Don Giovanni

Bandiere a mezz’asta, anzi al rogo!

Cari amici, voi sapete che io ho due padri putativi, uno nato a Sud dello spartiacque alpino, a Ceneda, Lorenzo Da Ponte, uno a Nord, a Salisburgo, Wolfgang Amadeus Mozart. Sono, per così dire, un meticcio, e me ne vanto. E lo stesso impasto di sapori alemanni ed italici si vede e si gusta ancor oggi nella città del grande Wolfgang, dove si ammirano chiese dall’ austero stile d’Oltralpe accanto al Barocco della Cattedrale costruita da Santino Solari (e nel vecchio cimitero, Solari è sepolto non lontano dal papà di Mozart, Leopold); si vedono monumenti dedicati a Herbert von Karajan e si cammina in una piazza dedicata ad Arturo Toscanini. Al Festival estivo, si onorano Mozart e Richard Strauss non più di Rossini e Verdi; si applaudono allo stesso modo artisti come Christian Thielemann e Riccardo Muti. Quel che conta è la bellezza, la cultura, l’umanità. Le differenze linguistiche sono una ricchezza: che italofoni e tedescofoni imparino a parlare gli uni la lingua degli altri è un bene per gli uni, per gli altri e per tutti. Mozart era di lingua madre austriaca, ma amava e parlava benissimo l’italiano; e  Da Ponte col tedesco non era da meno. Sono andati d’amore e d’accordo, hanno scritto tre capolavori immortali, hanno dato i natali a me (forse sarebbe meglio dire che mi hanno fatto rinascere, perché esistevo già, ma ero ancora un po’ immaturo); hanno giovato a se stessi, ai contemporanei, ai posteri, fino alla fine dei  secoli.
Quando il Lombardo-Veneto era parte dell’Impero Austriaco prima, Austro-Ungarico poi, il confine con l’Austria passava per Salorno. A Nord si parlava in prevalenza tedesco, a Sud italiano (o, soprattutto, dialetto trentino; qualcuno nelle valli parlava ladino), ma non c’era motivo alcuno per quelli a Sud di odiare quelli a Nord, o per quelli a Nord di odiare quelli a Sud. Ogni popolazione si faceva pacificamente i fatti propri, senza erigere steccati e precludersi rapporti reciproci d’ogni genere, d’amicizia, d’amore, di fede, di commercio. Perché allora oggi se  un italiano, passato il confine del Brennero, va ad Innsbruck per turismo o affari o altro gli fanno ponti d’oro; perché sempre a Innsbruck si tiene ogni estate un Festival di musica barocca italiana, diretto da un Maestro italiano, con  l’entusiastico consenso di tutti; mentre se un italiano va in vacanza in alto Adige -meglio, Sud Tirolo- viene spesso guardato storto? Semplice: a qualche imbecille cento anni fa venne in mente che lì il confine di Stato italico doveva essere portato a coincidere con lo spartiacque alpino, quindi niente Salorno, ma Brennero, sia perché così voleva Dio, che lo spartiacque l’ha messo lì, e non altrove, sia per ragioni difensive, in quanto le Alpi sono un muro a difesa dallo straniero. Quindi, per il bene della Patria, valeva la pena di far pernacchie all’Austria, benché alleata, e di unirsi ai suoi nemici nella Prima Guerra Mondiale, a costo di pagare a caro prezzo la bella impresa militare. Qualche centinaio di migliaia di morti! Bazzecole!  Un infame delitto di strage? “Right or wrong, my country”, dicono ad Albione. Bel proverbio, come dire: mio figlio è un delinquente, ma io sono il papà e continuerò a giurare che è un santo per non farlo andare in galera (e poi dicono che il cosiddetto “familismo amorale” è una prerogativa dei terroni, mentre nel civilissimo Nord le cose non stanno così… Balle! Semplicemente allargano l’àmbito familiare a tutto lo Stato-nazione….). Finita la guerra, e portato il confine italico laddove volevano Iddio e i generali dell’esercito, si fece di tutto per imporre la lingua italiana anche agli abitanti di lingua tedesca, si cambiarono i nomi di città e paesi, sostituendo a quelli originali invenzioni stravaganti, il Sud Tirolo divenne Alto Adige. Si costruirono monumenti alla Vittoria, che i vinti, divenuti italici per forza, videro giustamente come uno sberleffo. Nel secondo dopoguerra si cercò di rimediare al sopruso concedendo un’autonomia molto marcata alla regione Trentino-Alto Adige e in particolare alla Provincia di Bolzano. Oggi, superati i più aspri conflitti che raggiunsero il culmine negli anni Sessanta del secolo passato, va un po’ meglio.
Perché allora rigirare il coltello nella piaga? Perché pretendere che in occasione del 24 Maggio, centenario delle “radiose giornate” del 1915, a Bolzano si esponga il tricolore? Hanno ragione gli Schützen sudtirolesi a pretendere che la bandiera sia tenuta a mezz’asta, in segno di lutto. Non che siano simpatici questi Schützen, anzi sono francamente antipatici, sia per i loro trascorsi filonazisti sia per il loro acceso nazionalismo. Ma perché provocarli? Perché gli Alpini cretini hanno già indetto una grande adunata a Bolzano per il 2018, anniversario della vittoria? Non sarebbe ora di abbattere gli steccati una volta per tutti?

Proposta mia: bandiere a mezz’asta in tutto il Bel Paese, perché la Prima Guerra Mondiale fu una iattura per tutti, vincitori e vinti. Anzi, rogo di tutte le bandiere, italiane, austriache, tedesche francesi, inglesi, russe, americane, turche; demolizione del monumento alla vittoria di Bolzano e di tutti gli altri monumenti analoghi in territorio sudtirolese (per il Vittoriano di Roma ho un’altra idea che rimando a una prossima puntata). Gli Schützen  e gli Alpini gettino alle ortiche i loro abiti carnevaleschi, si radunino fraternamente intorno a una bella tavola e si sbronzino di vino Marzemino. E in spregio a tutti i nazionalismi, come Tafelmusik si esegua, per bocca di un coro misto italo-austriaco, il canone a tre voci del divino Wolfgang Amadeus “Leck mir den Arsch fein recht schön sauber” Kv 323 (“leccami per benino il culo”): altro che l’Inno di Mameli!

Giovanni Tenorio

Libertino