Don Giovanni

La coerenza dei preti

Correva l’anno 1977. Si era in piena crisi. Il prezzo del petrolio era alle stelle e l’economia di tutto il mondo soffriva. In Italia la situazione era aggravata da problemi strutturali ben lungi dall’essere risolti. Per migliorare la produttività si pensò bene di abolire alcune festività religiose, con il beneplacito della Santa Sede, che accettò di spostare alle domeniche più vicine le celebrazioni infrasettimanali in questo modo soppresse. Capo del governo era il cattolicissimo Giulio Andreotti, promotore dell’iniziativa, Presidente della Repubblica il democristiano Giovanni Leone. Caddero sotto la mannaia del provvedimento legislativo l’Epifania ( che qualche anno dopo sarebbe stata reintrodotta da Craxi con la revisione del Concordato), la festa di San Giuseppe, il Corpus Domini e la festa di San Pietro e Paolo. Nessuno criticò quel provvedimento. La Chiesa, prona al volere di un cattolicissimo che Comunione e Liberazione indicava ai suoi adepti come politico di riferimento, accettò di buon grado, senza battere ciglio. Eppure le ragioni di quella scelta erano biecamente economiche. Nessuno obiettò che, per una misera frazione di PIL in più, non era il caso di sopprimere festività legate a una gloriosa tradizione, che erano nel cuore di molti credenti. Non mi risulta che in altri Paesi cattolici si sia seguito l’esempio italico, anche laddove la frequenza ai riti religiosi era di gran lunga inferiore a quella del Bel Paese. Si fece molto più baccano quando nel 2011 Giulio Tremonti propose la soppressione di alcune festività civili, il 25 Aprile, il Primo Maggio e il 2 Giugno. Apriti cielo! La religione della Patria non si tocca e la Festa dei Lavoratori è sacra. Non se ne fece niente. Vedrete che, con tanti appelli patriottardi e tanta nostalgia per la naja in circolazione, prima o poi reintrodurranno la Festa della Vittoria, quel 4 Novembre che l’antimilitarista Pannella voleva fosse celebrato come giorno di lutto (e aveva ragione, vista l'”inutile strage” che fu la Guerra del 1915-18, incubatrice del Fascismo).

Ora quella stessa Chiesa che in quei tempi ormai consegnati ai libri di Storia fu così accondiscendente a sopprimere grandi festività religiose per ragioni economiche (cioè, secondo la sua dottrina, per il profitto che è lo sterco del Diavolo) si oppone all’apertura festiva degli esercizi commerciali, in particolare quelli della grande distribuzione. Durante la campagna elettorale i Cinquestelle lasciavano trapelare che, una volta giunti al potere, avrebbero cancellato la legge del governo Monti sulla liberalizzazione delle aperture festive? I preti si fregavano le mani: molto bene, questi portano acqua al nostro mulino. Difendono il riposo festivo e in più, proponendo la “decrescita felice”, sono nemici anche loro dello sterco del Diavolo. Tutti poveri per legge, così si va tutti in Paradiso. In Paradiso in carrozza, come dicevano i parenti alla sventurata Gertrude, futura monaca di Monza. Adesso la promessa elettorale sta per essere mantenuta, e un alto prelato esulta, arrivando a dire che è una grazia di Dio… E allora la soppressione elle festività tradizionali, che era provvedimento molto più grave, che cos’era? Una maledizione del Demonio? A quei tempi nessuno lo pensava.

Si dice che la domenica deve essere santificata, non può essere giorno di lavoro. Giustamente qualcuno ha ribattuto che già molti lavoratori sono impegnati la domenica e negli altri giorni festivi, dai poliziotti ai medici ospedalieri agli infermieri, ai pompieri, agli addetti alla ristorazione ai macchinisti dei treni, ai piloti degli aerei e chi più ne ha più ne metta. Se i lavoratori della grande distribuzione sono d’accordo, perché dovrebbero vedersi impedita la possibilità di lavorare la domenica e nei giorni festivi, arrotondando il proprio stipendio? Tanto più che per legge nei giorni di festa ricevono una paga oraria migliore. E’ ancora una volta un problema di libertà. Si dice anche che il lavoro festivo distrugge l’unità della famiglia. Però se è vero che chi lavora nei giorni di festa non può godere il tepore familiare, è anche vero che, sempre per legge, gli si deve concedere un giorno di riposo infrasettimanale. E la domenica molte famigliole possono godersi unite una bella visita ai centri commerciali. Una cosa squallida? Meglio andare a visitare i musei, frequentare le biblioteche, godersi uno spettacolo teatrale? Può darsi, ma per tenere aperti musei, biblioteche, teatri qualcuno deve pur lavorare. Meglio andare alla Santa Messa? Può darsi, ma la Chiesa stessa, da tempo, ha ceduto al tanto deprecato consumismo moderno attribuendo alla partecipazione ai riti prefestivi la qualità di assolvimento del precetto. Chi lavora la domenica, quindi, può andare a Messa il sabato. A parte il fatto che anche la domenica si celebrano Messe a tutte le ore, dalla prima mattina alla tarda sera. Il buon cattolico può assolvere il precetto senza difficoltà, anche se lavora. Il cattolico tiepido a Messa non ci va, o ci va saltuariamente anche se nelle festività è libero da ogni impegno lavorativo.

Non mi si vengano a giustificare le restrizioni del lavoro festivo con ragioni moralistiche e pseudo-spirituali. Non fatemi ridere! Nessuno vuol sopprimere le domeniche e le altre feste religiose rimaste nel calendario. Si sarebbero dovuti pestare i piedi nel 1977, quando invece si trattava proprio di una soppressione. La ragione di tanta esultanza per la proposta dei Cinquestelle è molto meno nobile di quel che si vorrebbe far credere. Le chiese si vanno sempre più svuotando, specialmente da quando è salito sul soglio di Pietro il papa argentino che, con le sue dichiarazioni e le sue prese di posizione, ha sconcertato molti fedeli e conquistato il plauso di tanti “laici”. Ma i “laici”, anche se tributano lodi al papa “progressista”, a Messa non ci vanno di certo, come non ci sono mai andati ai tempi dei papi “reazionari”. E’ molto più facile, invece, che siano i cattolici disorientati ad abbandonare i sacramenti.
Non saranno certo i negozi chiusi la domenica a riportare in chiesa chi ha deciso di non andarci più. Circola un libro, con prefazione del cardinal Martini buonanima, di un teologo sedicente cattolico il quale nega il peccato originale e ha avuto il coraggio di dire che se una telecamera fosse stata collocata nel sepolcro di Cristo non avrebbe registrato nessun fenomeno di resurrezione. Ma se le cose stanno così, Cristo che cos’è venuto a fare? A girarsi i pollici? A un Gesù storico, personalità eccezionale ma puramente umana, credono anche gli atei, e spesso ne ammirano la predicazione. Ma mica per questo vanno a Messa.

Non tocca a me, libertino impenitente prono alle lusinghe della carne e avido dei piaceri di questo mondo, impartire insegnamenti spirituali, e per di più da un sito di dubbia moralità come questo. Sono convinto però che se non riacquista la sua dimensione verticale, riproponendo con forza quelle Verità della Fede che alla Ragione paiono assurde, la Chiesa rischia di chiudere i battenti dopo 2000 anni di storia. Di “ospedali da campo” ne abbiamo già iosa. Una ONG in più o in meno non fa nessuna differenza.

“Gesù allora disse ai Dodici: – Volete andarvene anche voi? – Gli rispose Simon Pietro: – Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna -” (Gv 6, 678-68).

Giovanni Tenorio

Libertino

Un pensiero su “La coerenza dei preti

  • Il “teologo” che fa rima con “fetuso” è semplicemente un neognostico modernista in odor di massoneria. In altri tempi ci avrebbe pensato il Sant’Uffizio a drizzare la schiena a un simile balabiott.
    😀

    “A un Gesù storico, personalità eccezionale ma puramente umana, credono anche gli atei”

    Tranne qualche logico matematico impenitente e impertinente, che invece di occuparsi di omomorfismi ed endomorfismi iniettivi o suriettivi che rendono poco e non appassionano nessuno, ha scoperto che scrivere (noiosissimi, scadenti e pure controproducenti almeno per me) pamphlet sul cristianesimo è ben più remunerativo.

I commenti sono chiusi.