Don Giovanni

Le speranze d’Italia

Qualcuno ricorda lo scrittore Giovanni Mosca?

Appartiene a un passato che sembra lontano  secoli, e invece risale soltanto all’altro ieri. Ebbe molto successo il suo libro autobiografico “Ricordi di scuola”. Fu direttore del “Corriere dei Piccoli” negli anni Cinquanta dello scorso secolo. Era anche un sagace umorista e un vignettista geniale. Ricordo una sua vignetta in cui era rappresentato un monumento a Cesare Balbo, il pensatore dell’Ottocento che, in piena epoca pre-risorgimentale, scrisse un saggio destinato a provocare grandi discussioni, dal titolo “Le speranze d’Italia” (non so quanti studenti della disastrata scuola d’oggi lo conoscano: sosteneva la tesi secondo cui si poteva convincere diplomaticamente l’Austria a lasciar libero il Lombardo-Veneto accettando compensazioni territoriali nei Balcani, dove l’Impero Turco si stava disgregando). La vignetta portava questa didascalia: “Le speranze d’Italia: sono il lotto, il calcio e il totocalcio”.

La vignetta di Mosca mi è e tornata alla mente nelle scorse settimane, nei giorni di festa in cui tutto il popolo italico, assecondato dal mondo dell’informazione, che all’improvviso metteva la sordina  alle litanie pandemiche e vacciniste,  giubilava per la vittoria dell’Italia ai campionati europei. Ho già detto altre volte che il calcio, come un po’ tutte le altre manifestazioni sportive, mi annoia; ed è forse questo il motivo per cui nel catalogo di Leporello non ci sono donne che praticano sport. Le donne muscolose e mascoline non mi piacciono. Ma mi rendo conto che è una mia ristrettezza mentale. Chi ama lo sport e va matto per il calcio fa bene a festeggiare, quando la squadra del cuore vince. Fanno baccano di notte, battendo tamburi, facendo rombare motori, abusando di segnalazioni acustiche? La consuetudine non mi dà per niente fastidio. Io riesco a dormire anche se sganciano una bomba atomica. Ognuno è libero di godersi la vita come vuole. Quel che mi fa specie è un’altra cosa. E’ quel che hanno detto molti commentatori in quei giorni di euforia, esorbitando dall’ambito meramente sportivo per allargare lo sguardo al contesto generale in cui versa il disastrato Bel Paese. Tutt’a un tratto sembrava arrivata una benedizione del cielo. La cosiddetta pandemia, che fino a un giorno prima incombeva su tutti i notiziari come uno spaventoso fantasma, scompariva come per incanto, mentre si cantavano le magnifiche sorti e progressive di cui l’Italia avrebbe goduto grazie alla vittoria. Addirittura si diceva che il PIL sarebbe aumentato dello 0,7%. Non mi si chieda come siano arrivati a tale conclusione, attraverso quali calcoli. Sono le solite cifre buttate lì a casaccio, come quelle che ogni anno ci vengono propinate per spiegarci il risparmio di cui abbiamo beneficiato grazie all’ora legale, e altre simili fanfaluche. Con un’aggravante, però: che questa volta proprio non si vede il nesso. Se non si accende la luce perché, grazie all’ora legale, è ancora chiaro alle 10 di sera, forse un risparmio c’è (a patto che, per il caldo, non si ritardi di qualche ora il momento di coricarsi). Ma per quale motivo dovrebbe crescere il PIL come conseguenza di una vittoria calcistica? I grandi giornalisti, improvvisatisi esperti di economia, hanno sùbito una risposta: la vittoria accresce il prestigio del Paese, il “made in Italy” avrà sempre più successo, aumenteranno le esportazioni.  Anche il turismo ne trarrà grandi benefici. Il desiderio di venire in Italia a trascorrere le vacanze porterà frotte di stranieri a visitare città, a contemplare capolavori d’arte, a godersi il sole delle spiagge marine e delle vette montane. Una vera manna, come quella che Dio fece piovere sul suo popolo eletto nel  deserto, al tempo dell’Esodo.Mi calo nei panni di chi, fra venti o trent’anni, per una ragione qualsiasi, si metterà a sfogliare i giornali delle settimane passate o  avrà modo di guardare i video dei rutilanti notiziari, conservati in qualche archivio digitale. Non potrà che spanciarsi dalle risate, più che a leggere un libro di barzellette. Altro che  “I limiti dello sviluppo” del Club di Roma, pubblicato all’inizio degli anni Settanta dello scorso secolo, che, letto ora, sembra davvero una presa per i fondelli, visto che prediceva qualcosa di simile alla scomparsa della specie umana già da qualche decennio, per esaurimento delle materie prime. Invece siamo ancora qui, e sul petrolio addirittura galleggiamo. Però va riconosciuto che allora il discorso economico era serio. Non si teneva conto dei progressi tecnologici, che nessuno poteva prevedere, e della futura scoperta di nuovi giacimenti. Partendo dai dati che si possedevano riguardo alle risorse disponibili, si poteva giungere ragionevolmente a certe conclusioni catastrofiche, attraverso calcoli matematici in sé impeccabili. Qui invece siamo davanti a un ragionamento che non oso neppure chiamare bambinesco per non offendere i bambini. Sono sicuro che un bambino soltanto un po’ più sveglio della media, e magari anche grande appassionato di calcio, si domanderebbe che rapporto ci possa essere tra una partita di pallone e i soldi che ti vengono in tasca. Ormai anche i bambini non credono più alle favole. Perché uno dovrebbe comperare più prodotti italiani grazie al pallone? Mistero! Perché uno dovrebbe venire sul Lago di Garda o sulla Costiera Amalfitana grazie al pallone? Solo un esperto di economia che se ne sta chiuso nel suo studio alle prese con astrusi algoritmi può arrivare a certe conclusioni demenziali, semplicemente perché a far la spesa non ci va lui, ma manda la serva, e del mondo reale non capisce un acca. Già,se andasse a far la spesa si accorgerebbe che la situazione non è poi così rosea e che, a dispetto delle vittorie calcistiche si prospettano tempi bui. Pare che stia tornando quella che impropriamente viene chiamata inflazione, intendendo l’aumento generalizzato dei prezzi. Dico impropriamente, perché l’inflazione propriamente detta, intesa come aumento della massa monetaria, è in corso da parecchio tempo. Ce l’hanno regalata i banchieri centrali, ce l’ha regalata Draghi con il suo “QE”. Finora questa massa monetaria si è sfogata nel mercato borsistico, mandando alle stelle i valori dei titoli, in un gioco perverso che vede sempre più forte la divaricazione fra la speculazione finanziaria e l’economia reale, i cosiddetti “fondamentali”. Ma ora i nodi vengono al pettine, i prezzi dei beni di consumo cominciano ad aumentare. Negli Stati Uniti qualcuno inizia a preoccuparsi. I banchieri centrali gettano acqua sul fuoco, dicendo che è un fenomeno transitorio. Vai a fidarti di quegli apprendisti stregoni! Non ne hanno mai azzeccata una, con i loro algoritmi. Anche loro a far la spesa mandano la serva. Intanto i prezzi delle materie prime stanno salendo vertiginosamente. Andate a far benzina in questi giorni e sappiatemi dire (gli gnomi delle banche centrali mandano il loro autista).Nel frattempo, in Italia, grazie ai provvedimenti che entreranno in vigore per arginare una presunta pandemia che non si vuol far finire – e che anzi, grazie a una scriteriata vaccinazione di massa sembra alzare la cresta producendo sempre nuove varianti del virus – anche quest’anno la stagione turistica subirà duri colpi. In previsione del famigerato passaporto vaccinale, pudicamente e barbaramente battezzato “green pass”, le disdette dall’estero stanno fioccando. Albergatori e ristoratori ringraziano. Anche esercenti di sale cinematografiche, di palestre, di discoteche. Altro che magnifiche sorti e progressive regalate dalla vittoria calcistica! Avremo un autunno molto più cupo di quello, già lugubre, dell’anno scorso.  L’obbligo vaccinale, che prima o poi verrà esteso a tutti, direttamente o indirettamente con l’arma del ricatto, completerà l’opera, distruggendo il tessuto economico dell’artigianato, della media e piccola impresa, del settore terziario, secondo i disegni perseguiti dai grandi burattinai che governano il mondo, di cui in Italia è sagace luogotenente Mario Draghi. Molti chiamano questo disegno “neo-liberismo”. No, io lo chiamo capitalismo alla cinese. Il risultato sarà l’abolizione della proprietà privata per tutti, fuorché per pochi gnomi che governano il mondo. Il Comunismo, cacciato dalla porta, rientra dalla finestra. Altro che fine della Storia! Piuttosto, corsi e ricorsi. Cambia la maschera, ma la sostanza è la stessa. Per tornare al buon Cesare Balbo, vorrei ricordare un epigramma che lo scrittore Antonio Baratta (1802-1864) formulò per un ipotetico monumento al pensatore torinese:

L’inclito Municipio
qui pose questo sasso
per proclamare al popolo
che le speranze italiche
se ne son ite a spasso”.

Giovanni Tenorio

Libertino

3 pensieri riguardo “Le speranze d’Italia

  • Anche a me non piacciono le donne muscolose e mascoline, ma le tenniste sono un ottimo esempio in cui si può essere in forma e pure belle. Maria Sharapova era a livello top model (ricordo un cartello un po’ blasfemo di suoi fans anni fa che diceva “Ave Maria piena di grazie…”)

    La nostra Camila Giorgi è davvero carina, così come Danielle Collins o Caroline Wozniacki.
    E tante altre: Svitolina, Cirstea, Vikhlyantseva, Cornet, Konta, Mertens, Tomljanovic, Krunic, Anisimova, Bouchard, Riske, Bogdan, Wang, Alexandrova, Yastremska.

    Consiglio a DJ di guardare una gara della Giorgi su Supertennis (canale 64) e potrebbe cambiare idee in merito. In effetti io confesso che guardo le gare femminili proprio per questioni di “gonnellino”. LOL.

    • Grazie, Max. De gustibus non est disputandum, ma si può sempre cambiare idea, e i buoni consigli sono sempre benvenuti.

  • Alessandro Colla

    Qualcuno ricorda Giovanni Mosca? Sì, io. E per colpa di don Giovanni mi prendono le nostalgie e riprendo a scrivere dopo che i governi mi stanno mettendo a dura prova togliendomi anche la voglia di parlare. Ricordo le sue vignette, le sue interviste, i suoi articoli; ricordo quando affermava che durante il fascismo era sopravvissuto un residuo di democrazia mentre nella nostra democrazia sopravvive il fascismo. Ricordo le sue simpatie monarchiche, la sua perplessità della liturgia cattolica in sardo che come lingua difficile gli facevano dire “più comprensibile in latino”. Rammento i suoi libri, in particolare “Ricordi di Scuola” e “Non è ver che sia la morte”. Mi piacque la testimonianza di suo figlio Benedetto in una trasmissione televisiva. Conobbi il suo ultimogenito Paolo quando ero direttore di scena per la compagnia di Silvio Spaccesi, lui curava la regia de “Il Petto e la Coscia” di Indro Montanelli. Avrei voluto frequentarlo più spesso ma prima abitava gran parte dell’anno a Milano, poi si avvicinò venendo a vivere a Morlupo ma la malattia lo spinse a desiderare di non avere contatti. Il nostro residuo di libertà se ne sta andando come lui, non vuole vedere nessuno.

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