Don Giovanni

Pagare tutti per pagare di più.

Cari amici, pare proprio che noi esseri umani siamo portati ad obbedire alle cosiddette autorità per una sorta di impulso masochistico, arrivando a compiere azioni che non ci sogneremmo mai di intraprendere per libera scelta, in quanto ripugnanti al nostro senso morale o ai nostri orientamenti ideali, solo perché ci sono imposte da un soggetto che si propone da sé come potere “legittimo”. D’altra parte lo stesso termine “autorità”, nel suo significato originario, è indice significativo di questo subdolo meccanismo psicologico. “Augere” in latino significa aumentare, innalzare; l'”auctoritas” è qualcosa che sta in alto per definizione; chi è augusto è augusto, punto e basta: gli altri stanno più un basso e per definizione obbediscono. I Romani antichi aborrivano il titolo di re, tant’è vero che Cesare ci rimise la pelle, nelle famose Idi di Marzo del 44 a.C.,per aver lasciato trapelare l’idea di volersene fregiare, almeno nelle province (a Roma si accontentava di essere “dittatore perpetuo”). Invece il titolo di “Augusto” per il suo figlio adottivo Ottaviano, divenuto padrone dell’impero, fu non solo accettato da tutti senza fare una piega, ma addirittura conferito dal Senato, geloso custode della libertà repubblicana. Inutile ripetere il solito esempio dei tedeschi che obbedirono ai più infami ordini di Hitler per spirito di obbedienza. L’esser tedeschi non conta nulla, conta l’esser membri della repellente razza umana. Rimaniamo nel Bel Paese. Fra le glorie risorgimentali fino all’altro ieri si annoverava un delinquente come l’ufficiale dei bersaglieri Pier Eleonoro Negri, quello che, nella cosiddetta lotta contro il brigantaggio, mise a ferro e fuoco il borgo di Pontelandolfo, facendo strage di civili, donne e bambini compresi, in obbedienza agli ordini di quell’altro delinquente suo superiore, il generale Enrico Cialdini. Fino a qualche tempo fa gli erano dedicate vie e piazze. Ora ci si è decisi a cancellarne le intitolazioni, sostituendole con altre più decenti. Meglio tardi che mai.

Anche l’impulso a pagare le tasse, che anima tanti  cittadini virtuosi, è figlio del medesimo meccanismo perverso. Nessuno – non solo per interesse, ma anche per un’istanza morale – si sognerebbe di sprecare il proprio denaro come si vede fare da parte di chi governa, indipendentemente dal colore politico. Eppure, anche se il denaro sottratto ai contribuenti viene in gran parte gettato via, i cittadini virtuosi sostengono che è giusto pagare le tasse fino all’ultimo centesimo, in omaggio alla legalità. Non si capisce bene perché quel che ci ripugna da privati ci debba sembrar doveroso da sudditi.  E’ sconveniente e immorale nell’un caso? Deve esser tale anche nell’altro, se non si vuol offendere la logica. Si è, al contrario, tanto ottusi da tentar di sanare la contraddizione (“dissonanza cognitiva”, direbbero gli psicologi) con le più assurde giustificazioni. La più tipica: “Pagare tutti per pagare meno”, che è anche empiricamente falsa, perché è dimostrato che, in ogni sistema, qual più, qual meno, un aumento del gettito fiscale genera nuove spese, non riduzione delle aliquote. Altro esempio: che ne direste voi se il macellaio sotto casa vi mandasse abitualmente tagli di carne da voi non ordinati, pretendendo di essere pagato anche se li rimandate indietro, a meno che non gli dichiarate, per scrittura privata munita di sanzioni in caso di falsità, di essere vegetariani? Gli dareste del pazzo furioso. Per il canone RAI fra poche settimane l’Agenzia delle Entrate farà proprio qualcosa di simile: l’infame balzello va pagato, in quanto il servizio RAI è offerto a tutti, anche a chi non ne vuol sapere dell’informazione e della cultura del Principe; a meno che l’interessato non dichiari, sotto la propria responsabilità penale, di non possedere un apparecchio abilitato alla ricezione dei programmi radiotelevisivi. Anche qui il cittadino virtuoso esclama :”Bene, vedete che paghiamo meno di prima, circa 10 euro, perché paghiamo tutti? E possiamo anche sperare che, con l’aumento degli incassi, la RAI migliorerà la qualità dei programmi”. Povero illuso! Aumenteranno le spese, si gonfieranno ulteriormente gli organici, migliorerà la quantità (sulla qualità è tutto da discutere) di tette e culi, in concorrenza con le emittenti generaliste private. Poi il canone aumenterà di nuovo, per adeguarlo a quella “inflazione”, che, come lo spettro di Banco in “Macbeth”, si vede e non si vede, c’è e non c’è secondo il comodo di lor signori. Vogliamo scommettere? Dispiace vedere che anche un’associazione seria e per molti versi encomiabile come l’Istituto Bruno Leoni sembra credere a una fanfaluca del genere.
Il meccanismo fiscale più canagliesco (dopo l’8 per mille a Santa Romana Chiesa o alle altre confessioni religiose) è quello del 5% per mille da devolvere ad associazioni benefiche o a enti culturali. Quanti di coloro che elogiano tale perversione sarebbero disposti a impegnare una determinata cifra a sostegno della beneficenza o della cultura se non fosse offerta l’apparente libertà di scegliere a chi assegnare una parte dell’imponibile tributario, in ogni caso dovuta, corrispondente al medesimo ammontare? Pochi, c’è da scommettere. Molti invece così giustificano la truffa:”Lo Stato mi dà la facoltà di scegliere con chi essere caritatevole, togliendomi addirittura l’impiccio di attivarmi di persona per mettermi in comunicazione con le associazioni e gli enti che voglio beneficare. Quale meravigliosa delicatezza!” Non capiscono, i poverini, come lo Stato li obblighi a un atto di beneficenza che a loro non  passerebbe neppure per l’anticamera del cervello. Chi vuol essere onesto fino in fondo con se stesso, si rifiuti di compilare il modulo del 5 per mille; e se è vero che, in ogni caso, avrebbe devoluto quel denaro, per scelta autonoma, a fini di beneficenza o di mecenatismo,  stralci dall’imponibile la quota del 5 per mille inviandola direttamente, per proprio conto, all’ente o all’associazione che preferisce, a titolo di donazione privata, allegandone la documentazione alla dichiarazione dei redditi. Se lo Stato gli dà dell’evasore, lui può replicare che lo Stato è un delinquente.
Lo storico greco Diodoro Siculo, nella sua “Biblioteca storica”, racconta una singolare norma consuetudinaria vigente, a suo dire, in Egitto. Per contenere i danni del reato di furto, è stabilito che ogni ladro debba iscriversi a un registro pubblico, presso un ufficio amministrato dal Capo dei Ladri. Ogni volta che si appropria una refurtiva, deve consegnarla a tale ufficio. Il derubato, a sua volta, potrà rivolgersi al medesimo indirizzo, individuare i beni che gli sono stati sottratti e recuperarli integralmente, versando al ladro il controvalore della quarta parte.* Bizzarro, ma lineare e, tutto sommato, onesto. Si paga una tangente e si salvano i propri beni. Pensate invece a quel che fa il gran ladrone che è lo Stato moderno. Confisca ai sudditi ben più della metà dei loro redditi, e poi si finge generoso facendo  apparire che possono disporre liberamente di una parte della refurtiva devolvendola in beneficenza. Quale sconcia spudoratezza! Almeno nell’antico Egitto i ladri, per quanto legittimati a compiere il loro turpe lavoro, continuavano a chiamarsi ladri, e i loro capo si chiamava Capo dei Ladri. Ora invece lo Stato, pur facendo lo stesso turpe mestiere, si fa appellare autorità legittima, che agisce per il bene comune. Ma è come pretendere che una puttana smetta di esser puttana per il solo fatto di farsi chiamare Virginia. DON GIOVANNI TENORIO
* Diodoro Siculo,Biblioteca storica, I,8

Giovanni Tenorio

Libertino

2 pensieri riguardo “Pagare tutti per pagare di più.

  • Alessandro Colla

    Il guaio è che molti non si sentono sudditi. Sono convinti di essere cittadini liberi e che la democrazia coincida con il loro diritto a essere comproprietari del territorio. Smetteranno di avere questa convinzione quando verrà abolita l’unica cosa più pericolosa dello stato: la scuola di stato.

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