Don Giovanni

Roberto Gervaso: un uomo di dubbia moralità (come noi)

Su uno degli ultimi numeri del “Giornale” si commenta l’imminente uscita del volumetto sulla lussuria, facente parte di una serie che ha per argomento i sette peccati capitali, pubblicata dalla medesima casa editrice del quotidiano. A una presentazione del filosofo Giulio Giorello, autore del volumetto, segue una gustosa intervista a Roberto Gervaso, in cui mi rispecchio da cima a fondo, tranne per un particolare che poi dirò. L’illustre giornalista, che fu amico e collaboratore di Indro Montanelli, con cui scrisse la fortunatissima “Storia d’Italia”, è un libertino proprio come me (in un punto dell’intervista mi fa l’onore di citarmi, in un altro punto cita il mio amico Giacomo Casanova): potrebbe far sua la mia massima “chi a una sola è fedele verso l’altre è crudele”. Anche lui sfodera un catalogo che forse è addirittura più ricco del mio. Anche lui non fa distinzione fra vecchie e giovani, belle e brutte. Anche lui, pur che portino la gonnella (oggi va detto metaforicamente: tutte le donne sono in pantaloni, e anche i preti non la portano più), voi sapete quel che fa. E’ perfino più audace di me: io non sono mai arrivato a sedurre le zoppe e le gobbe; lui sì. Dovrò aggiornarmi per non essere da meno:fra breve la lista di Leporello comprenderà anche gobbe e zoppe in discreta quantità. Perché discriminarle? Anche loro sono degne del mio amore. Una sola cosa non perdono a Gervaso, e vengo così al dissenso di cui parlavo più sopra: quella di aver moglie e di considerarla l’amore più grande della sua vita. Anch’io ho avuto moglie, quell’ insopportabile rompiscatole di Donna Elvira, ma dopo le sue prime furenti scenate di gelosia me ne sono liberato. A me risulta che Gervaso, dopo una delle tante avventure extra-coniugali, sia stato pestato di santa ragione e conciato per le feste dalla moglie (a dimostrazione che non sono solo i maschietti a usar violenza alle femminucce: può capitare anche il contrario, ma il maschicidio fa poca notizia). E non l’ha mandata via per sempre con un bel calcio nel deretano? No, Gervaso, questa proprio non te la posso perdonare. Qui io rimango superiore a te. Tu potrai ribattere:”Ma io non ho mai ammazzato il padre di una mia amante e non ho mai cercato di stuprare nessuno, come invece tu hai fatto con Zerlina”. Calma, calma, amico mio! Ho già detto e ripetuto che in quella fatidica notte Donn’Anna ci stava, mi aveva riconosciuto e tutto sarebbe filato liscio se non fosse arrivato il paparino. Solo allora quella ipocrita si mise a urlare. Nel racconto che fa a quel pappamolla del fidanzato dice di avermi scambiato per lui. Ma chi può crederci? Solo quel pappamolla! Vi pare che la mia profonda voce baritonale possa essere confusa con quella da castrato di Don Ottavio? Andiamo! In somma: arriva il paparino che minaccia di sbudellarmi e io mi difendo, dopo avergli consigliato, per il suo bene, di rinunciare al duello. Legittima difesa! Quanto poi a Zerlina, anche lei ha fatto come quelle attricette che prima l’hanno data a registi e produttori, pur di far carriera, e vent’anni dopo li accusano di averle molestate. Zerlina a me l’avrebbe data volentieri, per l’ambizione di elevarsi dalla sua condizione di contadina ed entrare nella cerchia dell’aristocrazia. Le cose sono andate storto. Allla festa che diedi nel mio mio palazzo si mise a gridare “Ah soccorretemi!” quando si accorse che Masetto, Don Ottavio e quelle due donnicciole di Donn’Anna e Donna Elvira stavano scoprendo la nostra tresca. Prima del matrimonio, che, vi assicuro, fu infelicissimo, Zerlina a Masetto non la diede mai. Che cosa avrebbe potuto ottenerne? Al meglio, nulla. Al peggio, un bebé fuori norma, visto che quel rozzo contadino non si dava certo pensiero di prendere le necessarie precauzioni. Furba, la Zerlina, vi ricordate che cosa dice al suo promesso dopo ch’è stato malmenato da me (voleva uccidermi, io mi sono limitato a dargli una manica di botte: non si può neanche parlare di eccesso di legittima difesa, non l’ho accoppato, come pur meritava)? Ecco qua:

“Vedrai, carino, se sei buonino
che bel rimedio ti voglio dar.
E’ naturale, non dà disgusto
e lo speziale non lo sa far.

E’ un certo balsamo che porto addosso
dare tel posso se il vuoi provar.
Saper vorresti dove mi sta?
Sentilo battere…toccami qua.

Il cuore, gli dava soltanto il cuore. E a quel villanzone bastava. Contento lui…
L’intervista di Gervaso non è piaciuta ai bacchettoni. Qualcuno cerca di confutarlo laddove dice, come anch’io ho sempre sostenuto, che l’antichità classica aveva una concezione della sessualità più libera e gioiosa della nostra, di cui è responsabile il Cristianesimo (per colpa di San Paolo, dico io). Gli si obietta che nell’antica Roma Catone arrivò a far proibire i Baccanali, per il loro carattere orgiastico; che Augusto promulgò leggi contro l’adulterio e a favore del matrimonio e della procreazione; che Costantino fece addirittura uccidere la moglie Fausta e il figlio di primo letto Crispo per una loro presunta relazione adulterina; che San Benedetto a 17 anni fuggì da Roma per dimenticare una donna, che Dante condanna la lussuria e l’adulterio nel canto V dell’Inferno. Lasciamo perdere San Benedetto e Dante, che erano cristiani, quindi sono citati a sproposito. Costantino si era convertito anche lui al Cristianesimo, sia pure per opportunismo, e in ogni caso se uccise moglie e figlio per adulterio solo presunto era un bel delinquente, e non è quindi il caso di portarlo ad esempio di superiore moralità. La legislazione di Augusto sul matrimonio e sulla figliolanza è quella tipica di tutti i regimi autoritari che vogliono mettere il naso nelle camere da letto (pensiamo alla Cina di Mao o, per non andare troppo lontano, a Mussolini). Dio ce ne scampi e liberi. Pare ci sia di mezzo una faccenda di sesso anche nell’esilio che Augusto inflisse al povero Ovidio, poeta erotico quant’altri mai, condannato a trascorrere gli ultimi suoi anni, fino alla morte, nel clima insalubre di Tomi, sul Mar Nero. Quanto a Catone, era un gran bigotto. Purtroppo i bigotti c’erano anche allora. Odiava la cultura greca proprio perché ne temeva la spregiudicata libertà. Arrivò a far allontanare da Roma i filosofi epicurei Alcio e Filisco e, qualche tempo dopo, Diogene stoico, Critolao e Carneade (quello che don Abbondio ignorava chi fosse). Altro bel modello da fuggire come la peste, il nostro Catone. Sapete perché odiava tanto Carneade? Perché sosteneva che la potenza romana non aveva nulla di eroico e di provvidenziale, ma era frutto di violenza e sopraffazione. Com’ è vero per tutti i sistemi politici, d’altra parte. Un vero anarchico! Chapeau!

Il qualcuno di cui sopra dice che il pensiero di Gervaso è patologico e rivela un eccesso di liberismo. Ancora con questa solfa del liberismo selvaggio? Ma qui la confusione concettuale arriva alle stelle. Un conto è il liberismo e un conto è il libertinismo. Per favore, regolate tutto, pianificate tutto, ma il sesso lasciatelo libero! Il liberismo ha che fare con l’economia, punto e basta. Uno può essere liberista selvaggio e, senza venir meno alla coerenza ideologica, mantenersi casto per tutta la vita. Il libertinismo, invece, ha che fare anche con la sessualità. Sarebbe incoerente dirsi libertino ed esaltare la morale cattolica. Non per niente noi siamo “un sito di dubbia moralità”.

Giovanni Tenorio

Libertino