Don Giovanni

Rompere il giocattolo

Il teatro, fin dalle sue origini, non è stato mai soltanto un’occasione di divertimento, ma ha sempre avuto una valenza politica. Pensate alle commedie di Aristofane, dove vengono sbertucciati i più illustri personaggi politici del momento. Ma pensate anche alle più famose tragedie, che attingevano a miti e leggende noti a tutti  (più raramente a recenti fatti storici, come “I Persiani” di Eschilo) per alludere a problemi politici contemporanei e orientare il pubblico (quello stesso che prendeva parte alle assemblee esprimendosi attraverso il voto) verso certe scelte di solito in sintonia – ma non sempre – con chi in quel momento deteneva il potere. Il pubblico era libero di dissentire. Il verbo greco”syrizein”, fra i suoi diversi significati (il primo è “suonare la zampogna”) annovera anche quello tecnico di “fischiare” qualcuno in segno di dissenso: può essere un oratore, un attore, un autore, un’intera compagnia.Il fischio a teatro ha quindi un’origine nobile, che non è mai stata disconosciuta. Può essere un segno di disapprovazione rivolto a un singolo attore, per una sua cattiva prestazione, o a un allestimento nel suo complesso, o all’autore del testo (ai tempo di Shakespeare era uso anche salire sul palcoscenico e prendere a pugni gli attori); ma ha  talora una valenza politica che esula da motivazioni puramente estetiche (anche i consensi spesso hanno motivazioni politiche del tutto avulse dalle intenzioni degli autori, degli interpreti, degli impresari: si pensi al “Nabucco” verdiano, divenuto emblema della lotta risorgimentale solo in un secondo tempo, con l’acquiescenza dell’autore, che però in origine l’aveva concepito secondo principi ideali del tutto diversi, se non addirittura opposti(*)). In questi casi, il teatro diventa “politico” per volontà del pubblico, magari contro la volontà dei suoi artefici. E allora se ne possono vedere delle belle.Un caso divenuto famoso è quello della celebre ballerina Fanny Elssler, forse la più illustre stella del firmamento coreutico nella prima metà dell’Ottocento, accanto a Maria Taglioni, da cui differiva  totalmente per stile, condividendone però la tecnica formidabile e il magistero interpretativo. Nell’anno 1847 alla Scala di Milano fu accolta trionfalmente da un pubblico entusiasta. Peccato che, tra tante invidiabili qualità, avesse un grande difetto. Era austriaca, e in quei tempi a Milano gli austriaci non erano molto ben visti. Si respirava aria di cospirazione, la rivolta del Quarantotto, passata alla Storia con il nome di “Cinque Giornate”, era alle porte. Così la povera Fanny, tornata alla ribalta meneghina l’anno successivo a quello del suo trionfo, fu accolta da una salva di sonori fischi. Che colpa ne aveva, se era austriaca? Nessuna. Era forse responsabile lei della repressione che i governanti nominati dal potere imperiale di Vienna esercitavano sui milanesi? No di certo. Ma agli occhi del pubblico il suo essere austriaca, di per sé un dato di fatto innocente, acquistava una valenza politica. Si fischiava la Fanny per fischiare l’Austria. In teatro erano presenti autorità di governo, alti funzionari, ufficiali dell’esercito, che non erano così stupidi da non capire il senso politico di quegli sberleffi: ma nulla potevano fare per contrastarli perché, formalmente, erano una forma di dissenso verso lo spettacolo, in particolare verso l’esibizione dell'”etoile”, non una protesta contro i rappresentanti  del potere costituito. Dal Sessantotto in avanti la Scala, in occasione delle “prime” nel giorno di Sant’Ambrogio, è  al centro di manifestazioni politiche un po’ anomale rispetto alla tradizione, in quanto il “messaggio” che vogliono lanciare non proviene né dagli artefici dell’allestimento scenico né dagli spettatori presenti in sala, ma da manifestanti che, sulla piazza davanti al teatro, inscenano un loro spettacolo non di rado violento, prendendo a bersaglio proprio il pubblico alto-borghese e  i rappresentanti delle istituzioni che partecipano al grande evento (spesso senza capire un’acca di musica, e addormentandosi durante lo spettacolo,come capitò a Giovanni Spadolini quando era Presidente del Consiglio). Le motivazioni sono le più varie. Mario Capanna ci andava con i suoi seguaci del Movimento Studentesco, per contestare, in nome della “rivoluzione culturale”, di matrice maoista, il sistema borghese capitalistico di cui qualche anno dopo avrebbe goduto i benefici senza vergognarsene. Fu proprio lui a inaugurare il rito, che si è ripresentato ogni anno sempre con motivazioni diverse: se non sono i disoccupati sono i pacifisti, se non sono i pacifisti sono gli animalisti, se non sono gli animalisti sono gli ecologisti, se non sono gli ecologisti sono i no-global, e chi più ne ha più ne metta.Tutti antifascisti, però. Perché ho parlato di manifestazioni politiche un po’ anomale? Perché, a ben vedere, pur prendendo come pretesto un appuntamento teatrale, con il teatro non hanno nulla che fare. Quando l’elegante (?) pubblico e i fanatici loggionisti,  grazie alla protezione delle forze dell’ordine, riescono finalmente a prendere i loro posti, comincia un’altra storia. La contestazione rimane fuori. Lo spettacolo teatrale prende un’altra piega, se ne va per conto suo. I molti applausi e i pochi fischi, quando ci sono, esprimono gli uni un consenso (spesso fasullo) gli altri, a volte, uno sparuto dissenso (autentico) verso i cantanti, i direttori, i registi. Niente, proprio niente di politico. Quando i guerriglieri di Capanna inscenarono la solita manifestazione in occasione del “Don Carlos” diretto da Claudio Abbado, qualcuno ebbe buon gioco a osservare che, sfuggito alla contestazione di piazza, il bel pubblico altoborghese,  mentre si metteva in vetrina ostentando i suoi privilegi di ricchezza e di potere, non si rendeva conto di assistere alla rappresentazione di un’Opera “rivoluzionaria”, di un Verdi eversivo ormai lontanissimo dalle illusioni risorgimentali.Ebbene, forse potrebbe essere arrivato il momento di tornare ai tempi di Fanny Essler, cioè di riportare la politica dentro il teatro. Se i cosiddetti “no green pass” pensassero di mettersi sulla scia delle manifestazioni che finora hanno punteggiato la storia delle “prime” alla Scala, farebbero un buco nell’acqua. Ammesso e non concesso che venga loro consentito di radunarsi in piazza, cosa ben difficile, visti i provvedimenti che la sbirra Lamorgese sta studiando per limitare il più possibile le manifestazioni di dissenso verso il governo Draghista – il vero fascismo redivivo- ,sarebbero immediatamente dispersi con qualche manganellata e magari con qualche getto di acqua gelida. Il giorno dopo tutta l’informazione di regime sarebbe concentrata sullo splendido spettacolo musicale diretto da Chailly (che ancora una volta è andato a recuperare nel cestino della carta straccia qualche battuta eliminata dall’autore) con una compagnia di canto di prima grandezza  e una regia intelligente e innovativa, degna del Primo Teatro del Mondo (sic!!).E allora, che fare? Rompergli il giocattolo dall’interno, a quei farabutti che stanno portando l’Italia allo sfascio, comprimendo le più elementari libertà e avviandola a un regime di servitù, dopo aver distrutto il suo tessuto economico fondato sulla piccola e media impresa, sull’artigianato di qualità, su prodotti alimentari impareggiabili. I farabutti faranno bella mostra di sé alla “prima”. Ci saranno innanzitutto i politici. Ci sarà anche Draghi? Ci sarà anche Mattarella? Sono i primi responsabili del disastro. Ci saranno molti dei loro servi. Magari il pampalugo Figliuolo. Ci sarà il sindaco di Milano, che fa parte della cricca. Ci sarà qualcuno che, come Brunetta e il ministro Speranza, gode nel vedere torturare con gli scovolini ficcati nel naso chi non si vuol vaccinare e, per non perdere il pane, è costretto a sottoporsi ai famigerati tamponi. Ci sarà qualcuno che, come Cazzola, vorrebbe resuscitare il generale Fiorenzo Bava Beccaris per sparare ai no-vax; qualcuno che, come il sindaco di Trieste, vorrebbe approvare, contro i renitenti alla vaccinazione, leggi emergenziali come quelle escogitate a suo tempo per battere  le Brigate Rosse. Ci saranno i rappresentanti della sbirraglia in azione sulle piazze, prefetti e questori ligi alle direttive delinquenziali della Signora Ministra e incapaci di arginare la criminalità organizzata che opprime le periferie delle grandi città, tra spaccio di droga, occupazioni abusive e violenze d’ogni genere. Ci saranno i rappresentanti di una Magistratura che, secondo una tradizione vetusta, è sempre stata la stampella del potere politico. Ci saranno i rappresentanti di quell’Ordine dei Medici prono alle lusinghe di Big Pharma e responsabile, insieme con i governi, di una campagna anti-Covid che non si saprebbe dire se sia più stupida o più delittuosa: una campagna che ha messo al bando vecchi rimedi non privi di buoni risultati puntando su “tachipirina e vigile attesa” e poi su “vaccini” (che vaccini tecnicamente non sono) dagli effetti collaterali talora letali e in gran parte sconosciuti, oltreché di dubbia efficacia. Ci saranno i rappresentanti di tutte le associazioni istituzionali e semi-istituzionali che hanno dato man forte alla politica governativa, da Confidustria a Confcommercio a Confesercenti ai sindacati dei lavoratori. E’ quello che si chiama “establishment”. Bene, bastano un centinaio di persone per spaccargli il giocattolo. Cento persone che entrano in teatro come normali spettatori, esibendo biglietto e certificazione sanitaria. Compostissimi fino alla fine dello spettacolo. Poi, quando cala il sipario sull’ultimo atto, giù fischi a tutto spiano, con l’aiuto di strumenti sonori d’ogni genere (in passato si usavano, come mezzi impropri, le chiavi di casa, il cui corpo cilindrico e cavo ben si prestava alla bisogna; con le chiavi d’oggi non è più possibile).Niente grida contro il governo e contro il “green pass”! Formalmente, dev’essere un dissenso verso lo spettacolo (la regia di Livermore, una di quelle puttanate che piacciono ai tedeschi ma sono un insulto all’ impareggiabile tradizione italica,  potrebbe fornirne il pretesto. Fischiare uno spettacolo è lecito.La forza pubblica non può intervenire. Come ai tempi di Fanny Elssler.  Nessuno potrà dire che, in realtà, il vero spettacolo preso a fischi è quello dei farabutti venuti a mettersi in vetrina, con le loro consorti vestite in modo pagliaccesco dagli “stilisti” di grido, anch’essi presenti con le loro corti dei miracoli, per usare un’espressione del compianto Paolo Isotta.Che colpa ne hanno gli artefici dello spettacolo? Nessuna. Anche Fanny Elssler non aveva nessuna colpa, fuorché quella di essere austriaca. Gli artisti della “prima” hanno solo quella di esibirsi davanti a un pubblico composto in gran parte da farabutti, molti dei quali invitati gratuitamente a spese dei contribuenti: quelli che devono subire le loro vessazioni.Nelle repliche, gli artisti potranno rifarsi, grazie a un pubblico meno becero, che li giudicherà in base ai risultati artistici. Ma ve li immaginate i titoli dei giornali e dei notiziari, il giorno dopo? Come potranno dire, anche se lo sospettano, anzi ne sono sicuri, che sono stati i “no vax”, se nessuno ha urlato contro il governo? La notizia farà il giro del mondo. Giocattolo rotto. La politica dalla piazza ritorna dentro il teatro. I farabutti hanno ricevuto quello che si meritano.

(*) Si veda in proposito la conferenza di Antonio Rostagno al Teatro Regio di Torino il 3 novembre 2017,dal titolo “Nabucco:  colonna sonora del Risorgimento o opera di pace?”.Il video è pubblicato su YOUTUBE. Sincero dolore per la recente dipartita, all’età di 58 anni, dell’illustre musicologo, docente di Storia della Musica all’Università “La Sapienza” di Roma.

Giovanni Tenorio

Libertino