Don Giovanni

O lente lente currite noctis equi!

Cari amici, il Presidente del Consiglio (anzi il Premier, per dirla col termine improprio oggi di moda) Matteo Renzi è un tipo tosto. Non si fa intimidire da nulla e da nessuno. Pancia in dentro e petto in fuori, all’occhiello un distintivo non si sa bene di che (boy scout? Azione Cattolica?), quando riceve i capi di stato stranieri o va a Bruxelles a cantargliene quattro a quei prepotentoni della UE che vorrebbero ridurre l’Italia alla fame negandole il diritto di scialare e far debiti, quando si incontra con la Merkel per spifferarle in faccia che lui neanche si sogna di regalare soldi alla Turchia per tenerla buona e indurla a non lasciar scappar di qua i rifugiati, anziché portare con sé un interprete, come farebbero tutti gli statisti da strapazzo, sfoggia il suo bell’ inglese imparato nelle scuole pubbliche e perfezionato con i corsi in videocassetta. E’ un inglese molto originale, peccato sia più che approssimativo. Qualcuno direbbe maccheronico, se non fosse un insulto alle “Maccheronee” del grande Merlin Cocai, alias Teofilo Folengo, che esibiva, per burla, un latino strampalato nel lessico, ma correttissimo nella grammatica e nella sintassi. Eppure il ragazzotto di Palazzo Chigi ha la fortuna di parlare, come idioma materno, la lingua più bella del mondo, quella che tutti gli invidiano, quella in cui il mio papà Mozart esaltò le mie gesta sui versi dell’altro mio papà Da Ponte, quella che, secondo Thomas Mann si parla in Paradiso. Non farebbe più bella figura a parlare quella? Il suo inglese è peggio del latino del papa (di Francesco , dicono ormai tutti, e mi chiedo come si permettano tanta confidenza con il rappresentante di Cristo in Terra. Lo facciano col loro capufficio, e stiano a vedere quel che succede).
Forse è per un complesso di inferiorità che Renzi persevera nell’esibire una parlata di Albione piena di solecismi, che costringe i suoi augusti interlocutori di madrelingua anglosassone a mordersi la lingua (intendo qui la lingua in senso anatomico) per non sganasciarsi dalle risa. Ed è forse per non vedere, un domani, i suoi concittadini oggi ancor infanti o adolescenti parlare un inglese addirittura peggio del suo, e mal arrabattarsi, in generale, con le lingue straniere, che insiste tanto con la sua “buona scuola”, dove le lingue straniere dovrebbero occupare un posto privilegiato. La sua ministra dell’istruzione lo supera addirittura  in solerzia. Pare che nel prossimo concorso per l’assunzione di nuovii insegnanti i candidati debbano anche sostenere una prova in cui dimostrino di saper insegnare la loro materia in una lingua straniera. Così gli insegnanti di Latino e Greco dovranno svolgere una lezione su Demostene o Virgilio in spagnolo o in francese o magari proprio in inglese. Permettetemi di sganasciarmi dalle risa, senza mordermi la lingua (ancora in senso anatomico). E’ didatticamente corretto, e senza dubbio molto produttivo, insegnare francese in francese , spagnolo in spagnolo, inglese in inglese, fin dalla prima lezione, così che gli alunni possano acquisire presto l’abilità nella lingua parlata e scritta di tutti i giorni e, gradualmente, la capacità di intendere testi sempre più complessi, non solo letterari, ma anche d’altro genere, ad esempio quelli scientifici a livello divulgativo. La stessa cosa dovrebbe essere per le lingue classiche, se si ritiene opportuno continuarne l’insegnamento, tanto più formativo sul piano umano quanto meno utile su quello pratico, per trovare un posto di lavoro o blaterare di “quantitative easing”. Non ridete, è proprio così. L’insegnante di Latino e Greco dovrebbe parlare in latino e in greco fin dalla prima lezione. Certo, nessuno oggi è in grado di farlo, né si può pretendere che un professore sfigato abbia la mente e la cultura d’un Giacomo Leopardi. Eppure una volta, fino almeno a metà Ottocento, le lingue classiche si imparavano così, con una sorta di “metodo natura” integrato da un severo studio teorico: che però non era un “prius”, veniva a poco a poco introdotto a partire dal vivo della lingua. Poi arrivò la grande (e benemerita, sul piano scientifico) glottologia tedesca, che per disgrazia ebbe ricadute sulla metodologia didattica: da allora il “prius” sono le declinazioni, le coniugazioni, la grammatica,  la sintassi. La traduzione, con tanto di vocabolario, è fin dall’inizio l’obiettivo principale, mentre prima dovrebbe venire la comprensione, e la traduzone dovrebbe essere l’ultimo traguardo, il più delicato e difficile. Un disastro, amici cari! A Napoli c’è una benemerita istituzione privata, con tanto di casa editrice, l'”Academia Vivarium Novum” , che si batte con intelligenza e passione per introdurre nelle scuole un metodo d’insegnamento delle lingue classiche simile a quello che si usa per le lingue moderne, e che -s’è detto sopra-, si usava un tempo ( ne sono una bella testimonianza, come supporto didattico, i “Colloquia familiaria” di Erasmo da Rotterdam). Generosa missione, ma temo votata al fallimento. Voi pensate che il Renzino e la sua ministra siano edotti di questi problemi? Manco per idea! Loro pensano che con le lezioni in inglese si risolverà tutto. Tempo qualche decennio e gli studenti italici usciranno dalle scuole superiori che ancora lo insegnano parlando il latino come lo leggono nei paesi anglosassoni anche persone di buona cultura. Circolava una volta nella scuole, come supporto didattico allo studio della letteratura inglese, un disco in vinile (chissà se è stato riversato in CD) in cui un bravissimo attore della Royal Shakespeare Company recitava da par suo il grandioso finale del “Faust” di Christopher Marlowe, quello dove il protagonista, in base a un patto scellerato, alla fine della sua vita è costretto a cedere l’anima a Mefistofele. La mezzanotte si avvicina, Faust si dispera, vorrebbe che le ore (poeticamente, i “cavalli della notte”) scorressero il più possibile lente. Pronuncia lo scongiuro in latino: “O lente lente currite noctis equi!”. Sapete come pronunciava quel grande attore.? Così: “O lenci, lenci kiurìti nouctis iquài “!!! Ecco, fra non molto i nostri diplomati e laureati pronunceranno il latino così. In confronto, il latino stravagante che Francesco esibisce all “Angelus” fa la figura della più limpida lingua di Roma antica, sulle labbra di Cesare o di Cicerone. Si salvi chi può.

Giovanni Tenorio

Libertino