Metelli erano esponenti illustri. Per questa bravata pare sia stato tratto in arresto, e addirittura mandato in esilio. D’altra parte, non era la prima che combinava. Si era già inimicato gli Scipioni, altra stirpe altolocata, scrivendo che il giovinetto Publio Cornelio (quello che si sarebbe reso celebre nella battaglia di Zama, che avrebbe posto fine alla Seconda Guerra Punica) era stato colto dal padre in flagrante a far l’amore con un’amichetta, e ricondotto a casa seminudo . Vi dirò che quel Nevio mi è proprio simpatico. Parafrasando lo sberleffo ai Metelli, per cui mal gliene incolse, mi verrebbe voglia di scrivere: “Per nostra disgrazia a Roma c’è al governo Conte”. Si potrebbe anche scrivere: “Per grazia di Padre Pio” (di cui si dichiara devoto), conservando in “grazia” tutta l’ambiguità del latino “fato”, che può indicare tanto la buona quanto la cattiva sorte. Infatti solo un miracolo (nel senso di cosa mirabile, straordinaria, ancora una volta con significato ambiguo) può spiegare come sia arrivato al governo un perfetto sconosciuto, che non si era mai presentato alle elezioni e millantava doti di grande giurista per aver occupato fino a quel momento una cattedra universitaria di Diritto Privato, dove insegnava non si sa bene che cosa, visto che nella sua attività governativa avrebbe fatto strame dei principi costituzionali (complice il Presidente della Repubblica) né più né meno di come Mussolini fece carta straccia dello Statuto Albertino, con il consenso di Sua Maestà. Per mia fortuna non farò la fine del povero Nevio: né in gattabuia né in esilio. E’ vero che l’Italia repubblica democratica fondata sul lavoro, dove la sovranità  appartiene al popolo, è ormai diventata un regime. Si è visto quel che è capitato nei mesi scorsi e continua a capitare. Basta che uno esprima dissenso nei confronti dei dogmi propalati da sedicenti comitati tecnico-scientifici i cui membri sono stati nominati fra gli amici degli amici di chi è incollato al cadreghino governativo, e scattano le denunce. Basta che uno pubblichi in rete un video con un’intervista dove si fanno obiezioni alla vulgata  “scientifica” dominante, e quel video viene rimosso. Con il pretesto sanitario si sono interrotte cerimonie religiose, si sono inseguiti con droni ed elicotteri pacifici cittadini che correvano sulla battigia di una spiaggia deserta. Si è sottoposto a TSO  un ragazzotto che con un megafono protestava contro il confinamento (quanto mi è simpatico, lo abbraccerei). Trionfano i reati d’opinione, quelli che il Fascismo introdusse nel sistema penale, ignoti a quel Codice Zanardelli che era stato fra i parti meno indecenti dell’obbrobriosa italietta liberale. Bisogna stare attenti a come si parla. Può capitare che, nostro malgrado, si venga tacciati di scorrettezza politica e magari mandati a giudizio per aver offeso le donne, i negri, gli islamici, gli ebrei, i culattoni, le lesbiche e chi più ne ha più ne metta. Io non ho paura. Sono della sostanza di cui sono fatti i sogni. Alla ministra Lamorgese, capo degli sbirri, posso proclamare. “Donna folle, indarno gridi, chi son io tu non saprai!”. Se il leguleio senz’arte nè parte che per “fato” è giunto a governare l’Italia fosse davvero, come continua a definirsi, l’ “avvocato del popolo”, avrebbe sfruttato al meglio l’occasione d’oro che gli si presentava. Mentre – a quanto si dice, ma è tutto da verificare – la pandemia nel mondo continua a imperversare mietendo migliaia di vittime; mentre la Spagna sembra messa maluccio, mentre qua e là in Europa si riaccendono nuovi focolai, mettendo a tacere una volta tanto i suoi consiglieri catasrofisti, di cui è stato finora la marionetta, avrebbe potuto accodarsi a tutti quegli specialisti che, direttamente a contatto con i casi clinici, da qualche settimana dicono e ripetono che il virus in Italia non c’è più, o se c’è non è più in grado di nuocere. Sarebbe stato il caso di proclamare: “Stranieri, venite in Italia! L’emergenza è finita. Basta mascherine, basta distanziamento, tutto come prima. I sacrifici che abbiamo imposto al popolo hanno avuto pieno successo (balla colossale, ma la politica è fatta di balle), così possiamo permetterci il lusso di revocare, dalla prima all’ultima, le precauzioni sanitarie che avevamo introdotto. Venite a godervi il nostro mare, i nostri monti, il nostro sole, le nostre bellezze naturali e artistiche. Non andate dove c’è pericolo, venite qui, e godrete di un’accoglienza regale!”. Sarebbe stato un bel modo per ridare fiato a un’economia che le follie del confinamento hanno ridotto a mal partito, con la prospettiva di fallimenti a catena e disoccupazione galoppante. Il turismo ha sempre costituito una parte cospicuo del PIL italiano. Impedire che si deprima più di tanto, e cominciare anzi di lì il piano di rinascita dell’economia nazionale non sarebbe stata una cattiva idea. Invece, che ha fatto l’avvocaticchio? Adducendo mille pretesti, non ultimo quello secondo cui un prolungamento dello stato d’emergenza avrebbe giovato all’immagine dell’italia davanti all’Europa e al mondo, ha chiesto, e ottenuto, che fino a metà ottobre gli siano riconfermati i poteri di cui finora ha disposto. Mi chiedo se ragioni con la testa o con qualche altra cosa. Uno straniero che abbia una mezza intenzione di passare una vacanza in Italia, se viene a sapere che lo stato d’emergenza è stato prolungato, ha tutti i motivi per temere che il pericolo di infettarsi sussista ora come qualche mese fa. E allora, perché scegliere l’Italia? Se uno deve ammalarsi, meglio che rimanga a casa sua.In verità, l’avvocaticchio è tutt’altro che sciocco. Sa bene quello che fa. Se dichiarasse finita l’emergenza e si tornasse finalmente alla vita normale, qualcuno potrebbe cominciare a voler fare i conti con quel che è successo nei mesi passati. Qualcuno potrebbe anche domandarsi se la sospensione della maggior parte delle attività economiche e gli arresti domiciliari imposti a tutti i cittadini siano serviti davvero a qualcosa o non abbiano per caso aggravato la situazione anziché alleviarla. Si potrebbe mettere in forse l’efficienza del governo e chiedersi se non sia il caso di mandarlo finalmente a spasso. Le elezioni regionali e il referendum di settembre potrebbero riservare qualche amara sorpresa. Meglio allora, fino a ottobre, conservare i pieni poteri; poi si vedrà. Chissà mai che Padre Pio non faccia un altro miracolo, riaccendendo qua e là un bel po’ di focolai. Pare che molti dei migranti clandestini giunti sulle coste italiche in questi giorni siano infetti. Aiutati, che il ciel ti aiuta! Accogliamoli a braccia aperte, loro sì, non i turisti stranieri. Benvenuti gli untori! Si potrà prolungare di nuovo l’emergenza e questo governo, forse il peggiore dell’epoca repubblicana, che pur ne ha avuti di brutti e bruttissimi, potrà addirittura arrivare alla fine della legislatura.

Giovanni Tenorio

Libertino

Un pensiero su “Fato Conte Romae fit princeps reipublicae.

  • Alessandro Colla

    A Benito MussoConte manca solo un azione, probabilmente la svolgerà il prossimo ventotto ottobre dopo la fine dello stato di emergenza: la marcia su Roma con Di Maio, Zingaretti, Renzi e Grasso nella parte dei quadrunviri e con Crimi sciarpa littoria. Centuriona occasionale sarà Virginia Raggi. Il Savoia sicano, Vittorio Emanuele Mattarella, non obietterà visto il suo proverbiale coraggio simile a tutti i sovrani sabaudi. Nell’occasione non ci saranno né Facta né il prefetto Mori, in quanto la carica di superprefetto e di ministro dell’interno questa volta coincide. Un ex presidente della provincia di Roma si chiamava La Morgia e apparteneva alla corrente dorotea. Evidentemente al Viminale preferiscono il doroteismo della linea lamorgiana. O si dice lamorgese?

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