Don GiovanniLa ribellione di Antigone

Io non pago!

Che cosa propone Libertino se lo sciagurato proposito del boy scout al governo, parto ignominioso delle sacrestie cattoliche, diventasse legge? Un atto di disobbedienza civile. Si paghi, com’è giusto, l’importo relativo ai consumi elettrici generali, defalcandone la frazione corrispondente al canone. Il pericolo di vedersi sospendere il sevizio di erogazione non sussiste, in quanto non  ricorre un’inadempienza degli obblighi contrattuali, ma solo una violazione di obblighi fiscali, il cui perseguimento è a carico degli enti pubblici competenti. Se saranno in tanti a farlo, sarà difficile un intervento repressivo senza sprofondare in una crisi devastante un apparato giudiziario già in affanno.
Ci siamo, finalmente, cari amici! A meno che qualche benedetto imprevisto non mandi ancora una volta a gambe all’aria l’insano proposito. Avete sentito? E’ fatta, per ovviare alla diffusa evasione del canone radiotelevisivo, l’infame balzello sarà pagato insieme con le bollette dei consumi elettrici. Benone! – esclamano gli adoratori di Sua Maestà  lo Stato, il cui cervello è stato irrimediabilmente guastato da uno stillicidio propagandistico iniziato fin dai banchi della scuola elementare. Le tasse si pagano, non pagarle è un furto! Pagare tutti per pagare meno! Al contrario, se solo ci si fermasse un momento a riflettere, non si potrebbe evitare di concepire propositi eversivi. Non violenti, sia chiaro! Possibile che nel Bel Paese si continui ad imitare il peggio di quel che si fa all’estero? Uno dei modelli indiscussi rimane la Francia. Eh, sì, i francesi, gli amati-odiati cugini! Lì sì che lo Stato funziona! Si è imitato – malamente –  quel modello fin dai primi anni dell’unità d’Italia, quando si copiò pari pari il sistema prefettizio risalente a Napoleone. Col bel risultato che da allora nessuno più è riuscito a liberarsi dai prefetti. Il Fascismo li ereditò, e gli fecero comodo; la Repubblica non seppe farne a meno. “Via il prefetto” – proclamò Luigi Einaudi in un suo articolo. Ma i prefetto è rimasto, a dispetto delle autonomie regionali, faticosamente e malamente istituite, e di tutto quel che n’è seguito. Arriva un leghista al governo, come ministro dell’Interno? Dimentica ogni dottrina federalista e separatista e, al primo problema d’ordine pubblico che gli si presenta, ricorre ai prefetti. Viva la France! In Francia il canone televisivo si paga attraverso la fatturazione dei consumi elettrici? Così s’ha da fare, e così si farà.
Ebbene, tutta questa bieca faccenda è una dimostrazione  inoppugnabile dell’immoralità dello Stato. Sì, permettetemi di usare questo termine così inconsueto sulle labbra di un libertino, che per di più si vanta di presiedere un sito di dubbia moralità. Il canone radiofonico, poi radiotelevisivo, nasce nel 1938 come tassa, ovvero come corrispettivo di un servizio. Ha una sua logica. La tecnologia di allora non consente un uso delle trasmissioni via etere che non sia monopolistico. Lo Stato se ne assume la gestione:chi vuol beneficiare del servizio, lo paga, come paga per vedere un film o acquistare un giornale. Chi possiede uno o più apparecchi radiotelevisivi, evidentemente li possiede per usarli, non come soprammobili. Quindi paghi il canone. Con il progresso tecnologico, però, in pochi decenni la situazione cambia radicalmente. L’etere cessa di essere un monopolio naturale, si possono attivare decine e decine di canali, entra in scena la concorrenza delle emittenti private, che offrono un servizio identico a quello pubblico finanziandosi unicamente con la pubblicità. Il canone, se impostato sui vecchi principi giuridici, non ha più senso. A meno che non si interpreti la legge in senso “evolutivo”:  nel testo si parla di possesso di apparecchi radiotelevisivi; quindi, basta possederne uno, e si paga, anche se, per scelta, si intende usufruire solo di servizi offerti dalle emittenti private cosiddette “generaliste”. A questo modo, la tassa diventa un’imposta patrimoniale. Non c’è bisogno di una nuova legge, basta una sentenza compiacente della Corte Costituzionale, a dispetto dell’articolo 23 della costituzione più bella del mondo, che recita: “Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge”. E ora, terzo passo: si paga in base ai consumi elettrici. Il canone diventa un’imposta sui consumi elettrici, quindi può legittimamente essere riscossa attraverso la fatturazione posta a carico delle società erogatrici del servizio. Naturalmente, pagherà anche chi in casa non dispone di alcun apparecchio radiotelevisivo. Sarà una sorta di accisa in più, e visto che sulle accise si paga l’IVA, si pagherà l’IVA anche sul canone. Così l’esborso non sarà di 100 euro, come si promette, ma di 122, o qualcosa di simile. Se questa non è pirateria, ditemi voi che cos’è! I beoti del “pagare tutti per pagare meno” sono serviti. Io non posso che ripetere quel che dissi del Commendatore al mio servo Leporello, che mi rampognava per averlo ucciso: “L’ha voluto? Suo danno!”
Che cosa propone Libertino se lo sciagurato proposito del boy scout al governo, parto ignominioso delle sacrestie cattoliche, diventasse legge? Un atto di disobbedienza civile. Si paghi, com’è giusto, l’importo relativo ai consumi elettrici generali, defalcandone la frazione corrispondente al canone. Il pericolo di vedersi sospendere il sevizio di erogazione non sussiste, in quanto non  ricorre un’inadempienza degli obblighi contrattuali, ma solo una violazione di obblighi fiscali, il cui perseguimento è a carico degli enti pubblici competenti. Se saranno in tanti a farlo, sarà difficile un intervento repressivo senza sprofondare in una crisi devastante un apparato giudiziario già in affanno.  Chi mugugna ma poi paga, per evitare guai, accetta ancora una volta la schiavitù. La schiavitù è sempre volontaria, diceva Etienne de la Boetie (citato a anche in quel saggio di Tolstoj di cui abbiamo parlato qualche tempo fa). Il libertino, a chi gli impone un balzello così iniquo, risponde come quel bizzarro personaggio di Herman Melville, lo scrivano Bartleby: “Grazie, preferisco di no”.

Giovanni Tenorio

Libertino