Don Giovanni

7 Dicembre 2011

Sono sinceramente dispiaciuto per la morte di Emanuele Severino. Devo confessare che ho faticato non poco a digerire il suo pensiero, secondo cui (so di semplificare un po’ troppo, non me ne vogliano i filosofi di professione), tornando a Parmenide, se il non essere non è, allora anche la morte è solo un uscire dal cerchio dell’apparenza; in sé non esiste, perché ogni cosa è eterna. Alla fine ho dovuto ammettere che ha ragione. Io stesso sono immortale. Esco ogni tanto dal cerchio dell’apparenza; nessuno mi vede, al massimo qualcuno (due o tre persone: beato Manzoni con i suoi venticinque lettori!) legge le mie stramberie. Spesso mi incarno sulla scena, quando mi si rappresenta nell’Opera più grande che mai sia stata scritta, il capolavoro dei miei due genitori, 1 e 2 (sono come Pinocchio, non ho mamma; per questo qualche coglione dice che la cerco in tutte le donne, senza trovarla mai…). Poi esco dal cerchio, fino al prossimo appuntamento. Proprio in questi giorni RAI 5 ha rimandato in onda la mia reincarnazione  nella brutta “prima” della Scala del 7 dicembre  2011. Mi chiedo perché l’abbiano fatto. Nessuno ne sentiva il bisogno. Io meno di tutti. Una concertazione distratta (Barenboim in quegli anni era a Milano per arrotondare lo stipendio, in cuor suo pensava ad altro; è un direttore sinfonico, ottimo in Wagner, ma l’Opera italiana, Mozart compreso, non è nel suo DNA); Leporello interpretato da un Terfel più sguaiato che mai; Zerlina e Masetto da provincia teutonica; la diva Netrebko, nei panni dell’odiosa e ipocrita Donn’Anna, spesso a corto di fiato e calante; l’altro bel tomo di Donn’Elvira affidata a una Frittoli degna di andare a farsi frittolare. E la mia parte? Mi trovavo un po’ a disagio dentro le carni di Ildebrando D’Arcangelo, che tutto sommato era meglio degli altri. Il Don Ottavio di Filianoti l’avrei preso a sputi. Non so chi me l’abbia fatto fare di rivedere quell’allestimento mediocre. Quel che più mi ha fatto ribrezzo è stato notare una cosa che, mentre rivivevo sul palcoscenico la mia storia, non potevo vedere, perché ero inevitabilmente rivolto ad altro: mica potevo farmi ammazzare da quel rimbambito di Commendatore o magari da quel cafone di  Masetto! A un certo punto, la ripresa televisiva ha inquadrato, nel palco reale, il Senatore a vita e Presidente del Consiglio prof. Mario Monti, allora alla guida di quel famigerato governo che con la scusa di risanare l’Italia la ridusse in mutande. Un viso funereo, di pietra. Avrebbero potuto assumere lui per interpretare la statua del Commendatore, facendogli  prestare la voce da Gwanchoul Youn (ma dove cacchio sono andati a prenderlo, costui?). L’avessi scorto, quella sera, giuro che avrei fatto una follia: contravvenendo alle indicazioni dei miei due genitori, da anarchico qual sono avrei compiuto un atto di vera disobbedienza civile, infilzando (ma non per finta, per davvero) il Senatore a vita, Presidente del Consiglio prof. Mario Monti (peccato che le spade usate sulla scena siano di tolla, come quelle dei Carabinieri in alta uniforme). L’avessi fatto, se ha ragione Severino, il mio atto sarebbe rimasto in eterno e non solo nella memoria dei posteri. Una gloria imperitura, da aggiungersi a tutti gli altri onori di cui mi fregio.Mi dispiace davvero, invece, sempre se ha ragione Severino, che debba durare in eterno il famigerato governo Monti, anche se per ora è uscito dal cerchio dell’apparenza e ce lo portiamo soltanto -ma, ahimè, ben vivo- nella memoria. Ci ho ripensato a lungo in questi giorni, leggendo e ascoltando i notiziari della guerra civile in corso nella Libia che fu di Gheddafi. Che c’entra?- direte voi. C’entra e come! Il governo Monti fu la conseguenza di quella guerra. Ricordate? Furono Cameron e Sarkozy, con il beneplacito della Merkel e la condiscendenza di Obama, a voler togliere di mezzo Gheddafi, prendendo come pretesto la necessità di pacificare la Libia dove era in atto una rivolta contro il regime. In realtà Francia e regno Unito volevano mettere le mani sul petrolio, fino a quel momento in gran parte controllato dall’ENI. Berlusconi, allora al governo, non era d’accordo, Alla fine si lasciò persuadere, con molta riluttanza, a concedere le basi aeree per gli attacchi. E’ ormai risaputo che in quell’occasione il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, facendosi forte anche della sua carica istituzionale di Comandante delle Forze Armate, esercitò notevoli pressioni per costringere il governo a partecipare alla campagna bellica, sia pur in posizione defilata.Va riconosciuto che aveva ragione Berlusconi a volersene astenere; e non solo perché l’entrata in guerra contraddiceva clamorosamente le manifestazioni di amicizia verso Gheddafi di pochi mesi prima, quando il colonnello libico era stato ricevuto a Roma con tutti gli onori. Non ci voleva molto acume per capire che, tolto di mezzo il dittatore, sarebbe stato oltremodo difficile stabilire un governo solido e pacifico in un Paese dove risiedevano più di cento tribù spesso in aspro conflitto tra loro. Qualcuno pensava addirittura a un ritorno della vecchia monarchia, abbattuta da Gheddafi nel lontano 1969, nella persona del legittimo successore dello spodestato re Idris, Muhammad al Senussi, che per per breve tempo fu indotto a coltivare l’illusoria speranza di riconquistare il trono. Il risultato è sotto gli occhi di tutti. In Libia si affrontano due governi armati fino ai denti, quello ufficialmente riconosciuto dall’ONU, guidato da Fayez al Sarraj, e quello di Khalifa Haftar, sostenuto  dalla Francia, dall’Egitto, dall’ Arabia Saudita, dagli Emirati Arabi. Un Paese che galleggia sul petrolio e occupa una la posizione centrale  sulle sponde nordafricane era un boccone troppo ghiotto per non attirare, prima o poi, qualche potenza interessata a spartirsene le risorse e a farne un baluardo strategico per il controllo del Mediterraneo. Ecco allora intervenire -naturalmente per nobili fini di pacificazione!- la Russia a favore di Haftar e la Turchia a favore di Sarraj.E l’Italia, che corre il rischio di uscire schiacciata da tutti questi avvenimenti in atto? Che può fare l’italia con un governo come quello di Conte e un Ministro degli Esteri come il semianalfabeta Di Maio, quello che non solo crede che la Russia si affacci sul  Mediterraneo ma, per quanto nato nel Sud Italia, e non in provincia di Sondrio respirando l’aria dei Grigioni, pensa che Matera sia in Puglia? Niente, assolutamente niente. Ne uscirà con le ossa rotte. I pozzi petroliferi ora controllati dall’ENI finiranno nelle mani della TOTAL e della BP. Francia e Regno Unito, che a suo tempo vollero la caduta di Gheddafi, alla fine brinderanno, e anche la Germania avrà quel che le spetta: pensavano di risolvere tutto in quattro e quattr’otto, invece la faccenda s’è complicata; ma alla fine la vittoria sarà dalla loro parte. Se ne spartiranno i benefici con Russia e Turchia. L’Italia si consolerà con le pale eoliche, per cui ha stanziato per i prossimi anni qualcosa come 50 miliardi: un regalo alla Mafia e una gragnola di scaracchi sul paesaggio di quello che un tempo fu il Giardino d’Europa.Sì, ma il governo Monti, che ci azzecca, direbbe quel semianalfabeta amico delle manette (a proposito, che fine ha fatto? E’ tornato a Montenero di Bisaccia a coltivare la terra, ch’è la sua vera vocazione? Nobilissima, sia ben chiaro, molto più di quella dello sbirro). Ci azzecca, ci azzecca. Il governo Berlusconi cadde nel novembre del 2011 per la faccenda dello “spread” che andava alle stelle, rendendo insostenibile il debito pubblico e mettendo in pericolo le finanze dello Stato. Come mai quell’improvvisa mossa del mercato, quando pochi mesi prima tutto sembrava che andasse, se non per il meglio, per lo meno in modo non preoccupante? Semplice, per una concertazione fra la Merkel e Sarkozy, che volevano far pagare cara a Berlusconi la  contrarietà all’intervento in Libia (ricordate i loro risolini di compatimento al suo indirizzo, immortalati da fotografie e filmati su tutti i media?). A un certo punto la Deutsche Bank cominciò a vendere ingenti quantità di titoli  di debito pubblico italiani. Tutti i mercati andarono a ruota. Berlusconi si dovette dimettere. Napolitano ebbe anche lui la sua rivincita. Nominò senatore a vita, per meriti inesistenti (poche pubblicazioni scientifiche, e di scarso valore; qualche editoriale sul “Corriere della Sera” e poco altro) il prof. Mario Monti, salutato come salvatore della Patria. Quello che, alla “prima” della scala del 2011, accolto dal bel mondo delle autorità, della grande industria, della finanza, degli stilisti culattoni e delle ochette ingioiellate e drappeggiate di stracci firmati, se ne stava, con un volto da Convitato di Pietra, nel palco reale di quel teatro che fu di Verdi e Toscanini, e ora è diventato un magazzino di insulsaggini, magari comprate all’estero (vedi il “Romeo et Juliette” di Gounod, ora in programma, proveniente da New York). Il cerchio si chiude. 

Giovanni Tenorio

Libertino

2 pensieri riguardo “7 Dicembre 2011

  • Alessandro Colla

    Reagan poteva far fuori Gheddafi e intelligentemente lo lasciò stare, gli mise solo un po’ di paura. Il premio Nobel per la pace eletto vent’anni dopo la fine del suo mandato, evidentemente ha un concetto di pace simile all’idea di libertà che aveva Emanuele Severino quando parlava di fisco. Probabilmente anche quest’ultimo è un’immanenza eterna, espressione concettuale forse ossimorica ma credo efficace. Il ministro degli esteri confonde anche l’Argentina col Cile, non riesco a capire come possa aver avuto una formazione classica. Un motivo in più per perorare la causa dell’abolizione del valore legale dei titoli di studio. Notevolmente più colto il ragionier Montale di questi gradassi sottotitolati. Il giustizialista di Montenero di Bisaccia, dopo una mezza confessione di aver ceduto ai deliri di onnipotenza, è probabilmente risalito sul trattore. Ma se ha dell’agricoltura la stessa concezione che ha del diritto, la terra non se ne avvantaggerà. Tanto vale che la avvelenino i casalesi, almeno i loro metodi vengono riconosciuti come penalmente perseguibili. Anche Monti si sarebbe forse ritirato se non avesse avuto il laticlavio. Gira ancora nel mondo politico un amaretto di Saronno che ha la sfrontatezza di sostenere che il governo Monti abbia salvato i conti pubblici. Quali, se il deficit è aumentato? Su Barenboim ho un giudizio più benevolo ma venendo dalla prosa potrei lasciarmi condizionare da elementi non filologicamente legati alla purezza musicale. Non riesco a esprimermi né in positivo né in negativo su Barbara Frittoli. Preferisco personalmente Cecilia Gasdia ma anche qui si tratta di una sensazione più epidermica che analitica. Comunque ho sentito di peggio, non siamo nel periodo di nuove Toti Dal Monte o altrettanto nuove Renate Tebaldi. Credo che la cosiddetta alta istruzione artistica odierna si sia adeguata alle porcate televisive che infestano l’etere. Se le idiozie da sala da ballo “rokkete – metallurgiche” o le frasi insulse di Allevi vengono considerate prodotti artistici perché “tutto è kkultura”, è chiaro che il senso critico muore senza neanche andare a farsi benedire. E con esso muore anche un altrettanto sensato metodo di studio basato sulla logica.

  • Dino Sgura

    Bellissimo post. C’è da ricordare anche la Sig.ra Hillary Rodham in Clinton, quando allora segretario di stato ebbe a pronunciare le famose parole a proposito del colonnello: “we came, we saw and he died”.
    Il momento più penoso credo siano stati tutte quelle visite di emergenza di Conte e del suo ministro degli esteri ad Ankara, alla corte di quel mafioso di Erdogan, che ormai tiene sotto scacco l’intera Europa.

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