Don Giovanni

Cafoni all’Europarlamento

Cari amici, che ne direste se uno entrasse in casa vostra, magari senza essere stato invitato, e si sedesse mettendo i piedi sulla scrivania? Capitasse a me, chiamerei Leporello e gli ordinerei di buttarlo fuori a calci. E se uno entrasse in una chiesa in bermuda e ciabatte durante il rito, e si sdraiasse lungo e disteso su una panca? Il sagrestano dovrebbe scacciarlo bastonandolo con lo spegnitoio. E se un altro bel tomo volesse entrare in una moschea con le scarpe infangate, rifiutandosi di togliersele? Non so quale punizione si meriterebbe in base alla legge islamica; in ogni caso, qualunque sia, gli starebbe bene.

E se tutti questi signori si giustificassero dicendo che il loro comportamento era un atto di protesta, motivato da ragioni ideali e incensurabile in un regime di libertà? Il primo, ad esempio, potrebbe dire che ha messo i piedi sulla scrivania per dimostrarvi in concreto quanto gli siete antipatici; il secondo che è entrato in chiesa con quell’abbigliamento e si è sdraiato sulla panca per render nota la sua avversione alla religione cattolica, diventata ancor più acuta dopo l’elezione al soglio pontificio di Jorge Mario Bergoglio; il terzo che ha voluto fare uno sberleffo a Maometto e ai musulmani.

Risposta: tali comportamenti sono censurabili, censurabilissimi. Se io sono antipatico a qualcuno, costui è liberissimo di dirmelo in faccia, ma non in casa mia e non in quei modi. Se uno non sopporta Santa Romana Chiesa e il Papa, può criticarli quanto vuole, ma se entra in un luogo sacro fa il piacere di vestirsi in modo decente e di comportarsi da persona civile. Se si ha in uggia Allah e Maometto suo profeta lo si proclami pure ad alta voce e lo si scriva a chiare lettere, ma se si entra in una moschea se ne rispettino le regole. Non mi pare che il mio sia un ragionamento bislacco; credo che ogni persona di buon senso non possa che condividerlo.

Quegli autentici cafoni che, alla prima seduta del rinnovato Parlamento Europeo, appena intonato l’Inno alla Gioia hanno girato le spalle, mostrando le chiappe alla Presidenza, per significare la loro avversione all’UE e il loro sostegno alla cosiddetta Brexit, si sono comportati come i signori dell’esempio di cui sopra. Ognuno dev’essere libero di dire peste e corna dell’Europa. Ognuno deve poter magnificare la Brexit e darsi da fare perché vada in porto. Ma nel momento in cui si accetta di entrare in un’istituzione europea qual è il Parlamento, si deve fare il piacere di rispettarne le regole. Non ti piace l’Europa? Stattene fuori. Vuoi entrarci per modificarla radicalmente dall’interno, promovendo l’uscita di alcuni attuali Stati membri? Entra pure ed esperisci tutte le manovre e tutti gli espedienti che possano condurre al traguardo desiderato, ma rispetta le regole. Non ti piace l’Inno alla Gioia? Ti alzi in piedi ugualmente. E’ l’inno dell’Europa e tu hai accettato di entrare in un’istituzione europea. 

A me è capitato più volte di andare all’Opera e di scoprire, con un po’ di stizza, che erano presenti anche le autorità, magari lo stesso Capo dello Stato. Quando hanno sonato l’Inno di Mameli me ne sono rimasto ben seduto, perché da anarchico qual sono non riconosco né lo Stato né il suo Capo. Se sono andato a teatro, l’ho fatto per godermi uno spettacolo, non per rendere omaggio alle autorità che per caso erano lì presenti. Se poi, per entrare a teatro, sono stato costretto a passare attraverso un cordone di poliziotti armati fino ai denti e a mostrare il mio biglietto, prima che alle graziose mascherette, a una goffa poliziotta dal viso arcigno, il piacere di rimanere seduto è ancora più forte. Diverso sarebbe il caso in cui io accettassi un biglietto gratuito, ottenuto grazie a conoscenze in prefettura o in questura o in vescovado, per uno spettacolo offerto alle autorità. Allora sarebbe maleducazione rimanere seduti. Se si aborrono le autorità, si disertano gli spettacoli ad esse dedicati.

Io aborro le autorità. Faccio mio quanto ebbe a scrivere il grande giornalista Arrigo Benedetti (che non era anarchico): “Le autorità non cesseremo mai di irriderle, e non perché si sia fautori di disordini, ma per quel tanto di disumana comicità che la parola racchiude”. Ne volete sapere una bella? Guardate che non la invento, è autentica. In occasione del centenario della morte di Manzoni, a Milano, nella chiesa di San Marco, si eseguiva la “Messa da Requiem” di Verdi, con l’orchestra e il coro della Scala diretti da Claudio Abbado. Era un avvenimento di grande risonanza mediatica , al quale partecipava il Presidente della Repubblica Giovanni Leone.  Difficilissimo avere i biglietti, che non erano in vendita ma concessi  solo in omaggio a un pubblico selezionatissimo. Due miei amici, appassionati di musica, riuscirono ad avere gli inviti grazie al comandante di una delle compagnie dei Carabinieri di stanza a Milano, zio di uno dei due). Per una serie di contrattempi, però, arrivarono davanti alla chiesa quando ormai l’ingresso non era più consentito, perché si attendeva da un momento all’altro l’arrivo del Presidente. Pur esibendo gli inviti, non furono fatti entrare (i Carabinieri in servizio, tra l’altro, appartenevano a una compagnia diversa da quella dello zio). Quando arrivò il corteo del Presidente, preceduto da una colonna di motociclisti, uno dei due amici esclamò: “Arriva il Presidente della Repubblica!”  E l’altro, più che mai stizzito per la disavventura, di rimando: “Ma chi se ne frega del Presidente della Repubblica!”. All’istante, dalla folla anonima assiepata davanti alla chiesa sbucarono tre sbirri in borghese che così lo apostrofarono: “Come ha detto, signore?”. Tutto finì lì, per fortuna. Ma era sbagliato inveire contro il Presidente dopo aver mendicato gli inviti presso le autorità; tanto più che non si era riusciti a entrare  per responsabilità propria.

Tornando ai cafoni dell’Europarlamento: anche a me non piace l’inno europeo. Non perché io non ami l’Inno alla Gioia, che conclude la Nona Sinfonia di Beethoven, in assoluto una delle mie preferite della letteratura sinfonica di tutti i tempi. Non mi piacciono gli inni nazionali, per tutti i significati che implicano. Di solito sono brutti. L’inno di Beethoven su testo di Schiller è bellissimo, e proprio per questo mi dispiace che sia stato scelto come inno dell’Europa politica. Da allora, viene storpiato in tutti i modi, il che mi fa salire il sangue alla testa. Povero Inno alla Gioia! Ne aveva già subiti tanti di sberleffi, perché infliggergli anche quello di essere  maltrattato da tutte le bandacce? Pensate un po’ che cosa ebbe a dirne Verdi (che pur ammirava Beethoven e considerava sublimi i primi tre movimenti della Nona): “Pessimo come fattura”. Dal suo punto di vista, il giudizio poteva anche essere motivato, perché la vocalità di Beethoven (nonostante le lezioni che il giovane Ludwig prese a Vienna da un mostro sacro come Salieri) è le mille miglia lontana dal “bel canto” italico, ma l’Inno alla Gioia, se ben eseguito, rimane una pagina affascinante, anche per quelle voci trattate alla stregua di strumenti, e costrette a emissioni “innaturali”. Vi si sono trovati (sia nel testo di Schiller sia nella musica), echi della Rivoluzione Francese e chiare allusioni ai principi massonici. Sarà per questo che Papa Bergoglio, appena eletto al soglio pontificio, si rifiutò di assistere all’esecuzione della Nona programmata in suo onore? Pensare di sì significherebbe fargli troppo onore. Che ne sa il Papa attuale di Beethoven, di Schiller, della Rivoluzione Francese e della Massoneria? Lui sa parlare solo dei migranti. E’ come un disco rotto. Ne parla anche quando va a far visita ai terremotati. Invece di consolarli delle loro disgrazie, li intristisce ancora di più parlando delle disgrazie degli altri.

Giovanni Tenorio

Libertino

2 pensieri riguardo “Cafoni all’Europarlamento

  • Mi sa invece che della massoneria il buon uomo ne sappia più di qualcosa.

  • Mi sa invece che della massoneria il buon uomo ne sappia più di qualcosa.

    Offri un bicchiere di Marzemino all'autore del commento 2

I commenti sono chiusi.