Don Giovanni

Favole e fiabe

Come sono belle, le fiabe. Le fiabe, non le favole. Non sono la stessa cosa. Le favole non le ho mai sopportate, perché finiscono con una morale. Esopo, Fedro, La Fontaine…non li ho mai digeriti. Io sono un uomo di dubbia moralità. Ecco perché non ho mai sopportato il finale che i miei due genitori hanno voluto appiccicare alla mia storia. Potevano finire con la mia discesa all’inferno! Invece hanno voluto aggiungere quel fervorino moralistico:

Questo è il fin di chi fa mal
e de’ perfidi la morte alla vita è sempre ugual”

Io perfido? Ma vogliamo scherzare? Libertino sì, fin nel midollo, ma perfido no. Le mie donne, tutte quelle finite nel catalogo di Leporello, le ho veramente amate, almeno per un momento. E la mia filosofia, secondo cui chi a una sola è fedele verso l’altre è crudele, è segno di grande apertura mentale (permettetemi di essere un po’ supponente). Sapete che vi dico? I miei due babbi a quel fervorino mica ci credevano. L’hanno appiccicato lì perché non si sa mai… In un mondo di preti, di bigotti, di beghine vale la pena di essere un po’ ipocriti , per non finire nelle grinfie della censura. I loro costumi non erano poi molto diversi dai miei, ne hanno combinate anche loro di cotte e di crude. In me si sono rispecchiati. Quales patres, talis filius! Viva le fiabe, dunque, che non hanno morale. Ci insegnano molto, ma in modo allusivo, sotterraneo, senza darlo a divedere. Parlano all’inconscio, e finiscono sempre bene perché i bambini, ai quali  vengono di solito raccontate, devono acquisire l’idea che alla fine il bene trionfa, per affrontare, da adulti, le difficoltà della vita con animo forte, senza scoraggiarsi.  La storia di Cappuccetto Rosso di Perrault, che termina con la povera bimba sbranata dal lupo perché ha disobbedito alla mamma, è di un moralismo repellente. La medesima storia nella raccolta dei fratelli Grimm, dove il finale è lieto perché è il lupo a fare una brutta fine sotto i colpi dei cacciatori, e la bimba e la nonna escono sane e salve dalla pancia della bestiaccia, è invece una bellissima fiaba.Si può scrivere un bel racconto, non necessariamente una fiaba, anche partendo da una situazione incresciosa. Anzi, nelle fiabe di solito è proprio così. Qualcosa si incrina, si rompe un incantesimo, e di lì comincia tutta una serie di peripezie che si concludono con un ritrovato equilibrio. Si può scrivere un bel racconto, non necessariamente una fiaba, senza fervorini finali, anche partendo dall’emergenza, vera o finta che sia, del Coronavirus. Il racconto di Emanuele Trevi pubblicato sul “Corriere della sera” (un giornale in questi giorni illeggibile, come quasi tutti i grandi quotidiani nazionali, lugubremente monotematici) fin quasi alla fine mi ha davvero attratto. Come si può essere ironici e leggeri, anche parlando della brutta situazione in cui si è relegati! Trevi racconta le sue avventure alla ricerca di una padella! Sembra proprio una fiaba.

Ma perché proprio una padella? Perché, in questi giorni di reclusione, mentre si arrabattava in cucina nelle più svariate attività gastronomiche, all’unica padella che possedeva si era spezzato il manico. Ecco la crisi, ecco l’incantesimo che si rompe! In tempi normali, sarebbe stato un attimo andare in un supermercato a comperare un’altra padella. Invece nei nostri tempi è un bel problema. Eh, sì, perché è vero che i supermercati e i negozi che vendono beni di prima necessità sono tutti aperti, ma mica possono vendere tutto. Così può capitare che il reparto dove si vendono gli stendibiancheria sia accessibile, mentre quello dove si vende vasellame da cucina no. E allora, addio padella! Per fortuna, dopo tanti tentativi andati a vuoto, il Nostro riesce a sapere che in un certo mercatino le padelle si trovano. Problema risolto. Lieto fine! Che bel racconto, se tutto fosse finito qui. E invece, il Nostro -brutto viziaccio!-vuole trasformare la fiaba in favola, aggiunge il fervorino finale. Così il gran bel piacere che il lettore si è goduto per tutto lo svolgimento della divertente vicenda si tramuta in tossico. Sentite che scempio. Dopo aver detto che il popolo italiano, con qualche eccezione, si sta comportando egregiamente, osservando le norme che per il suo bene il provvido governo ha emanato contro la diffusione del contagio, ecco come  continua: “Che sia la prova generale di una dittatura, mi sembra un’idea da somari. Finito tutto, la parte migliore dell’umanità  continuerà a lottare contro l’autoritarismo e le disuguaglianze sociali, trovandosi davanti i soliti brutti ceffi. Ma è triste che già rinunciamo alla consapevolezza di quello che siamo riusciti a fare. Sempre di più ogni giorno che passa, purtroppo, è destinato a infittirsi il carosello di quelli che vogliono fare a modo loro, che non se la bevono, che i medici sono i primi a non capire, che è assurdo che non si può fare questo, che non voglio essere controllati  (sic,è un refuso) da un’app, che uno vale pur sempre uno. Una massa di cretini sempre coccolata e adulata da gente malvagia, che ne ricava un potere politico e ideologico ributtante e,come tutto il mondo ha visto, anche suicida. C’è solo da sperare che rimangano una minoranza irrisa, di gente infelice e sempre uguale a se stessa, incapace di imparare cose nuove dalla vita. Rendono ridicolo quel vessillo di libertà che sventolano per farsi notare”. Capito? Ecco come si fa a rovinare un racconto piacevole. Invece di finire in gloria, finisce in merda. E’ come se un’Opera del mio grande papà, dopo tante Arie sublimi quali solo lui sapeva scrivere, terminasse con un gran fragore di peti. Ebbene, io mi vanto di appartenere a quella massa di cretini che che Trevi stigmatizza. No, mi correggo, quale massa? Dove la vede questa massa? Io ho venticinque lettori, forse meno; e non so quanti di questi la pensino come me. Tutta la grande stampa nazionale è schierata col governo. Anche l’opposizione non ha nulla da ridire contro lo scempio che sì è fatto della Costituzione più bella del mondo. I “governatori” delle regioni restringono ancor di più norme già di per sé quanto mai repressive. I sindaci danno un ulteriore giro di vite. Gente malvagia quei quattro gatti che si ribellano? Ma quale gente malvagia? Io la gente malvagia la vedo tra gli sbirri che fanno rispettare con una solerzia degna di miglior causa le disposizioni più assurde. Malvagi sono quei carabinieri che hanno interrotto un rito religioso, intimidendo e minacciando il parroco. Sono loro i brutti ceffi. I medici sono i primi a non capire? Certo che lo dico, e lo ripeto. Ci hanno capito forse qualcosa? Fin dall’inizio hanno detto tutto e il contrario di tutto, oggi una cosa e domani un’altra. Mascherine sì, mascherine no, mascherine nì. Il Coronavirus è un’influenza, no, non è un’influenza, provoca polmonite, no provoca tromboembolie, l’eparina è un buon rimedio, no aggrava la patologia, il vaccino sarà risolutivo, no il vaccino non serve a niente. Certo che non voglio essere controllato da un’app, ammesso che si possa controllare Don Giovanni Tenorio (neanche il diavolo ha saputo trattenermi con sé). Mica sono un delinquente, da controllare con un collarino o un braccialetto elettronico. La presunzione di colpevolezza non è scritta nella Costituzione più bella del mondo, e neppure la presunzione di contagio. Quanto al potere ributtante, è quello di chi, alla fine della fiera, riuscirà a incassare valanghe di miliardi. Se riusciranno a obbligarci al vaccino, certamente tutti quei soldi, pagati dai contribuenti, non finiranno nelle mie tasche. Ho saputo proprio in questi giorni che i medici di base, per ogni vaccino anti-influenzale praticato ai loro pazienti, ricevono un piccolo compenso. Sono solo l’ultimo anello di una lunga catena. In cima sta chi finanzia le Facoltà di Medicina e anche i grandi quotidiani, minacciando di tagliare i fondi e di interrompere la pubblicazione di inserti pubblicitari se non si segue una certa linea. Non sto dicendo che i vaccini sono da rifiutare, non sono un no-vax per partito preso. Sono del tutto ignorante in materia, e, come ho detto e ripetuto più di una volta, per principio non impugno mai quel che non so. Dico solo che per l’art 32 Cost. nessuno può obbligare nessuno a vaccinarsi. Chiaro? Dico solo che chi pretende, in nome della Scienza, di tappare la bocca ai dissenzienti a suon di denunce ai sensi del Codice Rocco, un residuato del Fascismo rimasto in eredità alla Repubblica antifascista, è un fascista della più bell’acqua.Io non rendo ridicolo il vessillo della libertà. Lo rendono ridicolo quegli idioti che in questi giorni, nel bel mezzo  di un’azione repressiva in piena regola degna del peggior fascismo, che ha fatto strame dei diritti costituzionali a suon di circolari ministeriali, hanno ottenuto il permesso di andare in piazza a celebrare il 25 Aprile in nome dell’antifascismo. I riti della Chiesa di Cristo non si possono celebrare, quelli dello Stato sì. Lo rendono ridicolo quelli che hanno esposto la bandiera, cantando “Bella ciao”. Qualcuno ha proposto di cantare la canzone del Piave, che non è un simbolo divisivo, ma è sentito come suo (o così dovrebbe essere) da ogni cittadino di qualsiasi parte politica. Quanta bolsa retorica! Non siamo in guerra! Non siamo nelle trincee, non abbiamo di fronte un nemico in carne ed ossa, contro cui far barriera. Abbiamo di fronte una schifezza di catena chimica, neppure un essere vivente, grande pochi millesimi di millimetro. La Grande Guerra?  Il Fascismo cominciò proprio di lì, quando il governo Salandra sottoscrisse il Patto di Londra all’insaputa del Parlamento. Non lo dico io, lo scrisse Alberto Frassati in una lettera non ricordo più a chi. “E’ aperto a tutti quanti. Viva la libertà!”. Questo è il mio motto, che campeggia sulla facciata del mio palazzo.  E il fascista sarei io? Sventolo il vessillo della libertà per farmi notare? Fu il rimpianto Roman Vlad, finissimo musicista e vero gentiluomo, con il quale mi onoro di aver avuto una volta, in incognito, un garbato colloquio, a dire che quel motto, da me pronunciato nel Finale Primo dell’Opera a me intitolata, e ripetuto tante volte da tante voci giubilanti, è uno dei più grandi inni alla libertà che siano mai stati scritti.

Giovanni Tenorio

Libertino

4 pensieri riguardo “Favole e fiabe

  • Alessandro Colla

    E’ sempre così. Il malvagio è quello che non vuole essere controllato, lo scemo quello che pretende il diritto al dissenso. Gli altri, i servili, sarebbero “la parte migliore dell’umanità” Certo, gli stessi che aggrediscono chi non è in maschera perché ritiene il carnevale finito. Ma loro, si sa, devono combattere contro le disuguaglianze sociali. Meglio tutti morti di fame, così le disuguaglianze scompaiono. Auspicano la fame e i malvagi sarebbero gli altri? Loro che veramente coccolano i babbei disinformati per ricavarne potere politico? Quale sarebbe, secondo l’articolista, la realtà ideologica “ributtante e anche suicida”? Dov’è quel mondo che l’avrebbe vista? Se si riferisce a un generico fascismo, mi auguro abbia presto ragione. Le normative adottate dall’esecutivo sono sicuramente fasciste, nonché ributtanti. Se il mondo riuscirà a vedere che tali normative saranno suicide per tutti i governi che le hanno adottate, allora si potrà effettuare un sacrificio per l’acquisto di una buona bottiglia. Spero che quel giorno arrivi presto e che i cialtroni anneghino a Roma nella fontana di …Trevi.
    Ebbi anch’io, una quarantina d’anni or sono, l’occasione di conoscere Roman Vlad. Concordo sulle doti musicali e sulla signorilità della persona. Purtroppo si candidò con i socialisti in una tornata elettorale regionale, senza peraltro venire eletto. Un’area politica che la libertà non l’ha mai apprezzata. Mi auguro che il figlio Alessio diverse.

  • Ma come si fa a non amare le fiabe latine? Fedro è stupendo, ne ricordo interi passi a memoria. “Fame coacta vulpes alta in vinea uvam appetebat” e poi “Quam tangere ut non potuit descendens ait : “nondum matura est, nolo acerbam sumere”.
    E ancora: “Ad rivum eundem lupus et agnus venerant, siti compulsi. Superior stabat lupus,
    longeque inferior agnus”.

    E poi: “Gallia est omnis divisa in partes tres” (vabbè, avevo finito le fiabe, ahahah).

    • EC “favole”, non “fiabe”.

      Ma più grande favolista era un altro…
      “Vivamus mea Lesbia, atque amemus, rumoresque…” e poi “da mi basia mille, deinde centum, dein mille altera”.

  • Due minuti d’una attualità sconvolgente. Popolo minorenne, malattia, vaccino e cura.

    R E – P R I – M E – R E ! ! !

    Grande GMV.

    youtube.com/watch?v=_nXlp43jHm8

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