Don Giovanni

Eretici, roghi e censure

A pensarci oggi sembra preistoria, eppure da quei tempi ci separano solo sessant’anni o poco più. Era l’epoca in cui l’italia, uscita martoriata da una guerra rovinosa, si avviava a rifiorire, dopo secoli di povertà, e a diventare – pur tra gravi squilibri interni e problemi non piccoli di politica internazionale – una potenza industriale di tutto rispetto. Rimaneva un paese cattolico, dove tutti più o meno andavano a messa la domenica, anche se poi magari nel segreto delle urne votavano comunista, assumevano  la comunione almeno una volta all’anno, facevano battezzare i figli e si sposavano in chiesa. Lontano dai grandi centri, nei comuni piccoli e medi, il prete era ancora un’autorità riverita e talora temuta, più del sindaco e dei carabinieri. A convivere senza la benedizione sacramentale e magari solo con il suggello della legge civile poteva capitare di essere bollati come pubblici concubini (fece scalpore il caso del vescovo di Prato, condannato per diffamazione in primo grado ma assolto in appello, per aver additato all’esecrazione pubblica con un epiteto di questo tenore una coppia sposata solo civilmente). Fortunatamente, a dispetto dei Patti Lateranensi improvvidamente accolti nella Costituzione, la libertà di parola era tutelata, la stampa godeva di ampia libertà e le rampogne pretesche contro le pubblicazioni ritenute non in linea con la fede e la morale della Chiesa non provocavano molti danni. Bisognava soltanto stare attenti a non incorrere, quando si manifestava il proprio pensiero,  nel reato di vilipendio alla religione, retaggio di quel codìce penale fascista, dovuto ad Alfredo Rocco, di cui la Repubblica Democratica fondata sul Lavoro non è finora riuscita a liberarsi. Però le anime belle si lasciavano condizionare dai rimbrotti del clero scalpitante contro la cattiva stampa, temendo magari che in confessionale potessero buscarsi qualche penitenza.  A dire il vero, c’era poco da preoccuparsi: al massimo si era obbligati alla recita di qualche Pater Ave Gloria in più. Tuttavia, qualche rimorso di coscienza rimaneva, se si osava leggere qualcuna delle pubblicazioni che, negli avvisi affissi  nell’atrio di tutte le chiese, erano classificate come da evitare, o da leggere con cautela. C’erano dentro  un po’ tutti i giornali, non solo quelli dichiaratamente comunisti o socialisti, ma anche grandi testate apartitiche, di tendenza vagamente laica e liberale, come il “Corriere della sera”. Si potevano leggere senza paura di peccare solo i giornali cattolici. Era un tipo di censura dalle armi spuntate. Poteva far leva soltanto sulla paura del peccato e su quel tanto di autorità morale che la gerarchia conservava, specie sulle anime più semplici e incolte. I roghi non c’erano più, da secoli. Rimaneva l’ Indice di libri proibiti, dove erano finiti anche pensatori come Benedetto Croce. Ma erano libri che si potevano stampare e leggere senza intoppi. Era un’Italia bigotta, avviata però a diventare un Paese moderno non soltanto nello sviluppo economico, ma anche nei costumi. Dopo qualche lustro avrebbe introdotto nella sua legislazione il divorzio, vedendo sonoramente bocciato, qualche anno dopo, il referendum che intendeva abrogarlo, la riforma del diritto di famiglia e addirittura l’interruzione volontaria della maternità.Viva la modernità, viva la scienza. Peccato che, se mal declinate, modernità e scienza si possano trasformare in una religione non dissimile da quella che ci siamo lasciati alle spalle, senza tribunali dell’inquisizione e senza roghi nel senso letterale, almeno per ora, ma ugualmente inquietante. I tribunali dell’inquisizione e i roghi soltanto metaforici, che purtroppo invece si stanno diffondendo, possono far male, molto male, precipitando un popolo libero in una nuova condizione di ignoranza e di asservimento. La censura è stata restaurata. Certo, non viene più chiamata con questo nome, e non è una censura applicata secondo le leggi dello Stato, che anzi continuano formalmente a garantire piena libertà di pensiero. E’ una censura più subdola, che si traveste da intervento umanitario per preservare il pubblico da notizie false che potrebbero sviarlo inducendolo a scelte e comportamenti pericolosi per la sua stessa salute fisica, psichica e morale. Qualcuno dirà: anche in passato la censura si esercitava in nome del pubblico bene. Verissimo, ma almeno si aveva il coraggio di chiamarla con il suo nome:censura. Oggi no. Inoltre, una volta la censura veniva esercitata da alcuni organi ben individuati: la Chiesa aveva il Sant’Uffizio, lo Stato aveva i suoi spioni, i suoi sgherri, i suoi tribunali. Oggi a esercitare la censura sono soggetti  privati; o, per meglio dire, consorterie nominalmente private che agiscono all’ombra dei poteri pubblici o in connivenza con essi. Secondo qualcuno sarebbe il risultato di una politica neoliberista, volta a favorire i grandi potentati economici e finanziari nel segno di una globalizzazione selvaggia che sta distruggendo le identità nazionali e il tessuto dell’imprenditorialità medio-piccola. Io credo che la sia proprio tutta a rovescio: non liberismo, ma il peggior capitalismo associato al peggior sistema bancario, alla peggior finanza e allo statalismo più bieco.In nome della Scienza, divenuta, con una metamorfosi paradossale, qualcosa di assoluto e di intoccabile come una religione, se qualcuno, nel mezzo di questa cosiddetta “pandemia” costruita ad arte, si azzarda a proferire un pensiero difforme da quello delle fonti ufficiali, viene subito messo a tacere da comitati che pretendono di costituirsi come detentori della verità. Un’opinione che non collima con la vulgata, anche se si fonda su argomentazioni razionali e su studi ben documetati, viene subito catalogata nel novero delle bufale, barbaramente chiamate “fake news” (che è un plurale, quindi dire “una fake news”, come fanno molti di questi censori ignoranti, degni di stare al fianco dell’attuale ministro dell’istruzione, è una sconcezza grammaticale). Se un medico si azzarda a proporre, per la cura della Covid 19, terapie non in linea con i protocolli imposti dal Ministero della Salute, ma risultate efficaci nell’applicazione pratica, rischia il richiamo da parte dell’Ordine dei Medici (una mafia che dovrebbe essere eliminata insieme con tutti gli altri ordini professionali, facendone un falò che abbia come combustibile il valore legale dei titoli di studio) e, nei casi peggiori, l’espulsione. Se una fonte di informazione indipendente si permette di attaccare il sistema mediatico dominante, mostrando come le notizie diffuse in modo martellante a proposito della “pandemia” si prestano a critiche e  perplessità d’ogni genere, viene cancellata dai padroni della rete, Google, Youtube, Facebook, Amazon, o magari -altro termine orrendo – “demonetizzata” , cioè ridotta alla fame con l’espunzione degli inserti pubblicitari. La motivazione? I contenuti non sono conformi al regolamento della piattaforma. Una giustificazione del genere, che volendo dir tutto non dice nulla, è semplicemente infame. Un tempo, quando un tribunale dell’inquisizione condannava un eretico, motivava la sentenza in modo minuzioso. Galileo fu condannato perché il sistema copernicano, da lui sostenuto, era in contrasto con l’insegnamento dei testi biblici. Tesi aberrante quanto si vuole, ma non priva di logica e di chiarezza. Oggi ti dicono: ti cacciamo via perché non ci piaci. Punto e basta. Anche la carta stampata non scherza. Lì la censura è ancora più subdola. Un articolo proposto da un collaboratore viene semplicemente cestinato perché irriterebbe i padroni del vapore, che sono pochissimi e ben coalizzati. Una volta gli editori di giornali erano tanti, e in concorrenza tra loro. Se non trovavi spazio su una testata, potevi trovarlo su un’altra. Oggi che gli editori puri sono scomparsi e l’informazione è nelle mani di un oligopolio i cui interessi primari sono di tutt’altra natura,  se uno ti rifiuta, ti rifiutano tutti. Se trovi ospitalità in rete su un canale alternativo, il tuo video viene in breve cancellato, e il tuo ospite rischia di essere “demonetizzato” . Recentissimo è il caso di Giovanni Zibordi, che,dopo aver collaborato per lungo tempo con il “Sole 24 Ore” pubblicando articoli di economia, sempre ben accetti, si è visto cestinare un articolo in cui criticava la gestione della “pandemia” da parte del governo italiano. Evidentemente, il capitalismo italico, di cui il “Sole” è prestigioso portavoce, non può permettersi di irritare quel potere politico da cui riceve laute sovvenzioni (sarebbe questo il “liberismo” che molti suoi avversari lamentano? Per me è statalismo della più bell’acqua). Ma anche altre testate rifiutano l’articolo. Non lo pubblica “Dagospia”, non lo pubblica Vittorio Feltri su “Libero”. Finisce sul sito di Nicola Porro, un giornalista che ha sempre aspramente avversato la politica dei confinamenti e delle quarantene. Aver pubblicato l’articolo di Zibordi gli fa onore. Gli toglierò tanto di cappello se avrà il coraggio di pubblicare altri articoli in cui non soltanto si critica la gestione della “pandemia”, ma si mettono a nudo le insensatezze di una campagna vaccinale i cui esiti non lasciano ben sperare, non solo perché mal condotta, ma perché i vaccini in sé (soprattutto quelli genetici, che propriamente vaccini non sono) potrebbero rivelarsi nel migliore dei casi inefficaci, nel peggiore pericolosi. Ho notato che anche Porro, quando tocchi le case farmaceutiche, tende a svicolare. Nel suo programma televisivo “Quarta repubblica” non mi risulta sia mai stato invitato un medico “eretico”, uno di quelli che combattono a viso aperto contro l’ideologia vaccinale dominante, per metterlo a confronto con un collega che sostiene idee opposte, come ogni buon giornalismo dovrebbe fare.  Va riconosciuto che in parte fa eccezione la “Verità” di Maurizio Belpietro, che di recente ha pubblicato un lungo articolo della dottoressa Silvana De Mari, tutto in controtendenza rispetto al pensiero dominante. Sugli altri giornaloni compaiono invece le solite firme. Sul “Corriere” ricompare Burioni, il quale, se ho ben capito, dice che si può far fronte alle mutazioni del virus grazie alla duttilità di vaccini come Pfizer e Moderna, che possono essere agevolmente riadattati. Vorrà dire che rincorreremo il virus in eterno, rivaccinandoci a ogni mutazione! Se questa non è una bufala! Però nessuno la censura. E a proposito delle bufale pronunciate da questi grandi peracottari (come li chiama F.M.Nicosia), ricordate la sciocchezzuola di Fauci, secondo cui in Lombardia il virus è stato particolarmente contagioso e letale perché  lì lavorano tanti cinesi? Per non parlare della sua esortazione a indossare due mascherine, per proteggersi meglio. Perché allora non tre, o quattro o dieci? Così si impedisce l’accesso al virus, ma in compenso si cade a terra stecchiti per ipossia. Da prendere a pernacchi. Invece si prende a pernacchi, e si censura, chi, citando prestigiose ricerche di studiosi indipendenti, riconduce la grande diffusione e la particolare letalità del virus nel territorio di Bergamo e  Brescia alla campagna vaccinale a tappeto praticata in quelle zone contro l’influenza stagionale, e all’inquinamento atmosferico da nanoparticelle ivi riscontrato, di molto superiore a quello delle aree europee più mal messe.Vi risulta che i grandi mezzi di informazione abbiano dato spazio alla notizia che l’Agenzia del farmaco indiana non ha autorizzato l’impiego del vaccino Pfizer BioNtech? Anch’io l’ho saputo per caso, e da un controllo ho accertato che la notizia è vera. Anche i medici dell’Agenzia indiana sono cultori e propalatori di “fake news”? O non è forse vero che , a diffondere certe notizie, anche la grande stampa rischia di essere “demonetizzata”, perdendo i lauti incassi che riceve dagli inserti pubblicitari delle potenti case farmaceutiche?E’ una sorta di dittatura strisciante, governata dalla finanza internazionale, dalle banche centrali, dai colossi della rete, dal mondo farmaceutico che va a braccetto con la carità pelosa dei Fauci e dei Gates, ammanicati a quel delinquente posto a capo dell’OMS che risponde al nome di Tedros Adhanom Ghebreyesus (e non è neppure medico). Che fare? Non bisogna disperare, dove c’è la censura vuol dire che il potere ha paura. In Unione Sovietica la censura era feroce, e sappiamo qual è stato l’esito di quel sistema che sembrava onnipotente..  Là la censura veniva aggirata attraverso i “samizdat”. Anche la censura della dittatura mediatica capitalistico-finanziaria benedetta dallo Stato può essere aggirata. Le voci libere trovano sempre il modo di farsi ascoltare. Il vero pericolo è quello di lasciare che ci spengano il cervello in nome di una scienza fasulla, che con la scienza vera non ha nulla che fare. Il primo losco disegno da contrastare è quello di chi vorrebbe continuare a tenere chiuse le scuole. Vogliono tirare su intere generazioni di deficienti, facilmente manipolabili. Ribelliamoci, con tutte le nostre forze. 

Giovanni Tenorio

Libertino

5 pensieri riguardo “Eretici, roghi e censure

  • Sorry, ma “news” è un sostantivo plurale solo di forma, in realtà è un invariabile, altrimenti diviene aggettivo. Non è come in italiano che esiste “nuova” e “nuove” riferito a notizia: è invece come “cachi” che uno o mille sempre “cachi” resta, quindi chi dice “una fake news” è nel giusto a meno di volerlo attaccare sul piano del purismo lessicale (e non sarò certo io nazidada a farlo).

    *

    Porro teneva una rubrica “Zuppa di Porro” sul Giornale e nel 2012 vi postai due commenti.

    Uno era su Oscar Luigi Scalfaro appena scomparso e andai molto sul pesante, tant’è che me ne vergogno ancora oggi, perchè di un morto si parla bene o si tace e io potevo davvero lasciar perdere. Commento comunque pubblicato con strepitoso successo di “likes”.

    L’altro era sulla GdF, commento davvero molto mite perchè immaginavo che potesse mettere in imbarazzo. Parole misurate in cui si rimarcava l’arroganza (non citata) di queste Brigate Gialle (non chiamate così) che entravano tronfie con i mitra spianati (sottaciuto) nelle ditte del Nord per intimorire e taglieggiare (evitato), mentre al Sud la musica fosse molto diversa. Solo un centesimo di quello che avrei potuto e voluto dire. Commento mai pubblicato. Da allora perlomeno so quanto vale quel liBBerale alle vongole.

  • Alessandro Colla

    Leggendo l’articolo i censori saranno pronti a dire che Don Giovanni è diventato clericale perché difende Belpietro quando pubblica un articolo di una cattolica integralista. Porro è troppo poco, indubbiamente, ma è meglio che niente. In fondo, se anche noi a volte ci autocensuriamo per evitare di mettere in imbarazzo gli altri, dobbiamo comprendere non solo l’imbarazzo che potrebbero avere coloro che ci ospitano ma anche i loro rischi effettivi di non lavorare più. Sarà alle vongole ma meglio che niente. Le scuole, vista la qualità dell’insegnamento e l’indottrinamento censorio statalistico che praticano, potrebbero recare danni più da aperte che da chiuse. Non so se condividere l’ottimismo in relazione al paragone con l’Unione Sovietica. La censura iniziò nel 1917, Gorbaciov la limitò alla fine del 1987. Se dobbiamo aspettare altri sessantanove anni c’è poco da stare allegri. D’accordo, all’epoca internet aveva scarsa diffusione e oggi i tempi sono naturalmente più rapidi; ma di quanto? Chi vivrà vedrà, ho sessantadue anni e non so se avrò tempo sufficiente per vedere.

  • Certo, “news” è un plurale usato come singolare collettivo, ma proprio per questo si dice “no news is good news” e non ” no news is a good news”, con l’articolo indeterminativo, che esiste solo al singolare: suonerebbe come uno strafalcione. Quindi anche in italiano dire “una fake news” è da malparlanti. Anzi, è da malparlanti dire “fake news” in ogni caso. Non è questione di purismo. E’ questione di buon gusto, come non mangiare con le mani e non accogliere gli ospiti in pigiama e ciabatte.

    • Perfetto, capisco e condivido almeno in parte.

      Poniamo però che – volendo usare a tutti i costi un termine inglese – se dovessi seguire i dettami della sua grammatica. Qui non sono d’accordo, seguo le regole della grammatica in cui traslo il termine, non è colpa mia se questi idioti albionesi hanno un plurale che si comporta da singolare come verbo, ma non accetta l’indeterminativo singolare.

      Anche se poi – in questo esempio – ne uscirei benissimo, potendo dire: “questa è fake news”, oppure “questo è un articolo di fake news”.

      Mettiamo ora che Don Juan voglia rimbrottare uno come me che lo ha stuccato usando troppo la parola “people” e per farlo debba usarla lui stesso, sennò perde di sberleffo e incisività la rampogna, direbbe:

      “people dovrebbero sparire”? perfetto in inglese perchè “people” vuole il verbo plurale, ma orrido in italico (no, poco funzionale, se “people” la si intende come parola, si può mettee al singolare il verbo anche in inglese)

      allora proviamo come sopra, ma per “disgusting”

      direbbe “che discorso disgusting!”,ottimo! ma è errato grammaticalmente in inglese perchè dovrebbe dire “che un disgusting discorso!”

      Sono chiaramente assurdi per perorare un minimo di tolleranza nei barbarismi che secondo me ci vuole.

    • E poi non dimentichiamo termini di lingue a noi ostiche come “pasdaran” plurale di “pasdar”, ma usato dai giornalisti anche come singolare o “la jihad” (islamica) usato al femminile mentre è un maschile in arabo (se si imposta “jihad” sul caro gogol viene fuori “sostantivo femminile”, ma è sbagliato!) .

      Solo la tolleranza ci può salvare, sennò è guerra persa. E poi fino a ieri avevamo per capoccia un leguleio foggiano che manco l’italiano masticava, visto che diceva “una amalgama”…

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