Libertà democratica, libertà giacobina e “libertà”
Ci sarebbe da ridere se la situazione non fosse tragica. Durante la festa di Nizza in cui avvenne la strage di tanti innocenti ad opera di un fanatico islamico la “Promenade des Anglais” era del tutto sguarnita. Ora poliziotti in assetto di guerra presidiano le spiagge nizzarde per imporre alle donne islamiche sdraiate al sole in abbigliamento coprente di mettersi discinte, in omaggio a un “comune senso del pudore” alla rovescia: quello che identifica il prendere il sole e il bagnarsi seminude con i valori laici dello Stato francese. Ad accrescere il grottesco ci si mettono le femministe, che giustamente stigmatizzano la scelta repressiva del governo, ma per motivi del tutto strampalati. Sentite qua che cosa dicono quelle del collettivo “Osez le femminisme”: “Con queste misure le donne di confessione musulmana sono le grandi perdenti, vittime di atti di umiliazione, su un fondo di razzismo e di sessismo”. Avete letto bene: il sessismo sarebbe quello nostrano, non quello dei maschietti islamici che impongono alle loro donne di abbigliarsi in quel modo perché, da schiave quali sono considerate, non devono esibire agli estranei le loro belle forme, di cui solo i padri e i mariti-padroni hanno l’esclusiva; e il tentativo, maldestro, illiberale e controproducente quanto si vuole, ma teso a un atto di emancipazione, di sradicare un tale costume una manifestazione di razzismo. No, care le mie signore, proprio non ci siamo. Né sessismo, né razzismo. La posta in gioco è molto più complessa e delicata, tocca i fondamenti di quella che chiamiamo libertà: un termine apparentemente inequivocabile, che invece può essere declinato in significati diversi, o addirittura opposti. Sui è parlato, infatti, di libertà degli antichi e libertà dei moderni, libertà di e libertà da, libertà formale e libertà sostanziale, libertà dell’individuo in quanto tale e libertà dell’individuo in quanto membro di una comunità, libertà nello Stato e libertà dallo Stato, libertà liberale e libertà libertaria (per non dire libertina). Vorrei passar oltre queste antitesi, e soffermarmi sulla contrapposizione, venuta alla ribalta in tempi recenti, fra libertà come integrazione e libertà come multiculturalismo. La prima sembrerebbe apparentabile alla libertà “francese”, quella scaturita dal travaglio della Rivoluzione dell’Ottantanove: è una libertà sostanzialmente “democratica”, che all’origine sembra insistere sui cosiddetti “droit de l’homme et du citoyen”, ma in breve si fa giacobina, pone l’accento sul popolo come comunità organica, annega i diritti individuali in una volontà generale cui i singoli avrebbero di buon grado, in omaggio al bene comune, sacrificato una parte della propria volontà particolare. In nome di tale volontà generale la ghigliottina può anche tagliare molte teste di traditori, che alla volontà generale vogliono contrapporre il loro sentire individuale e anarchico. E’ chiaro che sulla base di una ideologia del genere chi vuol entrare a far parte di una comunità deve integrarsi totalmente nei suoi usi e nei suoi costumi. La comunità così intesa ha anche una religione. Ai tempi di Robespierre era il culto della Dea Ragione, che ammetteva in privato la sopravvivenza di altri culti, ma escludeva come reato l’ateismo, in quanto sovvertimento delle radici pubbliche. Oggi è il Laicismo, che non solo confina nel privato – e fin qui nulla da dire – il sentimento religioso, ma ne limita drasticamente ogni manifestazione pubblica. Laicismo è anche fede nella parità dei diritti. Anche qui nulla da dire sul principio in sé; ma se uno vuol sostenere, con parole e con simboli, un principio di disuguaglianza, perché non deve poterlo fare? Se glielo si nega, si assume un atteggiamento illiberale, giungendo al paradosso di difendere la libertà con un atto impositivo che della libertà è negazione. L’idea di imporre a una donna islamica di denudarsi in spiaggia in nome della lotta alla schiavitù rientra in questa fattispecie. Come dire: “Io ti obbligo a essere libera! Non voglio che con il tuo abbigliamento coprente propaghi l’idea che la donna debba essere sottomessa all’arbitrio maschile!” Risposta: “Ma se tu mi obblighi a essere libera, la libertà che mi vuoi donare si converte in un’imposizione, quindi non può più essere detta libertà, per la contradizion che nol consente“. E’ lo stesso paradosso di voler punire con sanzioni penali non solo chi istiga al razzismo, ma anche i cosiddetti “negazionisti”, che magari si limitano a proporre le loro tesi (aberranti e infami, non ho difficoltà ad ammetterlo) da qualche dimessa cattedra universitaria o su qualche pubblicazione di modesta tiratura (fermo restando che in un regime davvero libero uno dovrebbe anche aver la facoltà di istigare all’odio, alla violenza, ecc. ecc., rimanendo impunito finché materialmente non mette mano ad atti di violenza). Come non sentirsi ridicoli a condannare il nazismo e il fascismo negando la libertà d’opinione, cioè applicando un provvedimento tipico dei regimi nazisti e fascisti?