Don Giovanni

Quote rosa

Care amiche… No, non stupitevi, questa volta mi rivolgo in particolare a voi.
Non per questo le mie parole saranno precluse ai maschietti, anzi avrei proprio piacere che le ascoltassero anche loro con l’attenzione che meritano. Allo stesso modo, non crediate che quando apro i miei discorsi dicendo “Cari amici”, io voglia escludervi dal mio orizzonte. Tutt’al contrario,vi tengo ben presenti, e più di ogni altro essere senziente e raziocinante (non dimentichiamoci che esistono anche omosessuali, lesbiche, transessuali, ecc. ecc; i sessi sono diventati un’infinità, con una straordinaria varietà di sfumature). Come potrei dimenticarvi? Le donne mi sono più necessarie dell’aria che spiro, tutta la mia carriera di libertino lo dimostra. Allora, perché di solito dico soltanto “Cari amici”? Perché non voglio piegarmi alla stupidità del politicamente corretto, di cui l’uso non sessista della lingua è un risibile sottoprodotto. Certe sedicenti femministe vanno cianciando che a usare il maschile per comprendere maschi e femmine, come la norma grammaticale ha sempre prescritto, di fatto si cancella l’altra metà del cielo. Vogliamo scherzare? Conferire alle convenzioni linguistiche un potere così irresistibile significa coltivare una concezione magica della lingua, attribuire alle parole una potenza arcana, capace di incidere sulla realtà e trasformarla a proprio arbitrio. Pensiero da primitivi! Non è stata la lingua a discriminare le donne e non sarà la lingua ad emanciparle. Fatti, non parole! Non è stata la lingua a dimostrare che la Terra è al centro dell’Universo, anche se si diceva che il Sole sorge e il Sole tramonta. E si continua a dirlo, senza far torto ad Aristarco di Samo, a Copernico e a Galileo, benché i fatti abbiano da tempo spodestato la Terra e collocato sul suo trono il Sole. La lingua va per conto suo, è bene che sia così. E confondere la differenza di genere grammaticale con la differenza sessuale è un pensare da bischeri, per usare, una volta tanto, al posto del milanese “pirla”, un termine aguzzo del bel parlar toscano.
Care amiche, se fossi in voi non sarei andato a votare per il rinnovamento delle amministrazioni comunali. E non solo per la solita ragione che non è il caso di ripetere: partecipare alle elezioni significa donare un crisma di legittimità a un sistema che, per l’immoralità dei suoi fondamenti, legittimo non potrà mai diventare. Per voi c’è una ragione in più: la norma che obbliga l’elettore (il politicamente corretto vorrebbe che io dicessi “l’elettrice/elettore), nel caso voglia indicare sulla scheda fino a due preferenze, a scegliere uno dei candidati di sesso femminile. Non due maschietti, quindi, ma un maschietto e una femminuccia. E se fra le femminucce ci sono soltanto ochette? Si scelga la meno ochetta di tutte. Intendiamoci bene: può capitare, anzi probabilmente capita quasi sempre, che anche i candidati maschi siano somari. Non ho ben capito se in questo caso si possano indicare due femminucce, quando siano persone intelligenti e capaci. Pasticci da legulei, non intendo approfondire la questione. Voglio solo prender nota, con rammarico, che con questi espedienti si ripropone l’idea delle quote rosa: che è la più grande offesa che si possa fare alle donne. Se io fossi donna le avverserei con tutte le mie forze. Le vere, grandi donne le hanno sempre avversate. Ve la immaginate una Margareth Thatcher fautrice delle quote rosa? O una Golda Meir? Possono forse piacere a una donnetta come Hillary Rodham Clinton. Mi pare che, nel suo piccolo, anche Emma Bonino non le abbia mai amate. Pensate alle grandi donne che nel passato hanno fatto onore al loro sesso, rendendosi famose e raggiungendo vertici di prestigio impensabili in un in un contesto atrocemente discriminatorio: Saffo, una delle voci poetiche più luminose di tutti i tempi, Ipazia, genio della matematica, uccisa dal fanatismo anticristiano dei sedicenti cristiani, Artemisia Gentileschi, raffinata pittrice rimasta vittima di uno stupro, Gaetana Agnesi, altro genio matematico (e poi qualcuno ha il coraggio di dire che le donne non sono portate per la scienza dei numeri!), Clara Wieck Schumann (le cui composizioni non sono da meno di quelle del ben più celebre marito), che fece perdere la testa a Johannes Brahms, ma a quanto pare non gliela diede, Marta Abba, attrice meravigliosa in tutti i sensi, che a sua volta fece perdere la tesata a Luigi Pirandello, ma anche lei non gliela diede… Voi pensate che tutte queste grandi donne sarebbero state favorevoli alle quote rosa? Manco per sogno! Loro erano arrivate alla fama grazie ai propri meriti, non alle spintarelle! Per quale motivo aiutare le mezze calzette? Battersi contro la discriminazione, che impedisce l’emergere di molti talenti impoverendo l’umanità, è opera sacrosanta, discriminare alla rovescia è operazione da bischeri. E credo sia anche in contrasto con la costituzione più bela del mondo. Forse la Boldrina mi smentirà, sfoderando la sua alta dottrina, e anche la Corte Costituzionale saprà dimostrare, a tempo e luogo, che il mio è un ragionamento da somaro. Ma io me ne faccio un baffo dell’una e dell’altra. E anche della costituzione più bella del mondo.
Guardate i bambini piccoli. Se stanno facendo un lavoro che li mette in difficoltà e voi tentate di aiutarli, sono capaci di scacciarvi. Vogliono fare da soli! Altrimenti è come ammettere che non sono grandi, che sono incapaci, che hanno bisogno dell’appoggio altrui. Ecco, le donne dovrebbero fare lo stesso davanti alla profferta delle quote rosa. Accettarle significa ammettere la propria inferiorità. Anziché strumento di emancipazione, sono un marchio che inchioda la donna al suo stato (esecrabile) di inferiorità cui è stata condannata per secoli. Da libertino, non posso accettare che una legge dello Stato possa imporre a un datore di lavoro di assumere un dipendente indesiderato. Posso però capire che un liberale classico accetti di sanzionare per legge chi rifiuti di assumere al suo servizio una persona per motivi di sesso, di religione, di ideologia politica. Anche in questo caso mi pare che la costituzione più bella del mondo mi dia ragione (e qui né la Boldrina né la Corte avrebbero nulla da ridire). Ancora negli anni Cinquanta del secolo scorso una donna che aspirava a un posto in banca poteva sentirsi dire. “Lei ha capacità di prim’ordine, sarebbe un’ottima impiegata, potrebbe far carriera, ma purtroppo è donna, quindi non la possiamo assumere”. Erano i tempi in cui un imprenditore bigotto poteva licenziare un operaio perché aveva il vizio di bestemmiare. Due cose deplorevoli. Per fortuna la mentalità si è evoluta. Ma le quote rosa potrebbero farla regredire, promuovendo l’avanzamento di persone che non lo meritano e suscitando risentimenti che turbano la pace sociale: “Quell’oca mi è passata davanti solo perché è donna!”
Questo discorso non vale solo per le quote rosa, ma per ogni forma di discriminazione alla rovescia. Non so se sia ancora così, ma so per certo che fino a qualche tempo fa in Alto Adige, sulla base della proporzionale etnica, se in un ospedale c’erano due anestesisti, uno doveva essere di lingua italiana e l’altro di lingua tedesca. E se non c’erano candidati di lingua tedesca? Piuttosto che assumerne un altro di lingua italiana, si doveva rimanere con un anestesista solo. Il che sarà anche stato un puntello all’identità etnico-linguistica dei sudtirolesi, ma certamente anche un danno all’efficienza dell’ospedale e all’assistenza sanitaria di tutta la popolazione, senza distinzione fra italofoni e tedescofoni.
Sono questi i bei frutti delle politiche discriminatorie fatte a fin di bene, per proteggere i più deboli, o le minoranze. Il risultato è spesso deleterio. Succede come per il protezionismo doganale. Anche in questo caso, sulla scia di Stuart Mill, qualche liberale classico ammette che si possano introdurre tariffe doganali a protezione di industrie nascenti che, se abbandonate alla libera concorrenza internazionale, sarebbero schiacciate da colossi stranieri ormai solidi, grazie a economie di scala precluse ai principianti. In linea teorica, nulla da eccepire. Ma in pratica non è quasi mai così. Chi beneficia dei dazi, si adagia sui privilegi, non è indotto a migliorare la propria efficienza, pretende che i benefici ricevuti dallo Stato continuino all’infinito, prendendo come scuse la propria persistente debolezza, l’infelice congiuntura economica, la concorrenza sleale, il “dumping” e tante altre balle del genere. Quando poi, per un motivo o per l’altro, i dazi devono essere abrogati, è la catastrofe: le imprese fino a quel momento protette sono rimaste fragili, e inevitabilmente soccombono davanti all’agguerrita concorrenza straniera. E’ successo così in Italia con la fine dell’Accordo Multifibre che proteggeva l’industria tessile. Una bella botta, ad esempio, per l’industria serica comense, rigogliosa nei primi decenni del secondo dopoguerra, e ora boccheggiante.
Ecco, con le quote rosa può capitare che anche le donne facciano la fine dell’industria serica comense. Perché darsi tanto da fare se per legge si può passar davanti ai maschietti, anche quando sono più bravi? Con la scusa che le pratiche discriminatorie maschiliste sono ancora in agguato, si cercherà di prolungare l’artificio delle quote all’infinito, proprio come di solito capita con i dazi doganali. Quando poi le quote, per un motivo o per l’altro, verranno a cadere (i privilegi non possono durare in eterno) saranno ancora i maschietti ad avere il sopravvento: perché, per far fronte alla discriminazione alla rovescia, avranno dovuto aguzzare l’ingegno e dare il meglio di sé, studiando di più, impegnandosi fino all’ultimo, con la stessa tenacia che un tempo fu di Saffo, Ipazia, Artemisia Gentileschi, Gaetana Agnesi…
Care amiche, ascoltate uno che vi ama davvero: rigettate il politicamente corretto, sputate sulle quote rosa. Non aspettatevi nulla dallo Stato. Convertitevi all’anarchismo libertino. E’ aperto a TUTTE QUANTE, viva la libertà!

Giovanni Tenorio

Libertino

Un pensiero su “Quote rosa

  • Alessandro Colla

    Se al plurare si usa il maschile per comprendere maschi e femmine si esclude la popolazione femminile. Bene: per rimediare? L’unica soluzione, salvo inventare forme forzatamente neutre ed estranee alla lingua formatasi naturalmente, è utilizzare il sistema contrario. Quindi usare il femminile per comprendere tutti e due. Ma così non si esclude forse la popolazione maschile?
    Era senz’altro ironico il riferimento di don Giovanni alla titolare del vertice (o della “verticia”?) della Camera dei Deputati. Ma se la sua è alta dottrina, io sono un atleta. Credo voglia essere chiamata “Presidenta”. Allora una persona “di riferimento” è un “referento” o una “referenta” (e non so cosa in caso di transessualità). Se uno sta dove deve stare, sarà “presento” o “presenta” e se alla guida della vettura di servizio dell’onorevole Boldrini c’è un uomo, quest’ultimo ha diritto a voler essere chiamato “autisto”. Le neoelette a Roma e Torino, come vanno chiamate al plurale? Sindache o sindace? Lo chiedo perché al maschile l’acca non c’è. L’alta dottrina dei componenti la nostra classe politica è pari alle loro conoscenze sintattico – grammaticali. Devono aver studiato all’Università di Montenero di Bisaccia e perfezionatisi a quella di Castellanza. E’ l’Italia dei Dolori.

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