Don Giovanni

Censura e risate

Crediamo di vivere in un’epoca innovativa e  spregiudicata, in cui i vecchi tabù cadono uno dopo l’altro, inceneriti dal sole dell’avvenire. Invece sta ritornando in auge un bigottismo censorio da far invidia a quello di un tempo, che almeno poteva giustificarsi come coerente conseguenza della religione, della morale dominante, dell’indiscusso rispetto per l’autorità.

Ridiamo perché nell’Ottocento nello Stato Pontificio la “Traviata” di Verdi non poteva essere messa in scena con questo titolo,  che è sinonimo, sia pur augusto, di “puttana”, ma con quello, assai più pudico, di “Violetta”, dal nome della protagonista? Molto più ridicolo che nel nostro secolo illuminato si voglia impedire la rappresentazione di “Carmen” perché la l’avvenente zingara (mia dolcissima amica), in quanto sigaraia, può essere un’involontaria propagandista del vizio di fumare. E visto che mi capita di parlare di lei, mi accorgo solo ora di aver commesso un sacrilegio chiamandola “zingara”, un appellativo che, anche a detta di insigni linguisti come Luca Serianni, deve essere considerato infamante. Se è così,  che ne facciamo dell’ “abietta zingara” con cui nel “Trovatore” Ferrando designa la sventurata Azucena?  Probabilmente finora  non se n’è fatto nulla perché i registi d’oggi, specialmente se stranieri, non solo, con qualche eccezione, ignorano la musica, ma neppure leggono i libretti: tant’è vero che sulla scena esibiscono le loro stravaganti – e talora repellenti-fantasticherie, gabellate (e bevute dalla critica militante) come illuminanti  interpretazioni. Sono convinto che in America, quando si rappresenta “Un ballo in maschera”, se non viene censurata (ma forse sì) la battuta “Ulrica, dell’immondo sangue dei negri” (come invece si è fatto a Venezia nel 1999, sostituendola con “appartiene alla razza dei negri) è perché nessuno sa l’italiano e probabilmente la traduzione dei sottotitoli, quando ci sono, viene edulcorata. Nel cinema  d’oggi ne vediamo di cotte e di crude.  Le scene di sesso si sprecano, senza che nessuno se ne scandalizzi.  Infatti non è proprio il caso di scandalizzarsi. Il guaio è piuttosto un altro: a furia di veder sesso, scappa la voglia di farlo. Nella sua “Arte poetica”, Orazio raccomandava ai tragediografi di non rappresentare i delitti in scena, ad esempio Medea che uccide i figli, altrimenti si spezza la suggestione drammaturgica: meglio alludere a certe azioni truculente, piuttosto che ostentarle. Lo stesso si potrebbe dire del sesso. Da quando le donne hanno imparato a scoprirsi per mettere a nudo nella vita quotidiana le loro bellezze, il maschietto avverte una caduta verticale del desiderio. Normale. In un campo di nudisti non vedrete mai nessuno con il pene in erezione. Invece nei secoli passati bastava vedere una caviglia che spuntava di sotto la gonna d’una bella dama per andare in visibilio. Sesso a tutto spiano, nel cinema, dicevamo. Però basta che, sulla scia del famigerato movimento #Me too, il grande Woody Allen venga accusato di presunti atti di molestia e libidine ai danni di una o più attrici, perché immediatamente tutti i suoi film vengano banditi dalle sale cinematografiche,  i suoi contratti di lavoro risolti, la sua attività artistica impedita. Dov’è andata a finire la presunzione di non colpevolezza, che i sedicenti progressisti di oggi sbandierano a ogni piè sospinto, quando gli fa comodo? Qui si fa molto peggio di quanto avveniva nei secoli bollati di oscurantismo: i libri, allora, potevano essere pubblicati solo “con licenza de’ superiori” e gli spettacoli erano sottoposti a un’occhiuta censura, ma le proibizioni erano dovute al carattere del testo, ritenuto immorale o irriverente, non alla personalità dell’autore.Oggi invece l’immoralità (vera o presunta) dell’autore pesa molto di più della sconcezza  (estetica, non morale) dell’ opera. A meno che… A meno che l’ autore sia già morto, e nessuno fino a quel momento abbia pensato di denunciarlo per stupro, molestie o qualcosa di simile. In questi giorni ci ha lasciato Bernardo Bertolucci. Grande regista, senza dubbio, che a suo tempo ebbe a soffrire per la condanna inflittagli da un giudice di corte vedute a causa di una scena piuttosto scabrosa nel film “Ultimo tango a Parigi”. Oggi una scena così non scandalizzerebbe più nessuno, si vede di molto peggio ( in senso estetico, quando si parla di arte la morale deve tacere). E’ risaputo però che il regista introdusse quella scena di soppiatto, senza informare l’attrice  che doveva averne parte, Maria Schneider: la quale fu costretta a simulare un rapporto anale la cui ripugnanza le provocò gravi problemi psicologici. A dire il vero l’attrice, trent’anni dopo, si lamentò del fatto;  il regista se ne dichiarò dispiaciuto, ma non volle chiedere scusa. Fosse stato già fiorente in quei tempi il movimento #metoo, che cosa sarebbe capitato a Bertolucci? Anatema per tutti i suoi film? Rifiuto  di tutti gli attori e tutti i produttori cinematografici di lavorare con lui in perpetuo? Visto però che ormai la Schneider è morta, non è il caso di parlarne. Qualche amico di Bertolucci si stizzisce perché circola la notizia falsa che in quella scena Marlon Brando avrebbe veramente stuprato la donna. D’accordo, la notizia è falsa, ma anche se lo stupro è stato solo simulato, tutta la faccenda rimane (moralmente, non esteticamente) ripugnante. La faccenda che sta dietro la scena, sia chiaro, non la scena in sé (che è ripugnante per l’aspetto estetico, non morale). Permettetemi di tornare di nuovo, saltando un po’ di palo in frasca, dal cinema al teatro musicale. Voi sapete che i miei due papà, o se preferite, per essere politicamente corretti, il mio genitore 1 e il mio genitore 2, hanno infarcito i di numerosi doppi sensi i lavori scritti in collaborazione: con garbo, però, e in modo velato, allusivo, come si addice ai veri artisti. In una sua recente intervista Riccardo Muti, in procinto di dirigere “Così fan tutte” al San Carlo di Napoli, ne ha svelati due, davvero sottili e maliziosi, che si nascondono nel testo dell’ Opera: “Il fallo mio ora sol vedo” e ” Folle è quel cervello/che sulla frasca ancor vende l’uccello”. Proprio così: non ci avevo mai fatto caso, ma il doppio senso c’è! E’ forse a causa di questi doppi sensi che alcune pudiche insegnanti di Ascoli Piceno hanno rifiutato di portare le loro classi a una rappresentazione di “Così fan tutte” allestita per le scuole da Pier Luigi Pizzi? Figurarsi se quelle insegnanti hanno letto il libretto di Da Ponte e sono in grado di coglierne i doppi sensi nascosti fra le righe del testo. Non farebbero quel mestiere: chi non sa, insegna. Probabilmente hanno letto all’ultimo momento un riassunto raffazzonato della trama, e l’hanno giudicata sconcia. Quale immoralità! I poveri fanciulli potrebbero trarne cattivi insegnamenti. E poi, come si fa a dire: “E’ la fede delle femmine/ come l’Araba Fenice/ che ci sia ciascun lo dice/dove sia nessun lo sa”? Questo è bieco maschilismo! Almeno il più morale Metastasio, da cui quel verso è stato rubacchiato (benedetti i tempi in cui non era tutelata la proprietà intellettuale!), parlava in modo equanime di “fede degli amanti”. Però anche lui sembra giustificare l’infedeltà coniugale come istinto di natura…Ahimè, proprio non ci siamo. Anche Beethoven , se ben ricordo, pur ammirando la grandezza di Mozart, deplorava che il sommo Salisburghese avesse donato la sua musica divina a libretti licenziosi come quelli di Da Ponte. Lui invece voleva celebrare l’Amore Coniugale, come fece nel “Fidelio”. Grande Opera, indubbiamente. Però che pizza, l’amore coniugale! Mi fa venire in mente Donna Elvira, e subito quello che sta sulla frasca si affloscia… Ma Beethoven è scusabile, viveva in un’epoca bigotta, lo “stupido secolo XIX ( o almeno in quel secolo trascorse buona parte della sua vita). Le insegnanti di cui sopra vivono nell’illuminato secolo XXI. Quello in cui si censura Shakespeare perché politicamente scorretto; quello in cui si modificano le fiabe dei Grimm perché non è vero che il lupo è cattivo; caso mai sono cattivi i cacciatori che lo uccidono. I nostri posteri ci seppelliranno con le loro risate.

Giovanni Tenorio

Libertino

9 pensieri riguardo “Censura e risate

  • Io volo più basso, sulla musica leggera commerciale, e propongo un quiz.

    La canzone del ventennio “Agata”, poi riproposta negli anni 70 da Ferrer e Taranto, conteneva un bel doppio senso pesantino, ma ben mascherato e solo per malpensanti di etnia meridionale, per cui non ebbe problemi di censura, nè con i rigidi fascisti, nè con i bigotti democristiani. Chi non lo sa si aiuti con Google, ma non ci conti troppo.

    • “Mi commuovo e penzo che/te facive a partitella/tutt’e ssere nziem’a me./Mo me faccio o sulitario,/guardo in cielo e penzo a te”.

      Fin troppo chiaro il doppio senso, ma non abbastanza esplicito per i censori, che notoriamente sono ottusi, altrimenti non eserciterebbero quel mestiere degradante. Capiscono solo quel che è espresso direttamente, senza risvolti allusivi.

      Nell’Aria di Zerlina (“Don Giovanni, atto II) si parla del cuore, ma si allude alla fica. Il censore non capisce, perché “fica” non è scritto.
      Nell’Atto III del “Rigoletto” il Duca ordina a Sparafucile: “Due cose e tosto: tua sorella e del vino”. Detto chiaro e tondo, senza mezzi termini. E allora il censore corregge: “Una stanza e del vino”. Ma in una stanza uno che ci fa da solo? Un solitario, come in “Agata”, pensando a qualcun altro
      (o meglio qualcun’altra, ma non è detto…) .

      Per fare il censore bisogna aver perduto, o non aver mai avuto, il senso del ridicolo.

    • Sì, certo, ma il vero doppio senso nascosto è un altro: avevo avvisato che era ben celato e “solo per malpensanti di etnia meridionale.”

      E’ la parola “stupisci”, che in napoletano significa “sto pesce” ovvero “sto czz” (a Napoli lo si chiama “pesce”, non “uccello”).

      E in questa registrazione, Taranto, da consumato guitto d’avanspettacolo, coinvolge il pubblico e lo fa capire bene (minuto 3).

      youtube.com/watch?v=wmw3inXF9zc

      BUON NATALE DON JUAN, LEPORELLO, COLLA !!!

  • Alessandro Colla

    Infatti il commento “son questi i suoi costumi” non ha senso con la semplice richiesta di una stanza. “Tua sorella” è sicuramente esplicito.

    • Probabilmente i censori vollero reinterpretare la frase in questo senso:”E’ un ubriacone, si riempie di vino fino a scoppiare e poi se ne va a letto a dormire fino al giorno seguente”. Geniali, nella loro ottusità.

  • Alessandro Colla

    Talmente geniali che se uno gli avesse contestato il fatto che per ubriacarsi e dormire fino a tardi poteva rimanere a casa sua senza spese d’albergo e senza “dormire all’aperto” come vuole il libretto, avrebbero risposto che non poteva mostrarsi ubriaco e pigro ai cortigiani. Altrimenti Mantova rischiava il deficit e la procedura d’infrazione da parte di Monteronovici.

  • Alessandro Colla

    Grazie, Max, ricambio gli auguri. E viva Nino Taranto, per me un mito tra i cosiddetti animali da palcoscenico (Nino Ferrer un po’ meno, lo ricordo volentieri quasi solo per “Donna Rosa”).

    • Però se guardiamo il tutto dal punto di vista del mercato (sempre molto gettonato in codeste ubertose contrade), Ferrer vince a man bassa, fosse anche con mani e piedi legati. Se infatti per Taranto era già tanto esibirsi fuori dalle due Sicilie, Ferrer ha cantato e nobilitato una canzonetta tipicamente regionale e macchiettistica in italiano, francese e spagnolo, vendendo quasi un milione di 45 giri.

      Una curiosità: nella versione spagnola, l’orologio che era sempre stato “inglese” (forse per motivi di metrica suonava meglio così) diventa finalmente “svizzero”. A quel tempo c’era ancora Franco che aveva litigato con Londra per Gibilterra e alla fine ne aveva chiuso l’accesso via terra. Probabilmente qualcuno consigliò al paroliere che non era salutare ricordare Albione in terra di Spagna e così fu cambiata nazione.

  • Ringrazio Max per la sua preziosa e sottile delucidazione filologica. Se non fossi della sostanza di cui sono fatti i sogni, destinato mio malgrado a non invecchiare e a non morire ( e purtroppo non invecchiano e non muoiono neppure i rompiballe che mi perseguitano, da Donna Elvira al Commendatore), potrei affermare, con Solone, “Invecchio imparando sempre molte cose”. Ricambio i più fervidi auguri di Buon Natale (un po’ in ritardo) e Felice anno nuovo. Leporello si unisce a me.

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