Don Giovanni

C’è del metodo in questa follia

“Though this be madness, yet there is method in’t”. C’è del metodo, in questa follia. Matto, ma non scemo. Così dice il pedante e insopportabile Polonio (che alla fine pagherà con la vita il prezzo della sua inframmettenza) a proposito del comportamento, per molti aspetti inspiegabile, del principe Amleto, nel dramma di Shakespeare (Atto II, scena II). La considerazione si attaglia perfettamente alle mosse di Paolo Savona, che solo in questi ultimi tempi cominciano a lasciar trasparire il disegno retrostante. Ricordate? L’illustre economista, da sempre nemico dell’Euro e fautore di un ritorno alla cosiddetta sovranità monetaria, era stato designato, di concerto fra Cinquestelle e Lega, come ministro dell’Economia in un eventuale governo da loro formato e sostenuto . Mattarella si oppose; la possibilità di un accordo su un’altra designazione sembrò svanire, i tentativi di formare una coalizione governativa tornarono in alto mare. Alla fine si giunse a un compromesso: l’Economia venne assegnata a Giovanni Tria, la cui fedeltà all’assetto finanziario e monetario dell’Europa sembrava indiscussa, e Savona si dovette accontentare del Ministero agli Affari Europei. Una vera farsa, si sarebbe detto. Proprio lui, che vorrebbe gettar per aria l’Europa, andava a occupare la poltrona degli Affari Europei; e dopo tanto baccano- o Savona all’Economia, o niente governo– Di Maio e Salvini accettavano un ministro dell’Economia ligio al sistema che a parole tanto esecravano. Tutti scemi? No, forse solo tutti matti. Di certo non è scemo Savona, anche se io stesso di recente ho avuto l’impressione (errata) di vedere in lui un esempio da manuale di demenza senile.

Il ministro degli Affari Europei, in questi primi mesi del governo Conte, pur essendosi mantenuto in posizione defilata, deve aver lavorato con astuzia dietro le quinte. Probabilmente ha lasciato capire a Di Maio e a Salvini che avrebbero avuto il suo sostegno se avessero preteso da Tria una politica finanziaria espansiva, a costo di mettere a bilancio un deficit di gran lunga superiore a quello accettabile dalle autorità europee. Così tra i due vice-presidenti e Tria si è ingaggiato un duello che sulle prime sembrava all’ultimo sangue: da una parte si chiedeva un bilancio con un deficit superiore al 2% del PIL; dall’altra si dichiarava la propria indisponibilità a oltrepassare quella soglia, nella consapevolezza che le conseguenze sarebbero state gravi: segnali negativi del mercato, per i dubbi sulla solvibilità del debito pubblico, destinato a crescere; impennata del famigerato “spread”; declassamento del sistema-Italia da parte delle altrettanto famigerate “agenzie di rating”.Quindi, al posto dell’auspicata ripresa economica, un arretramento che avrebbe portato nuova disoccupazione e nuova povertà. Si aveva l’impressione che l’alternativa fosse questa: o Tria la spunta, o si dimette. Se si dimette, però, il governo rischia di saltare. Di Maio e Salvini hanno interesse a una conclusione del genere? Forse al momento no, anche se rimane vero che godono di un ampio consenso e probabilmente verrebbero premiati alle urne. Meglio allora un accordo di compromesso, tra l’ 1,6% di deficit proposto da Tria e il 2,4% preteso da Di Maio e Salvini. Appena un po’ sotto il 2%. Nessuno avrebbe potuto dire di aver vinto, ma neppure essere accusato di aver patito una sconfitta. D’altra parte, bisognava tener conto che con Tria stava il presidente Mattarella, e sulle sue posizioni erano attestati in maggioranza gli esperti di economia. Tria arrivava addirittura a dichiarare che aveva giurato fedeltà alla Repubblica, quindi non avrebbe mai avallato scelte che potessero essere rovinose per la nazione; e ricordando che anche gli altri ministri avevano pronunciato il medesimo giuramento, sembrava volerli richiamare alle loro responsabilità, a dispetto delle demagogiche promesse elettorali con cui avevano fatto il pieno di voti. Sembrava un eroe pronto alla sconfitta pur di non rinnegare i propri ideali. Grazie a lui, forse non tutto era perduto.

Invece, colpo di fulmine! Di punto in bianco Tria smette di cercare un compromesso che concili le ragioni del rigore con quelle della spesa, e dice di accettare il deficit al 2,4%, contro cui finora ha così tenacemente combattuto. A questo punto è lui a far la figura non del matto, ma dello scemo. A che pro? Perché screditarsi a tal punto? Le giustificazioni che porta aggravano il giudizio negativo sul suo sconcertante comportamento. Dice che la manovra espansiva potrà dare un impulso allo sviluppo, alleggerendo il rapporto debito/PIL e rimettendo così in sesto i conti del bilancio pubblico, mentre l’occupazione aumenterà e si troveranno le risorse per le riforme promesse: il reddito di cittadinanza, la “flat tax” e il superamento della Legge Fornero. Tutto il contrario di quello che aveva ripetuto fino a ieri. Se un prestigioso docente universitario voleva concludere in modo vergognoso la sua carriera non poteva far di peggio. E tutto per che cosa? Per salvare la sua poltrona di ministro? La salverà anche, ma ha perduto la faccia per sempre.

Ma non è neppure sicuro che la salverà. I suoi colleghi di governo sanno benissimo che ha accettato la richiesta di una politica economica fortemente espansiva con grande riluttanza, e che forse si darà da fare perché in Parlamento si introducano sostanziose correzioni. In questo senso premono sia Mattarella sia gli alti burocrati degli uffici finanziari pubblici, che hanno mal digerito le volgari critiche lanciate al loro indirizzo da esponenti di spicco del governo. Soprattutto i Cinquestelle sarebbero ben lieti di costringere Tria alle dimissioni, per mettere al suo posto Savona.
Ecco allora che chi ha lavorato dietro le quinte celebrerebbe il suo trionfo. La sua politica economica probabilmente porterebbe al disastro l’Italia, ma potrebbe anche scardinare una volta per tutte il sistema dell’Euro. Se così fosse, il suo desiderio (confessato a metà, ma indubitabile) sarebbe coronato. Ritorno alla sovranità monetaria. Per molti è un bel sogno, invece dovrebbe essere un incubo. La moneta ai popoli? No, alle vecchie banche centrali, magari rese del tutto succubi delle politiche governative. Debito pubblico gonfiato da emissione di titoli che le autorità monetarie sono costrette a comperare. Svalutazioni competitive che sul momento danno un po’ di ossigeno al sistema produttivo, ma alla fine si rivelano controproducenti e generano inflazione.
Senza dubbio sarebbe un cambiamento. Un cambiamento verso il passato. Un passato che torna però in caricatura mostruosa. Chi lo auspica forse non è scemo, ma sicuramente è pazzo. Anche se c’è del metodo in questa follia.

C’è solo da sperare che anche questa volta Mattarella abbia la forza di tener lontano Savona dal Ministero dell’Economia.

Giovanni Tenorio

Libertino

5 pensieri riguardo “C’è del metodo in questa follia

  • Alessandro Colla

    Come da invito espresso con missiva elettronica dello scorso sabato pomeriggio, provo a inviare un commento.
    Mi sembra una disputa tra keynesiani. Un decimale in più o in meno ma sempre spesa in deficit. Nessuno di loro che auspichi il pareggio di bilancio per risalire di almeno un… quintino in Sella. Quella del giuramento come ministro, poi, è una sparata di intolleranza. Se non produco il bene della nazione vengo meno al giuramento. Quindi, per i parlamentari delle opposizioni, tutti i ministri sarebbero automaticamente spergiuri! Mi concedo una licenza pseudosatirica e di bassa lega: chissà se in Jaroslaw Kaczynskj c’è del metodo? In fondo lui governa la moglie di Polonio.

    • Dino Sgura

      Ciao Alessandro, condivido. Una lotta tra imbecilli, come i loro oppositori che adesso fanno di tutto per apparire come i virtuosi che organizzano manifestazioni di piazza “contro chi vuole ipotecare il futuro delle giovani generazioni”, come se loro durante i loro governi avessero attuato chissà quali misure per ridurre il debito, se non alzare le tasse e “giocare alle tre carte” con il fisco tra carico sulle persone fisiche e giuridiche e regioni, comuni e stato centrale. Questi pagliacci al governo credono seriamente che l’Italia sia troppo grande per fallire, come se la crisi del 2007 non ci fosse mai stata; diversamente nel nord europa, dicono che l’Italia sia troppo grande per essere salvata….. vedremo chi la spunterà.

  • Alessandro Colla

    @Dino. Il problema è che quelli di prima, il futuro delle giovani generazioni lo hanno già ipotecato. Con saldo negativo, ovviamente. I Cinque Squallidi peggioreranno le cose sicuramente, Savona o non Savona; perché anche un altro al posto suo, se accetta di governare con questa compagine e su basi “rousseauiane”, non può che certificare l’ennesimo fallimento economico dell’assistenzialismo. Con il permesso di Don Giovanni e di Leporello, approfitto dell’intervento per vedere se è possibile conoscerci di persona: domenica 28 ottobre dovrei essere a Bologna, salvo eventuale interruzione del programma, per la presentazione de “Il Conte di Montecrypto” di Leonardo Facco. Speriamo possa essere la buona occasione.

    • LOL
      Tra lui e i suoi cloni devono avere fatto a cazzotti per risponderti.

      @@@###§§§ (autocensura)

    • Mi scuso per la risposta tardiva.

      Nonostante il commento ironico di Max (qui sotto: niente di male, anzi, spiace non leggere i suoi interventi ultimamente), il motivo per cui non hai ricevuto risposto è solo tecnico.
      I commenti, per limitare gli attacchi spam, si “chiudono” automaticamente dopo alcuni giorni (non ricordo esattamente quanti) e a quel punto solo Leporello può intervenire (avendo un account specifico). Capita spesso infatti che non sia il padrone di casa (io) ma il servo (Leporello) ad avere le chiavi della cantina e del magazzino: per dare questa risposta ho dovuto chiedere a lui di aprirmi la porta.

      Nel merito: non siamo stati presenti all’incontro per la presentazione del libro di Leonardo Facco e ce ne dispiace. Il motivo è solamente legato a impegni personali: l’iniziativa di Facco è sicuramente degna di attenzione e rispetto. Molto probabilmente gli dedicheremo una breve recensione (rispettosa ma onesta).

      Sulla possibilità di conoscerci: potrebbe succedere in futuro, non lo escludo, e sarebbe sicuramente piacevole.

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