Don Giovanni

Pace all’anima sua.

E’ morto Ennio Morricone. Ne sono dispiaciuto. Anch’io apprezzavo un tempo le sue colonne sonore. Finchè un giorno mi capitò per caso di ascoltare, in un concerto sinfonico, fra i soliti autori del passato ormai divenuti canonici, una composizione strumentale del Nostro. Mi aspettavo qualcosa di molto più elaborato delle consuete musiche da film, non di trovarmi a muso duro di fronte a un linguaggio completamente diverso. Invece fu proprio così. Avanguardia pura, di quella più indigesta. Lo so che dicendo queste parole corro il rischio di far la figura dell’ignorante. Lo ammetto, sono ignorante. Fossi un professore del Conservatorio, probabilmente troverei nelle composizioni dotte di Morricone – come di altri compositori contemporanei a me indigesti, uno per tutti Sciarrino – autentiche perle. Sono consapevole che in musica non si può barare. Nelle arti figurative sì. Posso eseguire una “pittura” (se così ancora si può chiamare) passando sopra un foglio o sopra una tavoletta con i piedi imbrattati di vernice, o costruire una “installazione” ammassando tubi, filo di ferro e altre porcherie in un conglomerato informe, e state pur sicuri che troverò qualche coglione titolato capace di trovare nelle mie opere qualcosa di sublime. Ricordate lo scherzetto che, nei primi anni Ottanta del secolo scorso, alcuni studenti buontemponi giocarono ai più qualificati critici d’arte? Modellarono alcuni visi di pietra vagamente somiglianti agli abbozzi di Modigliani e li gettarono in un torrente dove si diceva che l’illustre artista avesse scaricato alcune sue opere giovanili rimaste incompiute. Quando furono ripescati, quale coro di lodi! Erano proprio di Modigliani, non c’erano dubbi, e rivelavano, sia pure in nuce, il genio di un artista che di lì a poco avrebbe fatto tanto parlare di sé. Quando la burla fu svelata, a riderne a crepapelle furono non soltanto gli autori, ma anche quei pochissimi studiosi che fin da subito avevano subodorato l’imbroglio. Paolo Isotta, allora titolare della critica musicale sul “Corriere della sera”, ne fu assai divertito, e arrivò a scrivere che avrebbe abbracciato quei ragazzi burloni, perché con la loro beffa avevano dimostrato quanto inconsistente fosse gran parte dell’arte contemporanea e quanto vuote le analisi di certi studiosi, a dispetto delle raffinate teorie estetiche di cui si sono imbevuti e della dottrina di cui fanno sfoggio. Ebbene, in musica questo non si può fare. Per comporre un brano che, all’ascolto di un profano, si risolve in un coacervo di rumori ottenibili in mille modi, dall’azionamento dello sciacquone alla produzione di ventosità anali, bisogna pur sempre scrivere note su un pentagramma secondo regole ferree. Chi non conosce quelle regole, che son cose da far tremare le vene e i polsi, non può mettere in atto nessuna burla. La musica non è un quadro o una scultura, che una volta terminate vanno soltanto esposte perché il pubblico possa goderne. Va ogni volta riprodotta da un esecutore o da un insieme di esecutori, che a loro volta devono essere tanto esperti da saper leggere una partitura magari orrida all’ascolto, ma tutt’altro che facile. Torniamo a Morricone. Sicuramente le sue composizioni dotte sono più complesse e raffinate delle colonne sonore che piacciono alla plebe. Ma non credo gli faccia onore il vezzo di usare, da un lato, la tecnica tonale, con ampio sfoggio di melodie orecchiabili a piena orchestra per compiacere gusti “bassi” e adempiere una funzione subordinata qual è quella della musica da film, e, dall’altro, ostentare la propria modernità avanguardistica e il proprio presunto aggiornamento culturale, ricorrendo a un linguaggio totalmente e intrinsecamente diverso nelle composizioni destinate alle sale da concerto, dove il pubblico si guarda bene dal manifestare il proprio dissenso per non fare la figura dell’ignorante, ed è sempre presente qualche collega pronto a profondersi in elogi e qualche critico disposto a fare altrettanto, in una recensione che nessuno leggerà. Il mio papà Mozart non faceva così. Prendiamo due composizioni destinate a pubblici diversi, da un lato lato “Eine kleine Nachtmusik” e dall’altro la Sinfonia “Jupiter”. La prima è musica sbrigliata, trascinante, gioiosa, immediatamente godibile anche da un ascoltatore superficiale. La seconda è un’opera di grande dottrina, che può essere compresa in tutta la sua bellezza solo dopo averla ascoltata e riascoltata attentamente, in religioso silenzio. E’ uno dei culmini del repertorio sinfonico, un esempio forse rimasto insuperato. Il travolgente ultimo movimento, come diceva il compianto Giulio Confalonieri “mette i brividi”. Grande la distanza fra le due composizioni, quindi, anche perché create, appunto, per contesti e pubblici diversi. Ma il linguaggio è lo stesso! Anche se, nell’un caso più semplice, e nell’altro più complicato. Per venire ai tempi nostri, Nino Rota faceva come il mio grande papà. Componeva accattivanti musiche da film, ma scriveva anche Opere (deliziosa “Il cappello di paglia di Firenze”) e raffinata musica sinfonica e cameristica, senza mai cambiare linguaggio, ma soltanto usando. a seconda dei casi, formule più o meno complesse. Sentite quello che ha detto Vittorio Sgarbi in onore dell’amico Morricone in una breve intervista a “Radio radio”. Dopo aver affermato che Morricone è il più grande musicista italiano dopo Rossini e Verdi (si vede che Mascagni, Puccini, Respighi, Pizzetti, Malipiero, Dallapiccola, ecc. ecc. erano poveri coglioni) arriva a lodarlo proprio per il contrario di quello che ha fatto. Si sarebbe astenuto dallo sperimentalismo contemporaneo per donare al suo pubblico una musica che va al cuore e nel cuore di tutti resterà. Chissà se Sgarbi sa che Morricone ebbe una volta a lamentarsi perché il pubblico cui d’estate propinava concerti delle sue musiche da film non mostrava lo stesso entuasiamo per le sue composizioni “serie”. Io sono pronto a mettere una mano sul fuoco che il pubblico dei suoi concerti estivi non ha mai frequentato concerti “seri” dove si eseguono le sue musiche dotte. Fuggirebbe a gambe levate. Forse non amerebbe più il suo idolo, come non riesco ad amarlo io. Pace all’anima sua.

Giovanni Tenorio

Libertino

4 pensieri riguardo “Pace all’anima sua.

  • Alessandro Colla

    Terreno difficile. E minato ma questo è un altro discorso. Le composizioni del passato sono qualcosa di eccezionale ma cosa facciamo, imitiamo il linguaggio del passato? Si può, qualcuno ha perfezionato quello che c’era prima. Solo che poi finisce anche questa risorsa. Se si scrive come prima, l’ascoltatore accusa il compositore di proporre qualcosa di già sentito; se si è avanguardisti si hanno sensazioni di scarso trasporto. Probabilmente la combinazione di suoni e di ritmi non è infinita e abbiamo raggiunto l’esaurimento della combinazione stessa. A meno che il nostro orecchio non si abitui a riconoscere ed apprezzare distanze inferiori al semitono che per noi occidentali credo sia lo scarto minimale riconoscibile. Ne “Il cappello di paglia di Firenze”, il coro delle sarte che canta “svelto vola, vola l’ago; nascono i cappelli dall’ordito vago…” ha una melodia identica a diverse parti del barbiere rossiniano. E anche quel “Viva l’Italia” del finale, a copricapo quasi miracolosamente trovato, sembra voler riecheggiare il Verdi risorgimentale. Malipiero e Dallapiccola? A loro modo erano sperimentatori come lo era Petrassi; un po’ meno lo era Vieri Tosatti, criticatissimo per questo. Al di là delle considerazioni iperboliche di Sgarbi, un musicista citato nell’articolo è considerato dalla critica ufficiale (a mio modesto avviso, ingiustamente) come un emerito incapace: Pietro Mascagni, mal sopportato dagli altezzosi di tutto il mondo accademico. Gli stessi che osteggiano Puccini come presunto imitatore di Ravel e Debussy. Su quest’idea dell’imitazione c’ero cascato anch’io in gioventù leggendo Guido Pannain. Poi conobbi l’allora critico musicale de “L’Espresso”, Orchidea Salvati (consorte dell’organista Jiri Lecian, esule boemo che credo sia ahimé approdato ai confessionalistici lidi della nuova Democrazia Cristiana di Rotondi), che mi fece notare come Manon Lescaut fosse stata scritta molto prima di tante celebri composizioni dei due autori francesi. Per me geniali tutti e tre, minore importanza do al dover stabilire chi per primo abbia sintetizzato il linguaggio orientale con quello europeo. Sempre che di sintesi si possa parlare, il mio non è un giudizio da esperto ma da semplice saltimbanco praticone. Di Morricone mi dispiacque dover vedere il suo nome associato alle primarie di quelli del partito “democratico”. Ma anche qui il mio giudizio conta poco: oltre che praticone sono anche saltimbanco fazioso. E quel che è più grave, non intendo migliorare in quest’aspetto.

  • Caro Colla Lei sarà anche un saltimbanco praticone, ma le Sue considerazioni mi sembrano molto lucide e apprezzabili. Giusto quello che Lei dice sull “esaurimento” del linguaggio musicale: una riflessione che, fatte le debite differenze, può valere anche per tutte le altre arti; le quali, infatti, tra Ottocento e Novecento hanno imboccato la strada delle avanguardie, nel tentativo di un rinnovamento radicale. Quello che mi premeva sottolineare nel mio articolo, forse un po’ affrettato per l’urgenza dettata dall’improvvisa scomparsa di Morricone, è l’incongruenza del voler rimanere a cavallo fra antico e nuovo, non nel senso di contaminare, con esiti discutibili, linguaggi difformi, ma in quello di usare l’antico per compiacere il grande pubblico e il moderno per compiacere i dotti. Forse sono stato troppo severo con Morricone, che, a quanto mi dicono, era un personaggio gentile, schivo, alieno da ogni divismo; ma continuo a pensare che non si possa offrire al grande pubblico, alieno dalle poetiche più spericolate, una musica accattivante, turgida di orecchiabili melodie (oltre che bella, sia ben chiaro, talvolta bellissima) e poi dispiacersi che lo stesso pubblico non conosca e non apprezzi la musica scritta per i colleghi di Conservatorio e i critici militanti. Io, che quanto a gusti sono reazionario e me ne vanto, apprezzo molto un “neoromantico” come Marco Tutino. La sua “Ciociara” dal romanzo di Moravia, recentemente riproposta su RAI5 nel bell’allestimento del benemerito Teatro dell’Opera di Cagliari, ha davvero commosso – non mi vergogno a dirlo -anche un cuore di pietra come me. Quanto a Mascagni e Puccini, ormai sono lontani i tempi in cui era doveroso storcere il naso al solo sentirli nominare. Su Mascagni permane ancora qualche riserva, ma ormai Puccini è considerato da tutti un grande musicista. Il compianto Roman Vlad diceva che è non solo grande compositore d’Opera, ma uno fra i più grandi musicisti tout court . E’ un vero piacere che la bellissima e bravissima Beatrice Venezi, sua conterranea, se ne sia fatta paladina davanti al mondo intero, dirigendone le partiture con gusto e con amore.
    Un fervido saluto e un sentito grazie per i Suoi interventi, sempre benvenuti.

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    preso dal web:

    “Nel 1962 Morricone arrangia il primo successo di Edoardo Vianello: “Pinne fucile ed occhiali”. Si occupa anche del b-side, la celebre “Guarda come dondolo”. La collaborazione con Vianello è proficua, tanto che segue il successo di “Abbronzatissima”, e le indimenticabili “Hully gully in 10” e “Sul cucuzzolo” (1964)”

    ecco la vera vergogna da nascondere, LOL !!!
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    Scherzi a parte, non so a che composizione precisa Don Juan si riferisca, ma Morricone sperimentava quando erano in circolazione personaggi come Cage e Stockhausen con cui bene o male ci si doveva confrontare.

    Non ne farei quindi un dramma, forse era solo una sua curiosità o passatempo o dimostrare di saper spaziare in altri campi. E poi vale sempre la stessa regola: prima sappi fare a regola d’arte il tuo mestiere e sarai credibile (e su questo non ci piove); poi, se vorrai, potrai permetterti di cercare nuove strade e fare ciò che ti pare.

    Qualcosa ci avrà pur trovato nella sperimentazione, visto che il grano lo faceva con le altre sue musiche memorabili (segnalo la bellissima e molto poco citata “Rabbia e tarantella”, che almeno tre film ebbero come colonna sonora).

    In ogni caso, per “Gli occhi freddi della paura”, usò trash sperimentale; chissà se esiste la partitura, essendo rumori più che altro. EM resterà nella storia per le sue musiche migliori e non certo quest’ultima non-musica (esattamente come i Beatles resteranno nella storia per decine di splendide canzoni e non certo per le cazzate incise in Revoluton #9).

    ***

    Seppi anni fa da un certo Corrado Augias che la sinfonia 40 di Mozart nel passato venne chiamata “orrida” a causa di certi stridori e dissonanze che agli intenditori facevano accapponare la pelle: effetto tipo “unghie sulla lavagna” (sensazione, tra l’altro, che io non ho mai patito).

    Quindi la più orecchiabile sinfonia di Amadeus sembra non fosse ben vista ai suoi tempi.
    Anche su:

    it.wikipedia.org/wiki/Sinfonia_n._40_(Mozart)

    si dicono cose strane, sembra che l’autore non l’abbia mai ascoltata. Inoltre è accomunata alla 39 e 41 (Jupiter) che io non conosco. E’ possibile che Mozart abbia solo voluto “sperimentare” un’opera “futuristica”?

    Chiedo a Don Juan se è al corrente di questo e che ne pensa.

  • La diceria, spesso ripetuta, secondo cui Mozart in vita sua non avrebbe mai ascoltato l’esecuzione della sua Sinfonia n.40, e la partitura sarebbe stata da lui composta come una sorta di testamento per i posteri è stata da tempo smentita dalla migliore musicologia. Nessuno sperimentalismo programmatico nella musica di Mozart. C’è soltanto il genio, che si avvale di formule compositive nate da un lungo e complesso processo storico per portarle a esprimere quanto non avevano mai espresso, aprendole, grazie alla potenza intrinseca di una capacità inventiva prodigiosa, a sviluppi impensati e densi di futuro (questi sì lasciati in eredità ai posteri). Inevitabile che i contemporanei potessero comprendere senza difficoltà il “Convitato di pietra” di Cazzaniga, ma rimanere perplessi davanti al “Don Giovanni”, l’Opera più grande che sia mai stata rappresentata sui palcoscenici. Le “Nozze di Figaro” in apparenza sono una consueta Opera giocosa, fatta di arie, recitativi e pezzi d’insieme secondo i canoni allora dominanti, ma il flusso di musica che investe, quasi senza interruzione, tutto il secondo atto è qualcosa di straordinario. Musica dell’avvenire, che dilata il discorso musicale pur mantenendone come in filigrana le forme canoniche, sbocciata, si direbbe, per miracolo, senza le uggiose teorizzazioni di un Wagner. Ci sono voluti due secoli per capir a fondo tutta la grandezza di Mozart. Oggi qualcuno ha detto che, di fronte a musicisti comuni come Mozart e Beethoven, Morricone è unico. Ognuno ha i suoi gusti. Forse però sarebbe opportuno non smarrire il senso della misura.

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