Don Giovanni

Etica degli affari

“Business is business, gli affari sono affari. E’ un modo di dire molto diffuso nei Paesi anglosassoni, ma rispecchia un pensiero che non è per niente bello. Dire che gli affari sono affari significa che si può imbrogliare impunemente la gente; e questo è immorale”. Così diceva la vecchia, cara professoressa di Inglese, molto preparata nella sua materia, scrupolosissima, dedita con tutta l’anima alla sua missione di insegnante, ma completamente digiuna di economia, e anche un po’ bigotta. I suoi alunni, giovincelli, quasi ancora fanciulletti, le davano ragione; erano ancora lontani dall’età in cui si comincia a far la tara non tanto a ciò che i professori insegnano (se sono ferrati nella loro materia, sono difficilmente attaccabili) quanto alle idee politiche o morali o religiose che, volenti o nolenti, lasciano trapelare.

La vecchia professoressa aveva torto. Dire che gli affari sono affari vuol dire che non bisogna confondere gli affari con la beneficenza, altrimenti si fanno disastri. Einaudi diceva che se un banchiere, anziché prestar denaro a interesse, mirando al profitto del proprio istituto, lo regalasse, commetterebbe un reato e meriterebbe di essere perseguito penalmente. Sarebbe immorale regalare il denaro dei depositanti, è invece buona cosa farlo fruttare! Forse chi ha letto la parabola evangelica del fattore disonesto la penserà diversamente, dando ragione alla vecchia professoressa e sentendosi in sintonia con le parole del Salvatore; ma, come credo di aver già detto altre volte, o la parabola è mal scritta o è decisamente immorale, perché si possono condonare ai debitori i propri crediti, non quelli altrui, come del resto pensava anche Giuliano l’Apostata, che citava proprio quella parabola per mettere in dubbio la moralità dei cristiani. Gli affari hanno una loro etica, diversa dall’etica comune? Neanche per idea. Quello che è comunemente disonesto, in quasi altro frangente della vita, è disonesto anche negli affari, e viceversa. Se io regalo a un estraneo un gruzzoletto che un amico ha depositato presso di me sono un disonesto, perché ho disposto illecitamente di ciò che non è mio. Se io vendo per oro ciò che è ottone, non faccio un affare, ma una truffa. Ricordate quando Antonio Di Pietro (a proposito, che fine ha fatto? Coltivatore diretto a Montenero di Bisaccia?) fu assunto presso la cosiddetta Università di Castellanza, un paesone del Varesotto, come docente di una fantomatica “Etica degli affari”? Mi sono sempre chiesto che cosa avrà mai insegnato ai suoi poveri studenti. Che negli affari non bisogna rubare? Ma questo si impara fin da quando i preti ci insegnano i Dieci Comandamenti (li insegnano ancora?) in preparazione alla Santa Comunione; ed è una regola senza eccezioni, che non vale solo nel mondo degli affari. E non è neppure una regola cristiana, è un principio universale, almeno nel mondo che chiamiamo civile.

Una parola che gode di pessima fama, ed è più che mai attinente all’ambito degli affari, è “speculazione”. Nel parlar comune, novantanove volte su cento viene usata con una connotazione deteriore. Lo speculatore è un tipo che merita soltanto di essere esecrato. Ma era sempre Einaudi a chiarire che le cose non stanno così. D’altra parte, basta cercare su qualsiasi buon vocabolario per convincersi che il termine, nel suo significato tecnico, indica ogni operazione di compravendita compiuta al fine di trarre un guadagno dalla variazione dei prezzi. Che cosa c’è di male? Nulla. Se io compero oro oggi, a un certo prezzo, e domani lo rivendo a un prezzo di mercato maggiore, non compio nessuna truffa. Non vendo ottone per oro. Era giusto il prezzo che ho pagato ieri, è giusto il prezzo che chiedo oggi. Giusto nel senso di prezzo di mercato (è’ stato David Friedman a dimostrare che quando Tommaso d’Aquino parla di justum pretium intende proprio questo, in senso puramente economico, non morale). Per lo stesso motivo non sono per niente riprovevoli, nel mercato borsistico, le cosiddette “operazioni allo scoperto”, che consistono nel prendere a prestito, dietro pagamento di una commissione, un pacchetto azionario per venderlo in previsione di un calo di prezzo, e poi riacquistarlo a un prezzo più basso e restituirlo al prestatore, lucrando la differenza. Non è un furto, caso mai è un azzardo, perché non è detto che il prezzo delle azioni prese a prestito cali: può anche salire, di là da ogni aspettativa, per ragioni impreviste; nel qual caso l’operazione si risolve in una perdita.

Qualcosa di simile (un’aspettativa di lucro che si trasforma in perdita per un fatto imprevisto) è capitato in questi giorni nella faccenda che ha avuto al centro le azioni della Gamestop. La Gamestop è una società che produce videogiochi offrendoli agli appassionati nei suoi punti di rivendita diffusi in tutto il mondo. A un certo punto raggiunse un volume di affari così elevato che le sue azioni videro moltiplicarsi il proprio valore in modo inatteso. Nel giro di quattro anni un’azione passava da 4 $ a 60$. Ma nel 2008 cominciava la crisi, acuitasi più tardi, nel momento in cui i videogiochi potevano essere scaricati direttamente da Internet, senza doverli comperare in negozio: qualcosa di simile a quel che è capitato per i CD e i DVD (qualcuno ricorda i negozi Blockbuster? Ormai è preistoria). Negli ultimi tempi un’azione Gamestop era tornata al prezzo di 5$. E qui comincia il bello. Alcuni grandi fondi di investimento hanno cominciato a giocare al ribasso, con operazioni allo scoperto. Non è ben chiaro perché non si siano mossi prima. Speculare al ribasso su un titolo che gode ancora di una buona quotazione può essere un’operazione lucrosa, farlo su un titolo già ridotto al lumicino no. Se un titolo azionario da 30$ cade a 15$ l’operazione al ribasso è molto conveniente, ma se da 5 cade a 3 il guadagno che si ottiene è minimo. Forse i gestori dei fondi speculativi non sono quegli gnomi terribili e intelligentissimi che vengono dipinti.

Sta di fatto che, proprio nel bel mezzo dell’operazione al ribasso, qualcuno ha giocato in controtendenza. Molti giovani che sentivano nostalgia per gli acquisti di un tempo nei negozi Gamestop hanno pensato bene di correre in soccorso della società e sottrarla alle grinfie della speculazione, comperando in gran numero le azioni che i fondi mettevano in vendita. Per raccogliere le somme necessarie hanno messo in atto un vero e proprio crowfunding, sul sito Internet REDDIT. Risultato: i fondi speculativi si sono trovati in difficoltà, dovendo riacquistare a prezzo maggiorato le azioni vendute al ribasso. Negli Stati Uniti, per correre ai ripari, si è mossa addirittura la SEC, l’agenzia di controllo corrispondente all’italiana CONSOB. Molte piattaforme hanno deciso di bloccare le operazioni di compravendita. Le reazioni dei benpensanti sono state, in sostanza, due, diametralmente opposte. Qualcuno ha deplorato che una torma di ragazzotti si sia messa a giocare in borsa guastando il lavoro di fondi speculativi altamente prestigiosi e provocando scompiglio nel mercato dei titoli. Tanto più che, quasi subito,i frequentatori più navigati dell’arena borsistica ne hanno approfittato, intervenendo in forze per spingere ancor più al rialzo le azioni Gamestop, fino a raggiungere un livello addirittura superiore a quello dei tempi d’oro. La platea dei compratori s’è in un momento allargata a dismisura, come sempre capita quando si formano bolle speculative del tutto disancorate dai fondamentali dell’economia. Altri, invece, hanno esultato, vedendo nella ragazzata qualcosa di simile alla lotta fra Davide e Golia, in cui il superbo gigante paga il fio della sua tracotanza grazie al coraggio e all’astuzia di un giovinetto.

L’esultanza non ha proprio ragione di essere. Se è stato soltanto un giochetto, destinato a sgonfiarsi ben presto, è inutile dargli importanza. Se invece l’intento era proprio quello di salvare dal fallimento la società Gamestop, allora c’è soltanto da ridere per l’ingenuità dell’operazione. Per salvare dal fallimento un qualsiasi produttore di beni o servizi , l’unico modo sensato è quello di incrementarne il giro di affari comperando in abbondanza i suoi beni o servizi, così da rendere l’attività nuovamente profittevole.. Comperare le azioni non serve a nulla, se dietro quelle azioni non c’è un’attività economica che produca utili.

Ma anche la severa riprovazione è ridicola. I ragazzotti non hanno compiuto nessun reato, hanno agito liberamente nel mercato borsistico. L’operazione è stata ingenua o demenziale, e avrà anche provocato un certo scompiglio, ma ci vuol altro per sconfiggere Golia. Nel mercato, in ogni mercato, c’è anche chi si comporta irrazionalmente. Anzi, arriverei a dire che l’irrazionalità è di gran lunga dominante. Il mercato è razionale non perché siano razionali tutti i partecipanti, ma perchè è razionale il sistema dei prezzi come segnaletica, che scaturisce spontaneamente da un insieme di transazioni che nessuna autorità centrale potrebbe pianificare. Tutto qui. Un semplice registratore. Un sistema di frecce direzionali.

Il guaio è un altro: che il mercato, non solo quello borsistico, c’è e non c’è. Finché il livello naturale dei tassi d’interesse sarà manipolato dagli interventi delle banche centrali; finché l’emissione monetaria sarà determinata da scelte consapevoli di pochi gnomi in vista di certi risultati di politica economica, il mercato rimarrà in libertà vigilata. E il mercato borsistico in particolare, si presterà facilmente a ogni azzardo. Senza una politica economica, assecondata da un generoso flusso monetario, volta a favorire l’indebitamento per l’acquisto di beni immobiliari in un mercato al rialzo, non si sarebbe avuto, negli Stati Uniti, il crollo del 2008, cui fece seguito il disastro dei titoli-spazzatura, anch’essi sostenuti da una liquidità disponibile a tassi di interesse artificialmente bassi. E che dire del “Quantitative Easing” messo in atto da Mario Draghi per salvare l’Euro pericolante “”whatever it takes”? Avrà anche salvato l’Euro, ammesso e non concesso che valesse la pena di salvarlo, ma invece di sostenere l’economia reale ha alimentato la speculazione borsistica. Come mai quella valanga di moneta gettata a piene mani nel sistema non ha causato inflazione, come ci insegnano che dovrebbe capitare tutti i testi scolastici di di economia? Semplice: perché tutto quel denaro, incamerato dalle banche, è andato ad alimentare le operazioni di borsa, e proprio in borsa i prezzi dei titoli sono corposamente aumentati, mentre i famigerati “spred” diminuivano. Un bel castello di carte.

Ora Mario Draghi è stato scelto come Presidente del Consiglio, dopo la prova fallimentare dei due governi presieduti da Conte, al quale Padre Pio non ha fatto la grazia di un terzo incarico. Tutta l’informazione di regime intona il “Te Deum”, salutando il salvatore della Patria. Può anche darsi che, a differenza di Monti, faccia qualcosa di buono (fare qualcosa di meglio di Conte non è difficile). Io però dei falsari non mi fido. E Draghi è un falsario. Se io stampo moneta falsa finisco in gattabuia. Perché se la stampa un banchiere centrale diventa un atto virtuoso? Non dicevamo sopra che la morale è la stessa per tutti, e per qualsiasi operazione? Già… Perchè se uccido un mio vicino che mi infastidisce sono un assassino, mentre se in guerra uccido un altro essere umano come me, che non mi ha mai torto un capello, solo perché mi viene additato come un nemico, divento un eroe?

Giovanni Tenorio

Libertino

2 pensieri riguardo “Etica degli affari

  • “.. ma se da 5 cade a 3 il guadagno che si ottiene è minimo.”

    Don Juan si fa abbagliare dai valori assoluti e non tiene conto di quelli relativi.
    Se vendo a un azione che vale 5 per ricomprarla a 3 significa che quell’azione ha perso il 40%, una enormità, poco meno del precedente esempio che era del -50%.
    Ma non significa che ho guadagnato il 40%, bensì il 66,66% (così come se perde il 50% io guadagnerò il 100%). Ovviamente al lordo di tassa sul capital gain e costi del contratto di riporto.

    Poichè però le operazioni al ribasso si devono chiudere nel giro di breve tempo (diciamo un mese, ma è già tanto) significa che proiettato su base annua il profitto è del 49.921,84% usando la convenzione esponenziale. La proiezione è utopica, ma necessaria per paragonarlo ad uno strumento come il btp che – se va bene – oggi “rende” 1% su base annua.

    Morale: di “guadagni minimi” così ne vorrei a pacchi!

    *

    xColla
    – non sono Mazzilli (che manco so chi è) ;
    – se i nomi a cui si riferisce sono giorgio e FabrizioFv, si’, erano la stessa persona;
    – il Primato Nazionale è l’organo post-fascista in cui SORPRESONA!!! troverà ANCHE il troll del ML (giorgio-FabrizioFV-spago-diaz-christian-leoluca-Sgura-GIG-sency-MICHELE-Malgaponte-e 1000 altri ancora…) sotto altri 1000 nomi, ma diversi da questi citati.

    • Alessandro Colla

      Grazie per le informazioni, appena possibile leggerò qualcosa su il Primato Nazionale. Non so come sia possibile tecnicamente riuscire a riconoscere la stessa fonte con firme diverse. Dico tecnicamente perché sulle ipotesi è capitato che casualmente indovinassi perfino io, sia pure in un’unica occasione. Ho cercato FabrizioFv su internet e ho visto che ha un profilo piuttosto chiaro corredato da una fotografia. Inoltre esprime concetti diametralmente opposti a quelli socialistoidi di colui che si firmava “giorgio”. Non so, in questo campo non ho esperienza. Di Spago e Leoluca, ad esempio, mi meraviglio un bel po’ visto il contenuto dei loro scritti. Che non mi sembravano (nel caso di Leoluca dovrei dire “non mi sembrano”) trasmessi per l gusto di dar fastidio. Ma potrebbe essere una mia ingenuità dettata dalla scarsa conoscenza dei segreti relativi ai mezzi informatici. Sarò grato a chi vorrà suggerirmi la metodologia giusta per scoprire le identità di coloro che intervengono sulle piattaforme. Sempre che non sia un segreto professionale impossibile da rivelare.

I commenti sono chiusi.