Don Giovanni

Storia di Ilaria

Ho incontrato qualche giorno fa un amico piuttosto anzianotto. Camminava bel bello per le vie della città. Gli ho chiesto se non avesse paura di uscire di casa, visto il pericolo incombente di contrarre un contagio, con gravi conseguenze,  soprattutto se non si è più sul mattino dell’età. Si è messo a ridere. Mi ha invitato a sedermi su una panchina e mi ha impartito qualche lezione di Storia. Storia vissuta in prima persona, e Storia ricostruita sulla base di testimonianze orali di prim’ordine.

Cominciamo dalla seconda. Riguarda la famosa epidemia di “Spagnola”, che investì il mondo intero subito dopo la Grande Guerra, mietendo -a quanto si dice-più vittime della guerra stessa, che pur non si era risparmiata. Il nonno del mio amico, che aveva vissuto la terribile esperienza delle trincee, uscendone vivo, fu colpito anche lui dalla “Spagnola”, e ancora una volta fu così fortunato da non rimetterci  le penne. Ma fu un trauma forse anche peggiore di quello delle trincee (per inciso, fu chiamata “Spagnola”, ma veniva dall’Asia, forse proprio dalla Cina, come l’odierno coronavirus). In quei tempi non c’erano né antibiotici né antivirali, e una polmonite poteva mandare facilmente al creatore. La “Spagnola” di solito evolveva in polmonite. Di qui il suo alto grado di letalità. “Il coronavirus? – dice il mio amico – In confronto, una bazzecola”.

Quanto alla Storia vissuta, bisogna risalire all’anno 1957. Fu allora che si diffuse l’influenza “Asiatica” (di nuovo dall’Oriente, e forse ancora una volta dalla Cina). Il mio amico era allora uno scolaretto di quarta elementare. Ricorda che le preoccupazioni non furono poche, però bene o male il problema fu affrontato, e alla fine risolto, anche se le strutture sanitarie non erano all’altezza di quelle d’oggi. Nessuno si sognò di chiudere le scuole. Nessuno si sognò di limitare la circolazione. Anche allora qualcuno ci lasciò le penne. A differenza del coronavirus odierno, che sembra disdegnare i bambini e amare particolarmente i vecchi (se mi permettete il neologismo, è gerontòfilo), il morbo di allora non faceva troppe distinzioni, ma forse amava in particolare i giovinetti, era pedòfilo. Le classi scolastiche furono decimate. A uno a uno, chi prima, chi dopo, tutti i ragazzetti si ammalavano. Eppure l’anno scolastico poté concludersi senza troppi inconvenienti. Superata la crisi, la scuola si rimise in carreggiata. Bene o male, i programmi furono portati a termine. L’amico ricordava la disperazione del suo ottimo maestro, un siciliano purosangue, quando si avvide che, a causa delle lunghe assenze dovute all’epidemia, i suoi alunni avevano dimenticato tutto o quasi tutto il programma svolto fino a quel momento. E sembravano addirittura diventati più stupidi. “Ahimè! – continuava a ripetere – Si vede che l’Asiatica vi ha rincretinito!”. Conclusione del mio amico: “Forse è vero. Io sono cresciuto non troppo furbo, anche se in qualche modo nella vita me la son sempre cavata. Anche i miei compagni non sono diventati geni. Tutto sommato, una generazione di mediocri. Non dico che se non ci fosse stata l’Asiatica saremmo diventati tutti come Einstein. Forse però si sarebbe avuta una percentuale più bassa di autentici cretini”.

Tornato a casa, mi sono  messo a meditare sull’inattesa e ben accolta lezione di Storia. Terribile davvero, la “Spagnola”. Anche l'”Asiatica” non fu cosa da poco. Ma sarà poi vero che chi la contraeva, se ne usciva vivo – come capitava nella stragrande maggioranza dei casi – diventava cretino? Il mio amico sembra ancora prestar fede alle parole del suo maestro. Mi sono detto: “E se i componenti del governo oggi in carica fossero così cretini perché colpiti a suo tempo dall’Asiatica?”. Fatti due calcoli, ho dovuto concludere che la congettura non tiene. Sono troppo giovani, a cominciare dal Presidente del Consiglio. Non possono aver contratto l’Asiatica. Il loro cretinismo deve avere qualche altra causa. O una serie di concause. Non ultimo il degrado che il sistema scolastico italico ha subito dai tempi dell’Asiatica ad oggi. Ecco, forse tutti i ministri dell’istruzione, da allora fino a un certo momento, avevano contratto l’Asiatica, e quindi erano un po’ cretini. I loro successori, essendo figli di un sistema scolastico rincretinito, non potevano che proseguire sulla stessa strada. Fortunatamente qualche buon insegnante esiste ancora, e anche qualche buon istituto scolastico e qualche buona Università. Ma i laureati migliori, se possono, fuggono all’estero. Quelli che rimangono in Italia, si devono rassegnare a vedere misconosciute le loro capacità. Quando va bene. Quando va male, a fare la fine di Ilaria Capua, la cui vicenda giudiziaria è vergognosa al pari del caso Tortora. Accusata, più o meno, di essere come gli untori della peste manzoniana. Una che ha inventato la macchina del veleno, per attossicare la gente, come nella novella “Il dottor Ficicchia”, di Luigi Capuana. I Cinquestelle, per cui uno vale uno, Di Maio = Newton, si accanirono contro di lei. Anche la superfemminista Boldrini, che pur era sua collega in Parlamento, girò la testa dall’altra parte. Alle femministe interessa eliminare il sessismo linguistico, introdurre dappertutto le quote rosa, gioire perché le donne possono esercitare finalmente mestieracci come la vigilessa, la poliziotta, la carabiniera o la soldata, che sarebbe meglio lasciare ai maschiacci, in attesa di poterli eliminare. Ilaria Capua? Una virologa sostenitrice dei vaccini. Vade retro! L’ho già detto una volta e lo ripeto: Ilaria Capua è la Ipazia di oggi, vittima, come l’antica, del pregiudizio antiscientifico. I bigotti cristiani allora consideravano la matematica come i No-vax di oggi la scienza medica: attività demoniaca. Per nostra fortuna Ilaria Capua non ha fatto la fine di Ipazia. Anche lei se n’è andata all’estero, e ha fatto benissimo. Ricordate che cosa dice Renzo quando, dopo tante peripezie, riesce ad attraversare l’Adda, mettendosi al sicuro in territorio bergamasco? Puntando il dito verso l’altra sponda, esclama:” “Sta’ lì, maledetta terra!” Ben detto, la patria è là dove si sta bene. Se mai verrà il giorno in cui non ci saranno più confini, e quindi non ci saranno più patrie, l’unica patria sarà il mondo, e tutti staremo meglio.Una buona dose di cretineria va riconosciuta anche al Presidente del Consiglio in carica. Anche la sua, forse, è da attribuirsi al traballante livello d’istruzione. E’ professore di Diritto, e quindi dovrebbe conoscere bene la materia. Ma il DPCM dell’ 8 marzo da lui sottoscritto (approvato, tra l’altro, in fretta e furia, con una fuga di notizie che nella notte ha provocato il panico) sembrerebbe attestare il contrario. Un uomo di legge dovrebbe sapere che le leggi vietano o consentono, non ammoniscono o consigliano: le leggi non sono prediche. Invece il suddetto DPCM è una sorta di predica. Sarà perché il Giuseppi è tanto amico dei preti. C’è, a dire il vero, nel testo,  un divieto, quello per i contagiati di lasciare la loro abitazione. E’ un divieto “assoluto”! Così è scritto. Ma esistono forse i divieti relativi? Si può vietare soltanto un po’? Fare la faccia feroce e poi dire: “Per questa volta vada, ma la prossima ti punisco sul serio!” Il legislatore non è la mamma o la nonna. Rappresenta l’istanza paterna. Se vieta, vieta. Vien da ridere poi a leggere le motivazioni che consentirebbero di circolare entro le “zone rosse”, a dispetto delle raccomandazioni di rimanere in casa. Una di queste recita:” Situazioni di necessità”. Più fumosi di così non si può essere. Che cosa si intende per “necessità?” Specificare, per favore! Ma poi: se non sono divieti (l’unico divieto è quello “assoluto”, per i  contagiati), non possono essere accompagnati da sanzioni. Certo, se uno dichiara il falso, dicendo che sta andando al lavoro mentre sta andando a pescare, incorre nelle sanzioni comminate dall’art. 495 c.p., rischiando fino a 6 anni di carcere per aver dichiarato il falso a un pubblico ufficiale. Ma se uno dice il vero, cioè che  sta andando a pescare, può forse essere punito per non aver dato ascolto a un’esortazione? Un mio amico filosofo, da giovane, era solito passeggiare fino a tarda notte in luoghi piuttosto malfamati (non chiedetemi il perché, i filosofi sono tutti un po’ matti). Una volta fu fermato da una pattuglia della Polizia. Dopo che ebbe esibito i documenti, gli fu consigliato di tornare a casa, per il suo bene Rispose: “Se è un consiglio, mi permetto di non ascoltarlo. Nessuno meglio di me può sapere qual è il mio bene non sto commettendo nessun reato. Buona notte”. Adesso un consiglio mi permetto di darlo anch’io a Giuseppi, visto che è tanto devoto a Padre Pio, faccia un’offerta per una novena al suo Santo protettore, perché protegga tutta l’Italia, e accenda una bella candela al di lui altarino, che immagino avrà in casa, come tutti i fedeli del taumaturgo di Pietrelcina. Forse è la volta buona. Il morbo scompare in due giorni. Si garantisce 10 anni di governo, e forse più. 

Giovanni Tenorio

Libertino